Lo stupro della legalità |
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Scritto da A.Cavallaro | |
martedì, 28 dicembre 2010 00:35 | |
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La Carta Costituzionale si è espressa sul problema della ineleggibilità e incompatibilità dei consiglieri regionali con la carica di sindaco e assessore dei comuni ricadenti nella circoscrizione regionale. La Corte ha richiamato l’art.122, 1° Comma della Costituzione nella nuova versione che ha sottratto la materia elettorale alla legislazione dello Stato e l’ha attribuita alle regioni. Non v’è dubbio, quindi, che la materia elettorale, per previsione della Carta Costituzionale, tocchi alle regioni, conseguentemente, ..“per ragioni di congruenza sistematica, la competenza esclusiva dello Stato in materia di legislazione elettorale dei comuni, art 117 della Costituzione, ha da essere intesa come esclusione della disciplina delle cause di incompatibilità a cariche elettive regionali derivanti da cariche elettive comunali”(Sentenza N°201/2003). In sostanza la corte ha ribadito che lo Stato conserva la competenza in materia elettorale comunale, mentre la competenza in materia elettorale regionale è rimessa alle regioni e dunque lo Stato non può non tener conto della normativa regionale in materia d’incompatibilità. La competenza legislativa regionale, secondo la Corte Costituzionale vale “nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica”, quindi il limite alla potestà legislativa regionale va ricercato nel principio dell’art. 65 del D.L. 267/2000 (legge sulle autonomie locali). Questo principio consiste, in alcune ragioni che “ostano all’unione nella stessa persona delle cariche di sindaco o assessore comunale e di consigliere regionale”. Secondo la Corte Costituzionale, dunque, è necessario che la legge “predisponga cause d’incompatibilità idonee a evitare la ripercussione che da tale unione possono derivare sulla distinzione degli ambiti politico-amministrativi delle istituzioni locali e, in ultima istanza, sull’efficienza e sull’imparzialità delle funzioni”.
Da quanto su esposto è relativamente facile arguire che la decisione presa con faciloneria dal consiglio regionale configura un comportamento “illecito” da parte del legislatore regionale (un’ammucchiata di destra con l’aggiunta di due ex DS, che stanno nel consiglio regionale da circa un trentennio), e il fatto è ancora più grave in quanto consumato in sede di approvazione del bilancio senza alcun approfondimento della materia e soprattutto avvenuto in una regione dove l’illegalità diffusa ha reso quanto mai precario il confine tra il legittimo e l’illegittimo, tra il giusto e l’ingiusto, tra la punibilità e l’impunibilità, tra il bene e il male, tra l’agire criminale e il vivere secondo le regole dettate dalla legge. Parafrasando Tremonti che ha scritto un libro dal titolo “Lo stato criminogeno”, si può senz’altro affermare che il Consiglio Regionale della Calabria si allinea alla visione statuale del Ministro dell’Economia. Si, cari amici frequentatori del sito, non si tratta di un banale e grossolano errore di “visuale interpretativa”; quanto avvenuto nel consiglio regionale è un attacco alla legalità vero e proprio e coloro i quali hanno pensato di poter approfittare di una occasione di tale bassezza non possono che essere bollati col marchio indelebile dei profittatori e degli arrampicatori politici a tutti i costi. Se questo è l’esempio che i politici nostrani vogliono dare alle nuove generazioni, come “segno del cambiamento”, non ci resta che sperare nel Signore o abbandonare questa terra che dà di continuo alla luce figli degeneri. Antonio M. Cavallaro
(Comunicato di Roberto Senise)
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