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Saba nel Foglio Volante di Agosto PDF Stampa E-mail
Scritto da A.Iannacone   
venerdì, 22 luglio 2016 18:16
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Umberto Saba
È già pronto e sarà spedito agli abbonati fra qualche giorno il numero di agosto 2016 del “Foglio volante - La Flugfolio - Mensile letterario e di cultura varia”.Compaiono in questo numero, che ha piú pagine del solito, le firme di Rinaldo Ambrosia, Bastiano, Fabiano Braccini,Carmelo Costa. Carla D’Alessandro, Francesco De Napoli, Georges Dumoutiers, Monica Fiorentino, Amerigo Iannacone, Tommaso Lisi, Luciano Masolini, Adriana Mondo, Giuseppe Napolitano, Dario Piccirilli, Valentina Pietropaolo, Umberto Saba, Antonio Villa, Adāo Wons, Pietro Zorutti.
   Riportiamo, qui di seguito, l’articolo di apertura, “Saba: il Leopardi del Novecento”, Fonetismo ed esperanto”, una nota dalla rubrica “Appunti e spunti - Annotazioni linguistiche” e una breve poesia di Umberto Saba.

Saba: il Leopardi del Novecento

 

Umberto Saba non viene mai citato insieme ai grandi poeti del Novecento: Ungaretti, Montale, Quasimodo. L’esclusione dipende dall’assenza di clamorose novità (che non significa mancanza di originalità) nel poeta triestino rispetto a quelli della triade.

La poesia di Saba rimanda di piú a quella del diciannovesimo che non a quella del ventesimo secolo. Chi ama la poesia di Saba non lo fa in considerazione di una sua qualche “rivoluzione” linguistica o stilistica; la ama perché trova quella poesia semplicemente autentica. «Tardiva?», rispetto a quella degli innovatori sopra ricordati. La si può chiamare anche cosí, purché cosí non si intenda al tempo stesso disconoscerla o misconoscerla.

Ma se non possiamo accostare Saba ai tre poeti maggiori del nostro Novecento (e nemmeno all’altro grande poeta, e prosatore, Vincenzo Cardarelli), a chi lo accosteremo? Lo accosteremo a uno dei piú grandi, anzi al piú grande dell’intero Ottocento – nostro e non soltanto nostro – Giacomo Leopardi.

Non c’è nella poesia del Novecento nessun poeta che ripeta e riproponga le meraviglie (come altrimenti chiamarle?) leopardiane, come le ripete e ripropone Umberto Saba. Cosí, se non possiamo accostare quest’ultimo agli Ungaretti, ai Montale e ai Quasimodo, lo possiamo accostare a Giacomo Leopardi.

Il piacere e lo stupore che suscitano in noi i versi del recanatese sono gli stessi piacere e stupore che suscitano in noi i versi del triestino.

L’accostamento di Saba al Leopardi richiede almeno una precisazione: che riguarda il già nominato Vincenzo Cardarelli. È quest’ultimo, per molti, il degno erede, il vero emulo di Leopardi. Lo è per sua stessa esplicita dichiarazione, per sua intima convinzione e formazione, e infine per la composizione stessa della sua poesia. Tutti meriti, questi, eccezionali; ma con un solo e grosso demerito: è piú un poeta leopardiano che un poeta paragonabile a Leopardi, il nostro Cardarelli!

A differenza della poesia di Saba, che fa pensare a quella di Leopardi senza però somigliarle, lo poesia di Cardarelli fa pensare a quella di Leopardi perché ad essa troppo somigliante. È una poesia, quella di Cardarelli – lo sappiamo bene, noi suoi accaniti ed estasiati lettori – bellissima ma somigliantissima a quella di Leopardi. Altrettanto bella è la poesia di Saba: non perché anch’essa somigliantissima a quella di Leopardi, ma perché all’altezza di quella di Leopardi.

Cosí il nostro Novecento annovera almeno cinque grandi poeti: Ungaretti, Montale, Quasimodo, Saba e Cardarelli. I primi tre, perché hanno inventato la poesia “nuova”; il quarto, perché ha ripetuto nell’appena passato secolo ventesimo il miracolo della poesia leopardiana; il quinto, perché è stato un poeta autenticamente leopardiano.

 

Coreno Ausonio, 11/07/2016

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Tommaso Li

INVERNO

 

È notte, inverno rovinoso. Un poco

sollevi le tendine, e guardi. Vibrano

i tuoi capelli selvaggi, la gioia

ti dilata improvvisa l’occhio nero;

che quello che hai veduto – era un’immagine

della fine del mondo – ti conforta

l’intimo cuore, lo fa caldo e pago.

 

Un uomo s’avventura per un lago

di ghiaccio, sotto una lampada storta.

 

            Umberto Saba

(Trieste, 9 marzo 1883-Gorizia, 25 agosto 1957)

 

 

 

Appunti e spunti

Annotazioni linguistiche

di Amerigo Iannacone

 

Sesso e grammatica

 

Mi offre l’occasione per tornare su un punto già altre volte toccato, un giornalista televisivo che ha citato «la sindaco di Roma», con un’evidente discordanza grammaticale: “sindaco” è maschile, “la” è femminile.

Premettendo che secondo me non ci sarebbe niente di male a dire “la sindaca”, anche se il nostro orecchio non è ancora abituato a sentire la parola “sindaco” trasformata al femminile, bisogna precisare che il genere grammaticale è cosa diversa da quello che corrisponde effettivamente al genere sessuale indicato dalla parola (genere naturale), il “libro” è maschile, ma non è maschio, come la “penna” è femminile, ma non è femmina. D’altra parte, per esempio diciamo “il mare”, “il fiore” (maschili), i francesi dicono “la mer”, “la fleur” (femminili), ma il mare e il fiore non sono né maschi né femmine. Così come “la felicità” in italiano è femminile, ma in francese, “le bonheur” è maschile. Ma la felicità non è né maschio né femmina.

Il genere grammaticale è indipendente dal genere sessuale: “la spia”, femminile, può essere maschio o femmina, “la guardia” e “la sentinella”, generalmente sono machi, “il soprano”, “il contralto”, maschili, sono femmine.

Allora la concordanza grammaticale ci vuole: come non possiamo dire “il guadia”, “il sentinella”, così non possiamo dire nemmeno “la soprano”, “la sindaco”.

Restando fermo che potremo dire, per esempio, “il sindaco di Roma, Dott.ssa Virginia Raggi”, o “il sindaco di Torino, Dott.ssa Chiara Appendino, ritengo che la forma migliore sia “la sindaca” (e “l’assessora”, “la consigliera”, “l’avvocata”, ecc). Rispettando cosí, al tempo stesso, sesso e grammatica.

 

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