Italiano, lingua difficile |
Scritto da A. Iannaccone | |
domenica, 04 gennaio 2009 19:18 | |
Pillollette per scrivere meglio Le preposizioni semplici sono spesso alquanto capricciose. Per esempio se diciamo «torno da mia madre» quel “da” non indica affatto un moto “da” luogo, bensí un moto “a” luogo. Non possiamo farci nulla: l’abbiamo ereditato cosí.Certi usi impropri e sempre piú diffusi di alcune preposizioni si potrebbero però evitare. Alcuni esempi. Si sente dire a volte «macchina a lavare», calco sul francese «machine à laver», anziché «lavatrice» o, al limite, «macchina per lavare». Altre volte capita di sentire «macchina da scrivere» e simili. Ma la preposizione “da”, posta davanti a un infinito, rende il verbo di forma passiva. «Una faccenda da sbrigare» significa «che deve essere sbrigata»; «gomma da masticare», significa «gomma che può essere masticata». Per cui non potremo dire, come spesso capita di sentire, «gomma da cancellare» perché sarebbe come dire «gomma che deve – o che può – essere cancellata», ma la forma giusta è: «gomma per cancellare». Non si dice «macchina da scrivere» (che significherebbe «macchina che deve essere scritta»), ma «macchina per scrivere», o, se si vuole aggirare l’ostacolo, «macchina dattilografica». Anche se oggi, per fortuna, il computer ha fatto sparire tutte le macchine per scrivere togliendoci dall’imbarazzo.Molto frequente, poi, l’uso – errato – della preposizione “da” per indicare il complemento di moto per luogo: «passo da Roma» anziché «passo per Roma». Ed è curioso come le forme erronee trovino subito tanti proseliti.Un altro scambio, frequentissimo e che sembra ormai irreversibile, è tra le preposizioni “di” e “in” per indicare il complemento di materia. Non si dice piú, per esempio, «medaglia d’oro», ma «medaglia in oro», non si dice piú «cancello di ferro», ma «cancello in ferro», non «recipiente di plastica» ma «recipiente in plastica» e cosí via. Non ho ancora sentito dire frasi del tipo «ha un cuore in oro» o, «sfidarsi a braccio in ferro», ma, prima o poi, ci arriveremo. (Da Il Foglio volante, anno XXIV, n. 1 – Gennaio 2009) |
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