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Mons. Bertolone
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Giorgio La Pira: Profeta di Speranza - 2008/04/07 07:06 <<La politica è al servizio della speranza, non della paura. È un compromettersi della storia, per costruire ponti dopo aver abbattuto i muri>>.
Ne è passato di tempo da quando queste parole risuonavano ai quattro angoli del globo. È lo stesso tempo che è trascorso dalla scomparsa di chi quelle parole pronunciava con un timido sorriso ed una grande forza interiore. Pensieri e parole, ed il vuoto lasciato dalla sua morte, sono quelli di Giorgio La Pira, il sindaco che Firenze vorrebbe santo, profeta di speranza e punto di riferimento per quanti intendono la politica come servizio, non separabile da un profondo significato etico e dal rispetto per le tradizioni, sia laiche sia religiose, che ad essa devono ispirarsi.
L’esempio e gli insegnamenti di La Pira, come del resto quelli di altri illustri personaggi e pensatori del Novecento, tra i quali Vittorio Bachelet ed il Beato Antonio Rosmini, già nostri compagni di viaggio in queste comuni riflessioni domenicali, possono aiutarci a ritrovare l’orientamento in un mondo, quello odierno, sempre più secolarizzato, incapace di guardare al futuro ed in cui nessuno ritiene utile coltivare utopie sulla costruzione della città dell’uomo.
Sin dall’inizio dell’attività pubblica, di fronte alle diverse dottrine politiche, La Pira avviò una severa meditazione <<su quali di esse accogliere, e quali respingere, volendo seguire fedelmente il pensiero cattolico>>. La sua vita, e la sua militanza politica, culturale e religiosa, ruotò attorno a questo interrogativo, al quale egli diede luminose risposte. Tre su tutte. La prima: <<Ai politici è necessaria la meditazione della Parola per capire la direzione della storia, altrimenti sarebbero solo dei direttori generali>>. La seconda: <<La radice dell’azione sta nell’estasi dell’anima innamorata del Signore. Dobbiamo sottrarci alla tentazione del Tabor, per scendere nella pianura della quotidiana dedizione alle tante esigenze del prossimo>>. La terza: <<I cristiani devono praticare un legame organico e solidale coi fratelli, nella Chiesa e nella società, senza separazioni>>.
Condensava questi principi in un motto che non tradì mai: <<Predicare quanto contemplato>>. È la sintesi perfetta per descrivere un realismo che non si rassegna, che non disperde le sue energie nell’eterna tensione, e spesso nella discrasia, tra il dire ed il fare. <<E’ nostro compito – spiegava ai giovani che da ogni nazione accorrevano in Toscana ad ascoltarlo - gettare un ponte tra due sponde che sono parimenti essenziali alla vita della Chiesa ed a quella delle civiltà: la sponda della contemplazione e la sponda dell’azione, entrambe riflesso delle due nature di Cristo, nell’unità delle quali avviene l’attuale integrazione del cristianesimo>>. È l’intuizione folgorante che lo portava a dichiarare fiero: <<Io sono un credente cristiano e, dunque, parto da questa ipotesi di lavoro: credo nella presenza di Dio nella storia, nell’Incarnazione e nella resurrezione di Cristo e credo nella forza storica della preghiera>>. E quella forza egli trasfuse nel quotidiano, infaticabile impegno verso gli ultimi, nell’attenzione alla difesa dei diritti umani e sociali, nella battaglia contro le povertà e per l’affermazione della pace, nella costruzione dell’umanità nuova attraverso un impegno politico, amava ripetere, <<che è impegno diretto alla edificazione cristianamente ispirata della società nei suoi ordinamenti, a cominciare dall’economico>>.
Era Giorgio La Pira. Per alcuni, un santo. Per altri, un sognatore. Per i più, l’emblema di qualcosa che non c’è più e di cui s’avverte il bisogno: l’esempio cui guardare per ritrovare la voglia ed il coraggio di tornare a sperare. Se necessario, come proprio La Pira predicava contemplando, <<anche contro ogni speranza>>.
+ Vincenzo Bertolone
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