Vangelo di Domenica 5 Giugno |
Scritto da don M.Munno | |||||||||||||||||
sabato, 04 giugno 2016 07:05 | |||||||||||||||||
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 7,11-17. - In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!».Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo». La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.
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5 – 12 GIUGNO 2016 camminando insieme
Continuo a proporre in questa rubrica, nel contesto del Giubileo della Misericordia, il ciclo di catechesi del Santo Padre Francesco sulla Misericordia di Dio.
«Gesù vuole insegnarci qual è l’atteggiamento giusto per pregare e invocare la misericordia del Padre; come si deve pregare; l’atteggiamento giusto per pregare. E’ la parabola del fariseo e del pubblicano (cfr Lc 18,9-14). Entrambi i protagonisti salgono al tempio per pregare, ma agiscono in modi molto differenti, ottenendo risultati opposti. Il fariseo prega «stando in piedi» (v. 11), e usa molte parole. La sua è, sì, una preghiera di ringraziamento rivolta a Dio, ma in realtà è uno sfoggio dei propri meriti, con senso di superiorità verso gli «altri uomini», qualificati come «ladri, ingiusti, adulteri», come, ad esempio, - e segnala quell’altro che era lì – «questo pubblicano» (v. 11). Ma proprio qui è il problema: quel fariseo prega Dio, ma in verità guarda a sé stesso. Prega se stesso! Invece di avere davanti agli occhi il Signore, ha uno specchio. Pur trovandosi nel tempio, non sente la necessità di prostrarsi dinanzi alla maestà di Dio; sta in piedi, si sente sicuro, quasi fosse lui il padrone del tempio! Egli elenca le buone opere compiute: è irreprensibile, osservante della Legge oltre il dovuto, digiuna «due volte alla settimana» e paga le “decime” di tutto quello che possiede. Insomma, più che pregare, il fariseo si compiace della propria osservanza dei precetti. Eppure il suo atteggiamento e le sue parole sono lontani dal modo di agire e di parlare di Dio, il quale ama tutti gli uomini e non disprezza i peccatori. Al contrario, quel fariseo disprezza i peccatori, anche quando segnala l’altro che è lì. Insomma, il fariseo, che si ritiene giusto, trascura il comandamento più importante: l’amore per Dio e per il prossimo. Non basta dunque domandarci quanto preghiamo, dobbiamo anche chiederci come preghiamo, o meglio, com’è il nostro cuore: è importante esaminarlo per valutare i pensieri, i sentimenti, ed estirpare arroganza e ipocrisia. (…). Il pubblicano invece – l’altro – si presenta nel tempio con animo umile e pentito: «fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto» (v. 13). La sua preghiera è brevissima, non è così lunga come quella del fariseo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». Niente di più. Bella preghiera! Infatti, gli esattori delle tasse – detti appunto, “pubblicani” – erano considerati persone impure, sottomesse ai dominatori stranieri, erano malvisti dalla gente e in genere associati ai “peccatori”. La parabola insegna che si è giusti o peccatori non per la propria appartenenza sociale, ma per il modo di rapportarsi con Dio e per il modo di rapportarsi con i fratelli. I gesti di penitenza e le poche e semplici parole del pubblicano testimoniano la sua consapevolezza circa la sua misera condizione. La sua preghiera è essenziale. Agisce da umile, sicuro solo di essere un peccatore bisognoso di pietà. Se il fariseo non chiedeva nulla perché aveva già tutto, il pubblicano può solo mendicare la misericordia di Dio. E questo è bello: mendicare la misericordia di Dio! Presentandosi “a mani vuote”, con il cuore nudo e riconoscendosi peccatore, il pubblicano mostra a tutti noi la condizione necessaria per ricevere il perdono del Signore. Alla fine proprio lui, così disprezzato, diventa un’icona del vero credente. Gesù conclude la parabola con una sentenza: «Io vi dico: questi – cioè il pubblicano –, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato» (v. 14). Di questi due, chi è il corrotto? Il fariseo. Il fariseo è proprio l’icona del corrotto che fa finta di pregare, ma riesce soltanto a pavoneggiarsi davanti a uno specchio. E’ un corrotto e fa finta di pregare. Così, nella vita chi si crede giusto e giudica gli altri e li disprezza, è un corrotto e un ipocrita. La superbia compromette ogni azione buona, svuota la preghiera, allontana da Dio e dagli altri. Se Dio predilige l’umiltà non è per avvilirci: l’umiltà è piuttosto condizione necessaria per essere rialzati da Lui, così da sperimentare la misericordia che viene a colmare i nostri vuoti. Se la preghiera del superbo non raggiunge il cuore di Dio, l’umiltà del misero lo spalanca. Dio ha una debolezza: la debolezza per gli umili. Davanti a un cuore umile, Dio apre totalmente il suo cuore. E’ questa umiltà che la Vergine Maria esprime nel cantico del Magnificat: «Ha guardato l’umiltà della sua serva. […] di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono» (Lc 1,48.50). Ci aiuti lei, la nostra Madre, a pregare con cuore umile. E noi, ripetiamo per tre volte, quella bella preghiera: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”».
Custodiamoci nella preghiera reciproca! Buona domenica a tutti! don Michele
Riflettiamo “insieme” sulla Parola di Dio della Domenica 5 Giugno 2016 X Domenica del Tempo Ordinario – C (1Re 17,17-24; Sal 29; Gal 1,11-19; Lc 7,11-17)
È significativo il fatto che la liturgia ci faccia riprendere il nostro cammino “ordinario”, dopo i tempi forti della quaresima e della pasqua e le solennità della Santissima Trinità e del Corpo e Sangue del Signore, accompagnati dai testi che ci vengono proposti in questa X domenica del tempo ordinario. Significativo perché la liturgia ci aiuta a prendere consapevolezza che il mistero della Pasqua di Gesù – la vittoria del Suo Amore sul peccato e sulla morte – non è “un” tempo della nostra vita e dell’anno liturgico, ma è “il” tempo e “il” senso di essi! Davanti alla Misericordia e alla compassione di Dio, che ci è stata pienamente rivelata in Gesù, e che continuamente è all’opera nella vita di quanti si lasciano incontrare da Lui, non c’è limite o realtà che possa reggere e resistere. L’Amore e la compassione di Dio, cioè la Sua Misericordia è sempre più grande ed è sempre oltre! È forte il contrasto, che ci viene prospettato nella prima lettura e soprattutto nella pagina del Vangelo, tra il paradosso della disperazione umana – ”il figlio della vedova di Sarepta di Sidòne si ammalò. La sua malattia si aggravò tanto che egli cessò di respirare”; “veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei” – e l’intervento che Dio opera attraverso il Suo Figlio Gesù e quanti non si lasciano afferrare dalla rassegnazione, allineandosi ai “vari cortei funebri” che vengono messi in scena nei diversi ambienti, quando si fa “spallucce” o si alzano le mani, a dire che ormai non si può far nulla e che le cose sono andate e continueranno ad andare sempre così! Quante volte, infatti, anche noi cristiani cediamo alla tentazione di alimentare cortei che accompagnano morti alla tomba, pensando che quello sia l’unico modo di confortare le varie vedove di Sarepta di Sidone o di Nain! O quante volte corriamo il rischio di essere bravi “analisti della colpa”, intenti più ad esprimere giudizi che a lasciarci coinvolgere fino a farci personalmente carico delle sofferenze degli altri! Forse di “profeti” come questi, di “analisti freddi e disinteressati”, ne aveva incontrati anche la vedova della prima lettura, se arriva a dire al profeta Elia: “Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia colpa e per far morire mio figlio”! Ma Gesù, come già Elia, ci aiuta a capire che l’Amore di Dio che è stato riversato in noi, quell’Amore di cui l’Apostolo Paolo ha fatto personale esperienza e da cui è stato convertito, ci spinge a “caricarci” delle diverse situazioni e a “portarle al piano superiore” ... ancor più ci spinge ad “avvicinarci” e “toccare”, perché solo “compromettendoci” nelle sofferenze e nei limiti degli altri, fino a sentirli nostri, sperimenteremo l’azione salvifica di Colui che ha assunto le miserie della nostra natura umana, segnata dal peccato e dalla morte, e l’ha risollevata attraverso l’Amore di Dio che tutto guarisce, che tutto fa risorgere! Solo l’Amore/Misericordia/Compassione solleva e fa risorgere! L’Amore che ha origine in quel “piano superiore” che dobbiamo imparare ad “abitare” per abitare in maniera differente anche questa nostra terra e le nostre relazioni, perché è proprio al piano superiore del nostro rapporto con Dio, in cui ci lasciamo incontrare e rigenerare, in cui ci lasciamo risollevare da Lui, possiamo attingere forza per compiere gesti profetici e per non cedere alla tentazione di vivere da rassegnati e rassegnatori! Sollevaci, Signore, con la grazia del Tuo Amore e donaci di essere tuoi collaboratori nel risollevare chi è tentato dalla rassegnazione e dalla disperazione! Amen.
AVVISI
- DOMENICA 12 GIUGNO, come annunciato, vivremo la tradizionale “GIORNATA DELLA COMUNITÀ”, a partire dalle ore 9,30 nel piazzale antistante la chiesa S. Eusebio. La giornata si concluderà con la S. Messe delle ore 18:30. A PARTIRE DALLA STESSA DATA, PER TUTTA L’ESTATE, È SOSPESA LA S. MESSA DELLE ORE 11:00.
- SABATO 18 e DOMENICA 19 GIUGNO vivremo il PELLEGRINAGGIO GIUBILARE A ROMA, secondo il programma affisso e diffuso. È necessario far pervenire le iscrizioni alla signora Angela Concistrè (tel. 3208323877), entro e non oltre il 5 GIUGNO.
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