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Alfabeto Civile: “G” come Giovani. Il futuro tra speranza e minaccia PDF Stampa E-mail
Scritto da G.Costantino   
sabato, 01 ottobre 2016 08:11
ImageCon la fine della modernità è venuta meno la fiducia in un futuro migliore garantito dal progresso scientifico. Si sta passando  nella civiltà occidentale da una fiducia illimitata nelle “magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria ad una estrema diffidenza nei confronti del futuro. Il futuro era carico di promesse per la realizzazione individuale e per l’avanzamento sociale, grazie al progredire della conoscenza, della medicina e della giustizia sociale.

La Rivoluzione Scientifica, l’Illuminismo, il Positivismo, il Marxismo ci hanno insegnato come  la storia dell’umanità sia una storia di progresso, anche se Leopardi prima e Freud dopo hanno insinuato un certo sospetto nei confronti della fiducia nel progresso.

E oggi?
Disastri economici, disuguaglianze sociali, potenti flussi migratori, inquinamenti, inducono a pensare al futuro in modo negativo, quello che prima era una promessa, è diventata una minaccia.
La comparsa di nuove malattie in zone remote del mondo, ma considerate prossime per la globalizzazione, alimentano la paura e generano l’isolamento.
Negli ultimi decenni è cresciuto il divario tra le diverse classi sociali e sempre più persone si sentono distanti dalle classi dirigenti e da chi detiene il potere, e questa sfiducia non fa che rinforzare l’isolamento.
Alla speranza di un sapere capace di dominare le leggi del reale e della natura si è sostituita l’incertezza, ma questo non deve significare l’abbandono della razionalità e il rifugiarsi in un pensiero magico. Se era esagerato l’ottimismo di ieri lo è altrettanto il pessimismo di oggi.
Stiamo passando dal mito dell’onnipotenza ad un altro mito speculare, quello della totale impotenza di fronte alla complessità del mondo.

Nonostante il continuo progresso delle tecno scienze il futuro rimane comunque imprevedibile, e per i giovani in particolare, incomprensibile. In tale impotenza ci si rifugia nei videogiochi in cui ogni giovane può diventare padrone del mondo in battaglie individuali contro il nulla. Questa onnipotenza virtuale finisce per favorire l’abbandono della sfera del pensiero. Ci limitiamo a sfiorare gli schermi ignorando quali meccanismi vengono innescati, diversamente dal passato quando le tecniche non funzionavano secondo una propria logica aliena da ogni considerazione umana o culturale.

Una manifestazione di questa crisi è la contestazione del principio di autorità in forme affatto nuove. A scuola, alle medie come alle superiori, il professore non sembra più rappresentare un simbolo sufficientemente forte per i giovani: la relazione con l’adulto è percepita come orizzontale, simmetrica. In una relazione del genere nulla è predefinito al di fuori della relazione stessa. Genitori ed insegnanti si sentono tenuti a giustificare le loro scelte educative nei confronti dei giovani. I genitori quasi mai riescono a convincere razionalmente i propri figli ad accettare i limiti che cercano di imporre loro.
Ci si rivolge ai bambini come ad un loro pari che occorre persuadere ed evitare ad ogni costo il conflitto. Questa difficoltà dei genitori a svolgere la funzione di “contenimento” lascia il bambino solo di fronte alle sue pulsioni e all’ansia che ne deriva. I bambini sono renitenti alle imposizioni per mettere alla prova l’autorevolezza dell’adulto.
 
La crisi del principio di autorità non ha portato alla contestazione dell’autoritarismo, come è stato per i giovani tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, per inaugurare un’epoca di libertà, ma ha prodotto relazioni contrassegnate da arbitrarietà e confusione.
I genitori oscillano così tra coercizione e seduzione di tipo commerciale.
Alcuni  insegnanti cercano di ottenere l’attenzione dei loro allievi mediante tecniche di seduzione perché ormai hanno rinunciato ad assumersi e ad esercitare la responsabilità della relazione con gli alunni, che non può essere per sua natura paritaria e, quando la seduzione fallisce, si ricorre alla coercizione, quanto di più lontano dalla libertà

L’autoritarismo diventa l’estremo rifugio degli adulti nella relazione con bambini e adolescenti che  hanno fallito il processo di simbolizzazione dell’autorità. (Recalcati)
Il principio di autorità a differenza dell’autoritarismo è il fondamento comune ai due termini della relazione, in nome del quale è chiaro che uno rappresenta l’autorità e l’altro ubbidisce. Questo principio sovraordina la relazione e la preserva dall’onere della contrattazione. E’ un bene condiviso: io ti ubbidisco perché rappresenti l’autorità e so che questa ubbidienza ti ha permesso di diventare quello che sei oggi e verso il quale io mi sto dirigendo.
La messa in discussione dell’autorità, checché ne dicano pentiti e revisionisti, non ha alcun rapporto con i movimenti di emancipazione del secolo scorso, nati tutti da istanze di giustizia. Le nostre società al contrario sono pervase dall’individualismo in nome della libertà di mercato e dalla logica del consumo, si hanno così individui isolati che intrattengono tra loro relazioni contrattuali e competitive.
Il principio di autorità, pur evolvendo nel tempo, ha sempre poggiato su una struttura invariata: l’anteriorità, l’anzianità, come sottolinea l’etnologa F. Heritier, rappresenta una fonte di autorità. L’adulto in questo schema incarna la possibilità di trasmissione della cultura: se questo è stato, se questo è, allora sarà anche nel futuro. Si sta affermando all’opposto l’idea che gli anziani non rappresentano più l’autorità, non assicurano più la trasmissione culturale, ma rappresentano un peso, una zavorra che impedisce ai giovani di volare, di crescere, di affermarsi, pertanto vanno rottamati.
Milioni di giovani non vedono i loro genitori alzarsi per andare a lavorare, ma li vedono  la sera a letto dopo una giornata di lavoro quando loro escono per impadronirsi della città. Non più confronto, scontro, ribellione,  ma separatezza senza separazione. Non più l’ Edipo freudiano delle generazioni passate ma il Telemaco di Recalcati che va alla ricerca del padre, lui sì capace di separarsi.
Si hanno così adulti disorientati e giovani che si sentono minacciati, che vivono il futuro non come promessa ma appunto come minaccia.
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“Gli insegnanti davanti ad alunni refrattari ad accettare il loro insegnamento e ad altri addirittura che reagiscono con comportamenti violenti nei confronti di chi si prodiga per aiutarli, pensano che questi problemi debbano essere di natura psicologica e che non ce la fanno a porre rimedio alle carenze della famiglia senza l’aiuto degli esperti, gli psicologi. A loro volta psicologi, psichiatri chiamati in causa rispondono che non sono in grado di risolvere problemi che esulano dalla clinica. Da qui la necessità per gli insegnanti di sviluppare competenze psicologiche e assumersi la responsabilità di aver cura della relazione con i giovani studenti. La relazione deve essere assunta come la condizione necessaria per qualsivoglia insegnamento”. (Benasayag)

Lo studente alle prese con le sue difficoltà domanda agli insegnanti di assumersi fino in fondo il ruolo educativo di invitare l’altro, il giovane, ad intraprendere un cammino che promette il futuro. Ma come è possibile educare i giovani se il futuro non è più una promessa ma una minaccia?

La paura del futuro ha generato una ideologia utilitaristica malintesa, quella di salvarci da soli. Si giudica ogni essere umano con criteri quantitativi che applicati agli studenti diventa: tutti quelli che hanno brutti voti hanno del problemi, chi non studia sarà disoccupato e vivrà una vita mediocre se non, da emarginato. Se non studi farai il muratore o l’agricoltore, e non si pensa che queste possano essere professioni scelte e non conseguenza di insuccesso scolastico. Eppure sta sotto gli occhi di chi vuol vedere che ad alcuni di questi mestieri ci si approdi dopo il conseguimento di titoli di studi utilitaristicamente conseguiti per ben altre professioni.

I giovani con la rivoluzione del web sono invisibili agli occhi del mondo adulto perché comunicano solo attraverso il computer e/o gli smartphone, al contrario dei loro genitori che si aggregavano in modo visibile e pertanto apparivano come in procinto di fare una rivoluzione. Ma quanti erano veramente?
 Oggi i giovani impegnati su  temi specifici sono molti di più. Sanno darsi delle priorità vere e cercano la loro strada al di fuori degli stereotipi del mondo adulto. Diversamente dalle generazioni che li hanno preceduti, uscite a pezzi dal fallimento delle grandi utopie che hanno inseguito, i giovani di oggi perseguono utopie, per dirla con Luigi Zoia, minimaliste, che almeno li fanno stare in pace con se stessi.

Giuseppe Costantino

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