Vangelo IV Domenica di Pasqua |
Scritto da don M.Munno | |||||||||||||||||
venerdì, 15 aprile 2016 06:57 | |||||||||||||||||
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 10,27-30. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Viale magna grecia, 1 – 87011 Cassano all’Ionio (CS) – Tel. 098174014
“in-formati” Foglio settimanale parrocchiale di formazione e informazione
17 – 24 APRILE 2016
camminando insieme
Continuo a proporre in questa rubrica, nel contesto del Giubileo della Misericordia, il ciclo di catechesi del Santo Padre Francesco sulla Misericordia di Dio. «Matteo era un “pubblicano”, cioè un esattore delle imposte per conto dell’impero romano, e per questo considerato pubblico peccatore. Ma Gesù lo chiama a seguirlo e a diventare suo discepolo. Matteo accetta, e lo invita a cena a casa sua insieme con i discepoli. Allora sorge una discussione tra i farisei e i discepoli di Gesù per il fatto che questi condividono la mensa con i pubblicani e i peccatori. “Ma tu non puoi andare a casa di questa gente!”, dicevano loro. Gesù, infatti, non li allontana, anzi frequenta le loro case e siede accanto a loro; questo significa che anche loro possono diventare suoi discepoli. (…). Chiamando Matteo, Gesù mostra ai peccatori che non guarda al loro passato, alla condizione sociale, alle convenzioni esteriori, ma piuttosto apre loro un futuro nuovo. Una volta ho sentito un detto bello: “Non c’è santo senza passato e non c’è peccatore senza futuro”. Questo è quello che fa Gesù. Non c’è santo senza passato né peccatore senza futuro. Basta rispondere all’invito con il cuore umile e sincero. La Chiesa non è una comunità di perfetti, ma di discepoli in cammino, che seguono il Signore perché si riconoscono peccatori e bisognosi del suo perdono. La vita cristiana quindi è scuola di umiltà che ci apre alla grazia. Un tale comportamento non è compreso da chi ha la presunzione di credersi “giusto” e di credersi migliore degli altri. Superbia e orgoglio non permettono di riconoscersi bisognosi di salvezza, anzi, impediscono di vedere il volto misericordioso di Dio e di agire con misericordia. Esse sono un muro. La superbia e l’orgoglio sono un muro che impediscono il rapporto con Dio. Eppure, la missione di Gesù è proprio questa: venire in cerca di ciascuno di noi, per sanare le nostre ferite e chiamarci a seguirlo con amore. Lo dice chiaramente: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (v. 12). Gesù si presenta come un buon medico! Egli annuncia il Regno di Dio, e i segni della sua venuta sono evidenti: Egli risana dalle malattie, libera dalla paura, dalla morte e dal demonio. Innanzi a Gesù nessun peccatore va escluso – nessun peccatore va escluso! – perché il potere risanante di Dio non conosce infermità che non possano essere curate; e questo ci deve dare fiducia e aprire il nostro cuore al Signore perché venga e ci risani. Chiamando i peccatori alla sua mensa, Egli li risana ristabilendoli in quella vocazione che essi credevano perduta e che i farisei hanno dimenticato: quella di invitati al banchetto di Dio. (…). Se i farisei vedono negli invitati solo dei peccatori e rifiutano di sedersi con loro, Gesù al contrario ricorda loro che anch’essi sono commensali di Dio. In questo modo, sedere a tavola con Gesù significa essere da Lui trasformati e salvati. Nella comunità cristiana la mensa di Gesù è duplice: c’è la mensa della Parola e c’è la mensa dell’Eucaristia (cf Dei Verbum, 21). Sono questi i farmaci con cui il Medico Divino ci risana e ci nutre. Con il primo – la Parola – Egli si rivela e ci invita a un dialogo fra amici. Gesù non aveva paura di dialogare con i peccatori, i pubblicani, le prostitute… No, lui non aveva paura: amava tutti! La sua Parola penetra in noi e, come un bisturi, opera in profondità per liberarci dal male che si annida nella nostra vita. A volte questa Parola è dolorosa perché incide sulle ipocrisie, smaschera le false scusanti, mette a nudo le verità nascoste; ma nello stesso tempo illumina e purifica, dà forza e speranza, è un ricostituente prezioso nel nostro cammino di fede. L’Eucaristia, da parte sua, ci nutre della stessa vita di Gesù e, come un potentissimo rimedio, in modo misterioso rinnova continuamente la grazia del nostro Battesimo. Accostandoci all’Eucaristia noi ci nutriamo del Corpo e Sangue di Gesù, eppure, venendo in noi, è Gesù che ci unisce al suo Corpo! Concludendo quel dialogo coi farisei, Gesù ricorda loro una parola del profeta Osea (6,6): «Andate e imparate che cosa vuol dire: misericordia io voglio e non sacrificio» (Mt 9,13). Rivolgendosi al popolo di Israele il profeta lo rimproverava perché le preghiere che innalzava erano parole vuote e incoerenti. Nonostante l’alleanza di Dio e la misericordia, il popolo viveva spesso con una religiosità “di facciata”, senza vivere in profondità il comando del Signore. Ecco perché il profeta insiste: “Misericordia io voglio”, cioè la lealtà di un cuore che riconosce i propri peccati, che si ravvede e torna ad essere fedele all’alleanza con Dio. “E non sacrificio”: senza un cuore pentito ogni azione religiosa è inefficace! Gesù applica questa frase profetica anche alle relazioni umane: quei farisei erano molto religiosi nella forma, ma non erano disposti a condividere la tavola con i pubblicani e i peccatori; non riconoscevano la possibilità di un ravvedimento e perciò di una guarigione; non mettevano al primo posto la misericordia: pur essendo fedeli custodi della Legge, dimostravano di non conoscere il cuore di Dio! (…)».
Custodiamoci nella preghiera reciproca! Buona domenica a tutti! don Michele
Riflettiamo “insieme” sulla Parola di Dio della Domenica 17 Aprile 2016 IV Domenica di Pasqua (At 13,14.43-52; Sal 99; Ap 7,9.14b-17; Gv 10,27-30)
La quarta domenica di Pasqua è denominata anche domenica del “Buon Pastore” perché in essa ascoltiamo sempre un passo tratto dal capitolo 10 del Vangelo secondo Giovanni, che ci presenta Gesù proprio come Pastore “Buono/Bello”. In quest’anno liturgico C ascoltiamo i versetti 27-30.
Il rapporto che deve intercorrere tra Gesù, Pastore Bello, e le pecore è descritto attraverso tre verbi: ascoltare, conoscere, seguire. Il primo verbo è per eccellenza il verbo dell’esperienza di fede. La fede, infatti, nasce dall’ascolto. Ascoltare è “il primo vero comandamento” per il popolo di Dio, per Israele, è il comandamento che precede lo stesso decalogo: “Shemà, Ascolta, Israele”! Solo nell’ascolto sarà possibile il dialogo. Solo chi ascolta potrà rispondere. L’esperienza di fede, infatti, è l’esperienza di chi ascolta e cerca di vivere la Parola che ascolta. Se l’ascolto dovesse mancare, ogni cammino di fede si ridurrebbe ad esperienza religiosa frammentata e frammentaria, nella quale potrebbero introdursi elementi perfettamente estranei rispetto ad una genuina esperienza di fede, senza ascolto ridurremmo il nostro rapporto con Dio ad un “rivestimento religioso esteriore”, che non ci tocca il cuore, che non ci permette un continuo itinerario di conversione.
Il secondo verbo, “conoscere”, è il verbo dell’intimità. Le pecore che ascoltano il Pastore sono conosciute da Lui, cioè vivono con Lui un rapporto di profonda intimità. Chi apre il proprio cuore all’ascolto serio della Parola permette alla Parola di prendere possesso della propria esistenza. Chi ascolta la Parola viene “posseduto” dalla Parola, al punto che la Parola prende “carne” nella vita di chi ascolta, ne orienta i pensieri, i desideri, le scelte!
La sequela è il risultato dell’ascolto trasformato in “intimità”. Si segue ciò che si ama, si segue Chi si ama. Chi ascolta Gesù, chi è conosciuto da Gesù, chi segue Gesù, può fare l’esperienza straordinaria di ricevere la sua vita, non perdersi, non essere rapito. Ogni volta che noi ascoltiamo con serietà la Parola di Dio, ogni volta che sperimentiamo la sua Presenza nella nostra vita, ne avvertiamo la voce, facciamo anche esperienza sempre nuova della sua vita offerta per noi! Egli ci conosce e ci ama al punto da rinnovare continuamente il Suo Amore per noi, il dono della Sua Vita! Chi è amato così non si perde, non può essere rapito! L’aveva ben capito l’Apostolo Paolo che si chiede: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, Nostro Signore”!
L’ultima affermazione, che ascoltiamo nel Vangelo, in cui Gesù rivela la sua profonda comunione con il Padre - “io e il Padre siamo una cosa sola” - è la meta verso cui deve tendere la nostra vita cristiana: essere una sola cosa con Gesù e, in Gesù, essere una cosa sola con il Padre. Ancora una volta ciò può risultarci chiaro dall’esperienza di Paolo, che scrive: “per me vivere è Cristo ... non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”!
Che possiamo essere tra queste pecore, che ascoltano, che sono conosciute, che seguono Gesù, il Signore, il Risorto e il Vivente!
AVVISI
Quest’anno, per la Benedizione Pasquale delle Famiglie, coloro che desiderano ricevere la visita del Parroco e la benedizione possono SEGNALARLO alle signore: ROSA SANGINETO (in LOPEZ), GINA MAIMONE e CATERINA LA CAMERA. PER TUTTI I VENERDÌ DEL TEMPO DI PASQUA il Parroco si recherà dalle Famiglie CHE HANNO FATTO LA SEGNALAZIONE. Nel MESE DI MAGGIO, come lo scorso anno, sarà poi celebrata la S. Messa nelle zone della Parrocchia.
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