Vangelo VI Domenica di Pasqua |
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Scritto da don M.Munno | |||||||||||||||||
venerdì, 29 aprile 2016 06:41 | |||||||||||||||||
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“in-formati” Foglio settimanale parrocchiale di formazione e informazione
1° – 8 MAGGIO 2016
camminando insieme
Continuo a proporre in questa rubrica, nel contesto del Giubileo della Misericordia, il ciclo di catechesi del Santo Padre Francesco sulla Misericordia di Dio.
«Oggi riflettiamo sulla parabola del buon samaritano (cfr Lc 10,25-37). Un dottore della Legge mette alla prova Gesù con questa domanda: (…). E Gesù risponde con una parabola, che mette in scena un sacerdote, un levita e un samaritano. I primi due sono figure legate al culto del tempio; il terzo è un ebreo scismatico, considerato come uno straniero, pagano e impuro, cioè il samaritano. Sulla strada da Gerusalemme a Gerico il sacerdote e il levita si imbattono in un uomo moribondo, che i briganti hanno assalito, derubato e abbandonato. La Legge del Signore in situazioni simili prevedeva l’obbligo di soccorrerlo, ma entrambi passano oltre senza fermarsi. Erano di fretta… Il sacerdote, forse, ha guardato l’orologio e ha detto: “Ma, arrivo tardi alla Messa… Devo dire Messa”. E l’altro ha detto: “Ma, non so se la Legge me lo permette, perché c’è il sangue lì e io sarò impuro…”. Vanno per un’altra strada e non si avvicinano. E qui la parabola ci offre un primo insegnamento: non è automatico che chi frequenta la casa di Dio e conosce la sua misericordia sappia amare il prossimo. Non è automatico! Tu puoi conoscere tutta la Bibbia, tu puoi conoscere tutte le rubriche liturgiche, tu puoi conoscere tutta la teologia, ma dal conoscere non è automatico l’amare: l’amare ha un’altra strada, occorre l’ intelligenza, ma anche qualcosa di più… (…). Ma veniamo al centro della parabola: il samaritano, cioè proprio quello disprezzato, quello sul quale nessuno avrebbe scommesso nulla, e che comunque aveva anche lui i suoi impegni e le sue cose da fare, quando vide l’uomo ferito, non passò oltre come gli altri due, che erano legati al Tempio, ma «ne ebbe compassione» (v. 33). Così dice il Vangelo: “Ne ebbe compassione”, cioè il cuore, le viscere, si sono commosse! Ecco la differenza. Gli altri due “videro”, ma i loro cuori rimasero chiusi, freddi. Invece il cuore del samaritano era sintonizzato con il cuore stesso di Dio. Infatti, la “compassione” è una caratteristica essenziale della misericordia di Dio. Dio ha compassione di noi. Cosa vuol dire? Patisce con noi, le nostre sofferenze Lui le sente. Compassione significa “compartire con”. Il verbo indica che le viscere si muovono e fremono alla vista del male dell’uomo. E nei gesti e nelle azioni del buon samaritano riconosciamo l’agire misericordioso di Dio in tutta la storia della salvezza. E’ la stessa compassione con cui il Signore viene incontro a ciascuno di noi: Lui non ci ignora, conosce i nostri dolori, sa quanto abbiamo bisogno di aiuto e di consolazione. Ci viene vicino e non ci abbandona mai. Ognuno di noi, farsi la domanda e rispondere nel cuore: “Io ci credo? Io credo che il Signore ha compassione di me, così come sono, peccatore, con tanti problemi e tanti cose?”. Pensare a quello e la risposta è: “Sì!”. Ma ognuno deve guardare nel cuore se ha la fede in questa compassione di Dio, di Dio buono che si avvicina, ci guarisce, ci accarezza. E se noi lo rifiutiamo, Lui aspetta: è paziente ed è sempre accanto a noi. Il samaritano si comporta con vera misericordia: fascia le ferite di quell’uomo, lo trasporta in un albergo, se ne prende cura personalmente e provvede alla sua assistenza. Tutto questo ci insegna che la compassione, l’amore, non è un sentimento vago, ma significa prendersi cura dell’altro fino a pagare di persona. Significa compromettersi compiendo tutti i passi necessari per “avvicinarsi” all’altro fino a immedesimarsi con lui: «amerai il tuo prossimo come te stesso». Ecco il Comandamento del Signore. Conclusa la parabola, Gesù ribalta la domanda del dottore della Legge e gli chiede: «Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» (v. 36). La risposta è finalmente inequivocabile: «Chi ha avuto compassione di lui» (v. 27). All’inizio della parabola per il sacerdote e il levita il prossimo era il moribondo; al termine il prossimo è il samaritano che si è fatto vicino. Gesù ribalta la prospettiva: non stare a classificare gli altri per vedere chi è prossimo e chi no. Tu puoi diventare prossimo di chiunque incontri nel bisogno, e lo sarai se nel tuo cuore hai compassione, cioè se hai quella capacità di patire con l’altro. Questa parabola è uno stupendo regalo per tutti noi, e anche un impegno! A ciascuno di noi Gesù ripete ciò che disse al dottore della Legge: «Va’ e anche tu fa’ così» (v. 37). Siamo tutti chiamati a percorrere lo stesso cammino del buon samaritano, che è figura di Cristo: Gesù si è chinato su di noi, si è fatto nostro servo, e così ci ha salvati, perché anche noi possiamo amarci come Lui ci ha amato, allo stesso modo».
Custodiamoci nella preghiera reciproca! Buona domenica a tutti! don Michele
Riflettiamo “insieme” sulla Parola di Dio della Domenica 1° Maggio 2016 VI Domenica di Pasqua (At 15,1-2.22-29; Sal 66; Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29)
In quest’ultima domenica di Pasqua – domenica prossima celebreremo la festa dell’Ascensione – la Liturgia ci aiuta a prendere consapevolezza di ciò che noi cristiani siamo chiamati ad essere: dimora del Padre e del Figlio, “luogo” della presenza di Dio nel mondo! Le parole di Gesù sono chiare: “noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. La condizione perché avvenga questa “trasformazione”, questa nostra “divinizzazione” è “amare Gesù”. Tante volte, forse, diciamo di “amare Gesù”. Addirittura, in Parrocchia, spesso, soprattutto durante l’adorazione settimanale, preghiamo con un canto che ci fa ripetere più volte “t’amo Gesù”! Personalmente, tuttavia, mi chiedo se sono e se siamo consapevoli di ciò che significhi “amare Gesù”, perché da come amiamo Gesù dipende la nostra felicità, il nostro lasciarci trasformare nella “dimora del Padre e del Figlio”, il nostro sperimentare l’amore del Padre! Quando mi capita di chiedere ai bambini cosa significa “amare Gesù” spesso mi sento rispondere “pregare”, ma tale preghiera viene poi intesa come una serie di formule da recitarsi durante la giornata o almeno al mattino o alla sera. Non so se questa stessa domanda rivolta agli adulti possa trovare una risposta diversa! Cosa significa “amare Gesù”? Il Vangelo di questa domenica, riportando le parole di Gesù, ci aiuta a rivedere le nostre idee e, soprattutto, il nostro stile di vita, perché “amare Gesù” significa “osservare la Sua Parola”. Perché possiamo “osservarla” dobbiamo innanzitutto “conoscerla”. Perciò, sarebbe opportuno se ciascuno di noi si domandasse in che modo “conosce” la Parola di Gesù. Che tipo di conoscenza ne abbiamo, quanto tempo e quali tempi dedichiamo all’ascolto, alla lettura, alla meditazione della Parola di Dio. D’altra parte, l’esperienza umana dell’amore ci aiuta a comprendere che quando si ama qualcuno si ha il desiderio di dedicargli tempo, si cerca di fare in modo da trascorrere con la persona amata quanto più tempo possibile. Oppure, quando non è possibile stare “fisicamente” insieme, ci si sente spesso, ci si pensa spesso ... e con Gesù, con la Sua Parola? Questo, tuttavia, è solo il “primo gradino” dell’amore. Un gradino necessario, ma si tratta pur sempre di un “primo” passo verso l’amore. Osservare la Parola significa, infatti, permettere alla Parola di segnare in modo significativo il nostro modo di vivere, le nostre scelte, le nostre azioni, le nostre abitudini! Per amare Gesù non è sufficiente “sapere” chi è, quello che ha fatto, quello che ha detto, ma è necessario iniziare a dire, a fare, a vivere come Lui! Ecco perché, proprio mercoledì scorso, Papa Francesco, con la chiarezza che lo contraddistingue, ha provocatoriamente affermato: “Non è automatico che chi frequenta la casa di Dio e conosce la sua misericordia sappia amare il prossimo. Non è automatico! Tu puoi conoscere tutta la Bibbia, tu puoi conoscere tutte le rubriche liturgiche, tu puoi conoscere tutta la teologia, ma dal conoscere non è automatico l’amare: l’amare ha un’altra strada, occorre l’intelligenza, ma anche qualcosa di più”! E finché non ci sforzeremo di camminare per la strada di Gesù, che ci provoca sistematicamente a superare il nostro narcisismo, il nostro egoismo, a “rinnegare” il nostro “io” per amarci reciprocamente “come” Lui ha fatto, ogni nostra affermazione di amore per Gesù potrebbe essere ambigua, falsa, vuota! E a dircelo sarebbe la nostra stessa vita, piena di noi stessi, ma vuota di Dio! Ecco perché il dono dello Spirito, che sempre dobbiamo invocare, ci “ricorda” tutto ciò che Gesù ci ha detto, ci permette di interiorizzare la Sua Parola, di tradurla in scelte e gesti che dicano “non sono più io che vivo” – narcisista, egoista, autoreferenziale, perbenista, giudice degli altri – “ma è Cristo che vive in me” – capace di amore gratuito, disinteressato, generoso, che nulla si attende, che tutto spera, che tutto crede, che tutto ama, che tutto sopporta! Che l’amore del Padre, rivelatoci in Gesù, attraverso lo Spirito, possa trasfigurare la nostra vita, ci renda “dimora”, “luogo” della presenza del Risorto e, attraverso di noi, generi un “nuovo” umanesimo, faccia discendere su questo nostro mondo sfigurato la “Gerusalemme risplendente di gloria”!
AVVISI
- Quest’anno, per la Benedizione Pasquale delle Famiglie, coloro che desiderano ricevere la visita del Parroco e la benedizione possono SEGNALARLO alle signore: ROSA SANGINETO (in LOPEZ), GINA MAIMONE e CATERINA LA CAMERA. PER TUTTI I VENERDÌ DEL TEMPO DI PASQUA il Parroco si recherà dalle Famiglie CHE HANNO FATTO LA SEGNALAZIONE. Nel MESE DI MAGGIO, come lo scorso anno, sarà poi celebrata la S. Messa nelle zone della Parrocchia.
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