Chi s’avventura ad intraprendere un viaggio extraregionale, a seguito dell’incredibile crollo del viadotto Italia dell’A3, deve sapere che va incontro a peripezie indicibili, non escluso un reale pericolo dell’incolumità fisica. L’interdizione agli autoveicoli su quel tratto costringe a tortuosi e pericolosissimi itinerari attraverso stradine che spesso impediscono il transito agli automezzi che si incrociano. Siamo, quindi, in pieno isolamento non solo socio- economico, le cui radici sono antiche e che si finge di non voler esaminare. La Calabria è una terra molto diversa rispetto al contesto del resto del Paese. Qui la gente sembra, da secoli, rassegnata a vivere secondo il corso della natura, immutabile perché così ha stabilito il Fato. Se ci azzardiamo ad analizzare la natura del calabrese rischiamo di essere catalogati come rivoluzionari,disadattati, ambiziosi e chissà quanti aggettivi dispregiativi ci verranno appiccicati.
Se riflettiamo bene le condizioni dell’isolamento, oggi plastico e dannatamente reale, sono, a mio parere, da attribuire alla condizione psicologica del calabrese che, salvo i più coraggiosi pionieri, hanno preferito rimanere miopi e non andare alla ricerca di altri mondi, fare conoscenze con altri popoli, parlare la loro lingua.Il calabrese è rimasto geloso delle sue origine, delle sue tradizioni, delle sue amicizie-parentali e non è riuscito ad essere protagonista del suo riscatto.In politica, ad esempio, fatta eccezione di rari personaggi che pure hanno avuto la capacità di dimostrare l’intelligenza calabra, la massa è rimasta refrattaria all’innovazione e gran parte dei “rappresentanti del popolo” nelle assemblee elettive sono stati solo e soltanto portatori d’acqua, ascari al servizio del potente, preoccupati soltanto di conservare il posto al sole. Dicasi la medesima considerazione per le giovani generazioni.Sono rare le iniziative di ragazzi che tentato l’avventura di arricchire il bagaglio culturale intraprendendo viaggi in sedi che offrono possibilità concrete di conoscenza e preparazione.I ragazzi non osano perché, si afferma, afflitti dalle condizioni economiche precarie.Se fosse questa la ragione potremmo giustificarli.Temo che la realtà sia ben diversa.I giovani di oggi sono la prosecuzione, probabilmente peggiorata, del modus operandi dei familiari. L’isolamento, quindi, è stato ed è culturale; si ha timore dell’innovazione, dell’extracomunitario, dell’immigrato in genere perché si teme vivere l’avventura dei loro usi e costumi.Da qui nasce lo strisciante razzismo che serpeggia soprattutto nei calabresi e nei meriodionali.Sono d’accordo con chi auspica l’arrivo di persone di altra razza e costumi perché con esse si potrà instaurare un confronto che ci farà superare l’atavica timidezza . Occorreranno quanti altri decenni? Non so, ma sono convinto che l’isolamento della Calabria non dipende dalla caduta misera di un viadotto, ma dalla volontà dei calabrese di essere protagonisti del loro destino nelle occasioni che contano. Si deve avere il coraggio di acquistare l’autonomia culturale che ha ingigantito chi l’ha avuto.Non si tratta di privilegiare un’aggregazione politica ad altre, bisogna credere nelle capacità individuali e collettive se vogliamooccupare lo spazio socio-politico che ci spetta.Il nord d’Italia si è arricchito grazie alla manodopera intellettuale e fisica dei meridionali e calabresi.Oggi si deve invertire la logica: dobbiamo essere pronti all’innovazione ed al confronto.Nessun viadotto caduto potrà isolarci. Raffaele Caracciolo |