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60° Anniversario dei diritti dell'Uomo PDF Stampa E-mail
Scritto da + V. Bertolone   
lunedì, 08 dicembre 2008 07:33
Image«Ho imparato da mia madre, illetterata ma molto saggia, che tutti i diritti dell'uomo degni di essere meritati e conservati sono quelli dati dal dovere compiuto. Secondo questo principio, è abbastanza facile definire i doveri dell'uomo e della donna e collegare ogni diritto a un dovere corrispondente che conviene compiere in precedenza».    Le parole del Mahatma Gandhi sono come candeline che si accendono, metaforicamente, sulla torta d’uno speciale compleanno. Sessanta il loro numero, tanti quanti gli anni trascorsi dal 10 dicembre 1948, quando a Parigi fu proclamata la Dichiarazione universale dei diritti fondamentali dell’uomo.

Per molti versi, essa enuncia princìpi assolutamente innovativi per il sistema delle relazioni internazionali: la tutela della dignità umana, necessaria e propedeutica all’affermarsi della libertà, della giustizia e della pace, è posta al di sopra della sovranità degli stati. Allo stesso modo, ciascun diritto viene riconosciuto all’uomo in quanto tale, per il solo fatto di vivere. E la vita è quella dell'essere integrale, unione inscindibile di anima e corpo, spirito e materia.È in ciò una grande lezione, utile anche ai giorni nostri: al rispetto del diritto alla vita è legato ogni altro diritto. Separare i diritti civili e politici da quello alla vita significa dividere ciò che non può essere diviso e si traduce in una riduzione dell’umano che comporta la violazione dei diritti che all’uomo spettano.

Non a caso Giovanni Paolo II giudicò la Dichiarazione «pietra miliare sulla via del progresso morale dell’umanità», nel solco tracciato dalla Pacem in terris, che in essa aveva indicato una scuola di fiducia nell’intelligenza umana e nella sua capacità di pervenire alla verità. Di questa fiducia l’umanità ha bisogno sia per fronteggiare la frantumazione soggettivistica e particolaristica che porta al costituirsi di diritti arbitrari e irreali, sia per rispondere alle sfide della globalizzazione, che esige un codice condiviso di beni e valori, e prima ancora d’intelligenza, per riconoscerli e farli valere.

In effetti, anche secondo il segretario dell’Onu, Ban Ki-moon, «le sfide che oggi ci attendono ci intimoriscono allo stesso modo in cui intimorirono quelle vissute dagli autori della Dichiarazione universale». Il quadro che vien fuori dalle cifre è sconfortante: nel corso del 2008, 1.252 sono state le condanne a morte eseguite in 24 stati;  81 i Paesi in cui sono stati documentati casi di tortura o altri trattamenti inumani; 23 le nazioni responsabili di leggi discriminatorie nei confronti delle donne; 15 i Paesi ancora ostili i migranti, 14 quelli in cui le discriminazioni si sono rivolte alle minoranze.

Questi numeri interpellano la coscienza degli onesti. Ecco perché i cristiani e la Chiesa sono chiamati all’impegno civile per far sì che siano sempre garantiti i diritti fondamentali in nome della natura umana e della ragione, nella consapevolezza che proprio la promozione dell’umano e della ragione non solo non tolgono nulla alla teologalità e alla fede, ma ne rappresentano anzi la prima via di affermazione e di evangelizzazione.

Il sessantesimo anniversario della Dichiarazione diventa occasione allora, sia strumento e stimolo per mostrare che ogni abitante del mondo, come singolo individuo e come membro di una comunità, ha il diritto a vedere riconosciute le proprie prerogative, ma anche il dovere di realizzare e difendere i diritti umani, perché, come recita un aforisma africano, «essere umani significa affermare la propria umanità riconoscendo quella degli altri, e su tale base stabilire relazioni umane con ogni persona».

+ Vincenzo Bertolone - Gazzetta del Sud 
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