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Fra l'immondizia e le foglie morte degli alberi PDF Stampa E-mail
Scritto da E.Casella   
mercoledì, 08 giugno 2016 06:03
ImageIl vecchio e sua moglie abitavano in campagna da più di trent’anni. Il vecchio non amava la vita in città e non amava la confusione, ma non era per questo che si era trasferito in campagna. Si era trasferito in campagna perché era al verde e non poteva più permettersi di vivere in città. Il vecchio però era anche un uomo difficile. Non avrebbe mai ammesso di essersi trasferito in campagna per via dei soldi, così diceva a tutti che l’aveva fatto perché amava vivere in campagna. E questo, almeno in parte, era vero: al vecchio piaceva davvero vivere in campagna, ma la verità era che, se avesse avuto i soldi e lei gliel’avesse chiesto, sarebbe tornato a vivere in città.

Il vecchio sedeva a guardare la campagna. Gli pareva di sentire il profumo dell’aria fresca, di udire il leggero fruscio del vento, la brezza che soffiava sugli alberi, tanto leggera da smuoverne appena le foglie.

                La voce di sua moglie lo riportò alla realtà.

                “Eri di nuovo nel tuo mondo.” Il vecchio la guardò. Era ancora una bella donna.

                “Il mio mondo è migliore di questo.”

                “Qualsiasi mondo è migliore di questo. È molto che sei sveglio?”

                “No, non molto.”

                “Hai già fatto colazione?”

                “Non ancora.”

                “Ti preparo le uova.”

                “Vado al ruscello, prima.”

                “Non andare.”

                “Perché no?”

                “Fa freddo, fuori.”

                “Porto la giacca. Mi fa bene camminare.”

                “Come vanno le ossa?”

                “Uno schifo. È arrivato l’inverno. Lo sento nelle ossa, quando arriva.”

                “Le tue ossa sono migliori delle mie.”

                “Pagherei per avere le tue ossa.”

                “Certo.”

                “E le tue mani? Migliorano?”

                “Migliorano, sì. Se consideri che negli ultimi dieci minuti non mi hanno fatto molto male.”

                Il vecchio le guardò le mani. Erano piccole, sottili. Col tempo l’artrite le aveva deformate e i dolori erano diventati insopportabili.

                “Non andare al ruscello,” disse la donna.

                “Faccio presto. Porto il cavallo con me.”

                Uscì prima ch’ella potesse replicare. Fuori, l’aria era fresca, senza vento. Si diresse verso la stalla dove tenevano i cavalli e portò fuori il vecchio baio tirandolo dalle redini. Caricò i secchi sulla groppa e li assicurò con la cinta. Il vecchio e il cavallo raggiunsero il ruscello attraversando la campagna. Il vecchio vi si recava quasi tutte le mattine per riempire i secchi dell’acqua. L’acqua del ruscello era fresca e limpida e il vecchio diceva che faceva bene alle ossa. Quando furono al ruscello il vecchio tirò giù i secchi dalla groppa del cavallo e li riempì. Dopo averli riempiti li caricò di nuovo e imboccò la strada di casa. Durante il tragitto il cavallo rischiò di cadere due o tre volte e di rovesciare i secchi. Il vecchio cadde una volta dopo aver inciampato su un ramo e rincasò sporco di fango. Dopo che ebbe raccontato a sua moglie, ella disse: “Hai legato il cavallo?”

                “Sì, l’ho legato.”

                “Non scapperà?”

                “Un giorno lo farà, forse. Se non lo farà, lo farò scappare io.”

                “Dovresti venderlo.”

                “Ho venduto tutto quello che mi hai chiesto di vendere.”

                “Ora ti sto chiedendo di vendere il cavallo.”

                “Non venderò il cavallo.”

                “Gli diamo da mangiare. Potremmo mangiare noi gli avanzi che diamo a quella bestia.”

                “Considerato quanto gli diamo, non ingrasseresti di un grammo mangiando i suoi avanzi.”

                “Non lo sopporto.”

                “Potevi dirlo subito che il discorso c’entrava con questo. Va sempre a finire così.”

                “Va bene, tieniti pure il cavallo, ma sappi che non gli darò più i miei avanzi. Dovrà campare dei tuoi.”

                “Gli darò la mia e la tua porzione.”

                “Ottimo, così morirai prima del previsto.”

                “Moriamo tutti, prima o poi.”

                “Io morirò dopo di te.”

                “Sarò felice di lasciare questo mondo.”

                “Adesso posso cuocerti le uova?”

                “Certo.”

                Il vecchio mise su il caffè mentre la donna preparava il resto della colazione, uova e una fetta di pane duro con del formaggio. Mangiarono in silenzio. Quand’ebbero finito, la donna disse: “Hai notizie?”

                “Niente.”

                “È più di un mese che non riceviamo sue lettere.”

                “Si sarà dimenticato di scrivere. Non possiamo pretendere che pensi tutto il tempo a noi, là dove si trova.”

                Come per sciogliere qualsiasi dubbio, il vecchio si alzò e uscì e controllò la cassetta della posta. Era vuota. Rientrò e fece un cenno alla donna e questa capì. “Torni a letto?” disse il vecchio.

                “Sarebbe bello se le faccende si sbrigassero da sole, ma il fatto è che non lo fanno.”

                “A volte questa tua ironia mi lascia senza parole.”

                Il vecchio se ne tornò a letto, dopo essersi dato una pulita. Posò il capo sul guanciale e chiuse gli occhi e si addormentò subito.

                Si svegliò che era quasi ora di pranzo. Andò in cucina e trovò sua moglie seduta che fissava la parete. Aveva lo sguardo perso nel vuoto. Il vecchio le si avvicinò e notò che aveva qualcosa tra le mani. Una lettera. La busta era aperta. La donna aveva già letto quanto vi era scritto all’interno e aveva riposto la lettera nella busta. Il vecchio lesse. Suo figlio era morto sul fronte. Il vecchio richiuse la busta e si sedette accanto alla moglie. Quando la vide in faccia, non piangeva, neanche una lacrima.

                Poco dopo, il vecchio era uscito in silenzio. Fuori, una pioggia leggera. Non stava pensando. Non si stava chiedendo come fosse possibile che suo figlio fosse morto.

                Il vecchio si avvicinò alla stalla. Entrò. Il cavallo era lì. Il vecchio estrasse un temperino dalla tasca dei pantaloni e colpì il baio al collo, appena sopra la spalla. Il sangue uscì dalla ferita e gli sporcò il volto. L’animale cacciò un verso e stramazzò a terra mentre il vecchio continuava a colpirlo. Quand’ebbe finito, uscì dalla stalla lasciando la porta aperta

Ernesto Casella

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