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Vangelo di Domenica 28 Aprile PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
lunedì, 29 aprile 2013 08:53
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 11,25-30.

In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.
Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te.
Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime.  Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».

V Domenica di Pasqua

28 aprile  2013

Un linguaggio nuovo per una vita differente

Introduzione

Dalla domenica di Pasqua le nostre Chiese risuonano di parole e canti nuovi.

Del resto la “novità” è linguaggio proprio di questo tempo. E la liturgia di questa

domenica, la quinta del Tempo di Pasqua, non usa un linguaggio diverso, anzi

potremmo dire che questa domenica sia pervasa da un profondo senso di “novità”.

Iniziamo infatti con l’invito a cantare un canto nuovo (Sal 98, 1-2);

proseguiamo celebrando la nuova Gerusalemme incastonata in cieli nuovi e terre

nuove, perché c’è un Dio che fa nuove tutte le cose; e con Paolo e Barnaba, uniti alla

comunità di Antiochia, non possiamo non prendere atto delle cose meravigliose che

ancora oggi il Signore compie per mezzo nostro. E finiamo con la parola del Maestro

che, dalle pagine del Vangelo di Giovanni, ci dà un comandamento nuovo:

amiatevi  gli uni gli altri, come io ho amato voi.

Tuttavia se la novità dei cieli nuovi e delle terre nuove e la contemplazione delle

meraviglie del Signore saltano agli occhi e si impongono per la loro reale unicità, per

le parole di Gesù è lecito chiedersi cosa ci sia di tanto nuovo nel suo

“comandamento”. Perché, se dovessimo decidere di seguirlo, diventeremmo uomini

diversi? Cristiani dalla vita differente, solo perché capaci di amare?

Del resto anche a un non credente è dato di amare: ci si ama da sempre. Allora

cosa rende nuovo e diverso l’amore provato da un cristiano, in cosa ne

contraddistingue la forma e il contenuto tanto da renderlo diverso dalla più “comune”

arte dell’amare: in altre parole dove sta la novità dell’amare di Cristo?

Un linguaggio nuovo, un contenuto diverso

La differenza, la novità, che trasformano un linguaggio comunemente inteso e

un contenuto sufficientemente noto, come può essere quello dell’amore, sono

racchiusi in quel piccolo avverbio, “come”, il quale unisce la prima parte del

comando a noi rivolto, “che vi amiate gli uni gli altri”, alla seconda parte avente

quale unico soggetto Cristo, “io ho amato voi”.

Il “come”, in un certo senso, ritma tutto il Vangelo, contiene la statura della

nostra vita differente, del nostro amare in modo nuovo. Infatti, vivere e amare come

Cristo significa aprire gli orizzonti del cielo, realizzare, a partire da qui ed ora, la

terra nuova e i cieli nuovi della visione giovannea. Ma perché il Signore possa

operare attraverso di noi simili meraviglie, è necessario prima di tutto non

“conoscere” il come vivere e amare in modo nuovo, piuttosto scoprire dentro di noi il

dono di un cuore nuovo capace di farlo.

Il cuore nuovo del cristiano, infatti, reca in sé il primo seme dell’amore quello

di Dio per ogni creatura, perciò chi crede, sapendo di essere amato per prima, non

può non amare. Dal cuore nuovo del cristiano scaturisce la gioia stessa dell’amare,

giacché avverte di essere coinvolto in un progetto più grande di amore: trascinato

nella stessa corrente dell’amore di Dio. Un cuore nuovo, poi, inevitabilmente

condiziona e modifica le percezioni sensoriali: diventa sguardo nuovo per vedere

quanto sia amabile il volto dell’altro; si scopre ogni mattina ad avvertire nuove tutte

le cose che ama, perché esso stesso è portatore di una grande novità.

E la novità racchiusa in sé è lo stupore di scoprirsi, amando, segno e sacramento

dell’amore di Dio.

Scoprirsi segno e sacramento dell’amore di Dio significa anche non avere

preferenze nell’amare l’altro. Le parole infatti di Gesù, amatevi gli uni gli altri,

aprono ad orizzonti nuovi e più ampi: infiniti diventano gli oggetti, i destinatari del

nostro amore. È questa è un'altra bella novità.

Gli altri sono tutti. Guai se ci fosse un aggettivo a qualificare chi merita o non merita

il nostro amore: giusti o ingiusti, ricchi o poveri, prossimi o lontani, amici e nemici,

nel nuovo comandamento all’amore di Gesù sono ugualmente degni di meritare il

nostro amore. Deve essere l’uomo, ogni uomo, persino l’inamabile, destinatario

privilegiato del nostro amore.

Con questo tipo di amore realizziamo la novità e la differenza cristiana

dell’amore, per cui non con il “quanto” se ne misura l’intensità e l’autenticità, ma con

il “come” si ama. Così gli uomini si amano per nobile senso filantropico, ma il

cristiano ama perché in Cristo ha fatto esperienza dell’amore vero, dunque, nella sua

memoria e nel suo cuore condivide sempre il “come” del suo Signore.

E per conoscere e vivere il “come” di Cristo, non occorre andare troppo lontani, è

sufficiente riprendere in mano il Vangelo, scovando e ricomponendo tutte le tessere

del mosaico di “come” Gesù ha mostrato amore e, qualora si dovesse cadere lontano

dal modello, tentare ancora: riprovare ad amare come Lui ci ha amati.

Non maestri dell’amore ma testimoni

Di questo nuovo comandamento, infine, non dobbiamo essere maestri per gli

altri – il Maestro è uno solo è già ha istruito per tempo quanti lo hanno seguito e

continuano a seguirlo - , quanto testimoni. In altri termini la novità dell’amore

cristiano non deve essere affidato a delle parole, ma a uomini e donne in carne e ossa:

è la “vita” dei cristiani che deve essere un segno visibile e credibile dell’amore di

Cristo.

Quando il cristiano riuscirà finalmente a fare la “differenza” con la propria

vita, allora testimonierà “agli altri” veramente un amore nuovo: un amore sincero,

cordiale, reciproco e intenso, cioè specchio fedele dell’amore non solo di Cristo, ma

addirittura della Trinità.

Un amore siffatto è sincero perché non sa simulare: è vero e coerente, non soffre di

schizofrenia tra agire e pensare, tra ciò che appare e ciò che si vive nella propria

interiorità ; è, inoltre, cordiale, deve cioè venire dal cuore, fonte di ogni desiderio,

atteggiamento e sentimento, ma anche luogo privilegiato dell’incontro con Dio. Tale

amore è poi anche reciproco, cioè contraddistinto dalla tensione verso uno stile di vita

che ama la reciprocità e fugge l’individualismo; infine, è intenso, ossia forte, robusto,

visibile: non è un intenzione o un atteggiamento interiore, ma è amore concreto,

speso apertamente al servizio e per il bene dei fratelli.

Quindi, l’amore dei cristiani deve tradursi in una vita nuova, in modo da dare

visibilità e testimonianza alla rigenerazione da esso sperimentato. Una rigenerazione

scaturita dall’esperienza dell’amore di Dio, a cui, per altro, continuamente attinge chi

desideri ardentemente fare la differenza semplicemente amando.

Conclusioni

In un saggio del noto sociologo tedesco E. Fromm, L’arte d’amare, leggiamo:

“Se vogliamo sapere come amare dobbiamo procedere allo stesso modo come se

volessimo imparare qualsiasi arte, perciò essenzialmente due sono le fasi nel suo

processo di apprendimento: la teoria e la pratica.

Tuttavia, aggiunge Fromm: “Oltre a conoscere teoria e pratica, per diventare

maestro in qualche arte – quindi compresa quella dell’amore - : non deve esserci

nient’altro al mondo di più importante. La conclusione naturale di questa

osservazione è, sempre secondo lo psicologo: l’uomo del nostro tempo non ama, o

raramente si sforza di imparare la difficile arte dell’amare, giacché tutto il resto,

eccetto l’amore, ritiene ben più importante. Così al primo posto metterà il

raggiungimento del successo, del prestigio, del denaro e del potere, quasi ogni sua

energia sarà spesa per raggiungere questi scopi, mentre non ne impiegherà nessuna

per conoscere l’arte d’amare.

Volendo ora cambiare i soggetti e gli elementi generici che compongono

questa accurata e obiettiva disanima si potrebbe concludere: per un cristiano,

intenzionato a fare la differenza, tutta la teoria e necessaria per apprendere l’arte

d’amare è racchiusa in un solo libro, il Vangelo. In Esso, inoltre, è chiaramente

esemplificata la pratica, ovvero il “come” ci si debba amare. Cosa ancor più

meravigliosa, poi, la teoria non è per nulla astratta e la pratica è stata già tradotta in

reale prassi di vita: in altri termini sia la parola che l’azione dell’amore sono incarnati

in un solo volto, quello del Cristo.

Al cristiano che voglia fare la differenza, allora, non resta che vivere il terzo

fattore: mettere Cristo al primo posto nella propria vita, anteporlo ad ogni altra cosa,

considerarlo lo scopo ultimo verso il quale orientare ogni energia vitale. Tutto il resto

verrà da sé.

Serena domenica

+ Vincenzo Bertolone

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