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MOns. Bertolone
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Vittorio Bachelet - 2008/03/30 18:03 Il filosofo Nietzsche invitava i cristiani ad essere, con la loro vita, testimonianza fedele degli ideali professati. Questa coerenza è un modello umanamente incarnato da Vittorio Bachelet.
Ai più giovani, questo nome dirà poco o niente, come forse poco o niente avrà detto il nome del Beato Antonio Rosmini, con cui, nelle settimane passate, è cominciato il nostro viaggio alla ri-scoperta dei personaggi interpreti dei valori sui quali costruire l’Italia del futuro. Eppure, la figura del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, ucciso a Roma dalle Brigate rosse il 12 febbraio del 1980, è chiara espressione di un modo d’essere, di pensare e d’agire di cui s’avverte la mancanza, oltre che il bisogno. Tanto che ai cattolici che oggi chiedono come poter divenire sale, luce e lievito per la società, non si può che rispondere: fate come Bachelet, l’uomo che insegnò ai figli, come dimostrò Giovanni Bachelet ai funerali del padre, «a pregare anche per gli assassini perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri».
Sul Bachelet cattolico impegnato in politica c’è, illuminante, una citazione, mille volte ripetuta. Sono parole tratte da un’intervista del 1979: «Di fronte al mondo che cambia, di fronte alla crisi di valori, ci si chiede se valga la pena correre dietro a singoli problemi o puntare invece alle radici. Non v’è dubbio: nel momento in cui l'aratro della storia scava a fondo rivoltando profondamente le zolle della realtà sociale, è importante gettare seme buono». Nasce qui, da un giudizio storico severo, la scelta religiosa, ovvero « la riscoperta della centralità dell'annuncio di Cristo, l'annuncio della fede da cui tutto il resto prende significato».
Tutto il resto, in quest’ottica, non è affatto poca cosa: è la chiamata all’impegno per l’affermazione del bene comune, il fine dell’azione sociale dei cattolici. Educare al bene comune vuol dire, per Bachelet, «formare a un retto e vigoroso ideale, aiutando l’uomo ad impadronirsene con l’intelligenza e ad adeguarvi la sua formazione spirituale, morale e tecnica». Agire per il bene comune significa «individuare dei valori, dei principi essenziali immutabili e trasmetterli ai giovani assieme al senso storico, cioè alla capacità di coniugarli con il presente, con il qui e ora nel quale si è chiamati a vivere», perché se il mondo «fosse monopolio dei pessimisti, sarebbe da tempo sommerso da un nuovo diluvio; e se la tragedia sembra inghiottirci, lo si deve alla malvagità di alcuni e, soprattutto, all’indifferenza della maggioranza. Quel che importa è che ognuno, secondo le proprie possibilità e facoltà, contribuisca alle molte iniziative di bene, spirituale, intellettuale e morale».
È la scelta religiosa, la scelta dell’essenziale. La sola che consenta la più coraggiosa e intelligente apertura al cambiamento e, al tempo stesso, la più radicale coerenza alla identità cristiana. «I battezzati consapevoli» sosteneva al riguardo Bachelet, «devono mirare non ad una presenza dei cristiani nelle realtà temporali e alla loro consistenza numerica e al loro peso politico, ma ad una ricostruzione delle coscienze e del loro peso interiore, che potrà poi, per intima coerenza e adeguato sviluppo creativo, esprimersi con un peso culturale e finalmente sociale e politico. Ma la partenza assolutamente indispensabile mi sembra quella di dichiarare e perseguire lealmente, in tanto baccanale dell’esteriore, il primato dell’interiorità».
Il cristiano, dunque, deve vivere la sua esistenza da pellegrino, con lo sguardo al cielo e i piedi per terra, portando con sé soltanto le cose indispensabili per la ricerca del Sommo Bene. Null’altro, come ha testimoniato Bachelet, è necessario: il donare se stessi per servire il prossimo non viene né dalla ricchezza, né dal potere né, tantomeno, da un seggio in Parlamento, bensì dal cuore.
+ Vincenzo Bertolone
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