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Il Foglio Volante di Febbraio PDF Stampa E-mail
Scritto da A.Iannacone   
mercoledì, 27 gennaio 2016 19:24
ImageCome facciamo da tempo, presentiamo ai nostri webnauti il numero di Febbraio del “Foglio volante" - La Flugfolio - Mensile letterario e di cultura varia. In questo numero compaiono le firme di Rosa Amato, Rinaldo Ernesto Ambrosia, Bastiano, Fabiano Braccini, Lisa Car-ducci, Carla D’Alessandro, Hugo Alejandro Díez Guzmán, Amerigo Iannacone, Tiberio La Rocca, Tommaso Lisi, Antonio Masi, Franco Orlandini, Antonio Tabasso, Gerardo Vacana, Antonio Vanni, Adāo Wons. Riportiamo, qui di seguito, l’articolo di apertura  a firma Franco Orlandini, un epigramma della rubrica “Versetti e versacci” e una poesia di Gerardo Vacana.

Corrado Govoni e suo figlio

Corrado Govoni nacque nel 1884 a Tamara (frazione del comune di Copparo), nel ferrarese, in una famiglia di abbienti agricoltori. Non seguí studi regolari. Si identificò presto con l’ambiente agreste e da questo ricevette la disposizione a cogliere i variegati aspetti della natura. Li trasferirà sempre nella sua poesia, quasi a voler «fare un inventario del mondo che non finisca piú, come d’uno che non si sazi», secondo quanto comprese Giovanni Boine. Ed è questa varietà di immagini che distingue la poesia di Govoni da quella uniforme e grigia dei contemporanei crepuscolari. D’altra parte il Nostro aveva una personalità intimamente malinconica e aderí spontaneamente al crepuscolarismo. Nel 1904 egli confessava: «Ho sempre amato le cose tristi, la musica girovaga, le preghiere delle suore, i mendicanti pittorescamente stracciati e malati, i convalescenti, gli autunni pieni di addii, le primavere nei collegi quasi timorose, le chiese dove piangono i ceri, le rose che si sfogliano...» Successivamente, con le Poesie elettriche (Milano, 1911), con le parole in libertà e le poesie visive presenti, in particolare, nella silloge Rarefazioni (Milano, 1915), Govoni diede prova dell’adesione al futurismo, pur conservando, «senza tanti problemi, vistosi residui dannunzianeggianti, liberty, crepuscolari.»[1]

Trasferitosi a Milano, provocò in lui un vero trauma il contatto con la frenetica metropoli, pur celebrata dai futuristi. Ritornò nella quieta Ferrara, ma di lí a poco fu costretto a vendere la casa e le terre, e le rimpiangerà a lungo. Cambiò vari mestieri, pur continuando a scrivere copiosamente poesie, novelle, romanzi ed a collaborare a svariati periodici; e cosí fece quando si stabilí, nel primo dopoguerra, a Roma.

Govoni aveva sempre cercato di portare avanti l’esistenza libera ed estrosa, propria del genuino poeta, come a volersi estraniare dalla gretta condizione quotidiana. Ma nel 1943-’44 egli sentí la realtà irrompere tragicamente nelle sue giornate.

Suo figlio primogenito (nato a Tamara nel 1908 e al quale aveva dato il fantasioso nome di Aladino), rientrato dai Balcani, dov’era capitano dei granatieri, aveva preso parte, l’8 settembre, agli scontri contro i tedeschi, a Porta San Paolo; s’era poi dato alla clandestinità, diventando un membro attivo del gruppo Bandiera Rossa Roma. Ricercato dalla polizia nazifascista, venne alfine catturato, torturato e gettato in carcere; sarà poi tra i trucidati alle Fosse Ardeatine, nel marzo 1944.

Sconvolto dal fatale evento, Govoni, «con commosso orgoglio di poeta, con implacabile strazio di padre» (come scrisse), stese i centoquattro brani lirici del libro Aladino (1946). È «il lamento per mio figlio morto» che domina e si svolge cupo, inframmezzato qua e là da variazioni elegiache e da pause riflessive. La parte piú drammatica è costituita dal dialogo ideale tra padre e figlio, riguardante anche le circostanze della morte, con crudi riferimenti e con scoppi di ira e di odio, sino all’aprirsi di visioni apocalittiche.

L’uomo e il poeta erano usciti dalla straziante vicenda, ormai rassegnati «al nulla universale»...

Govoni scriverà altre sillogi di poesia, cercando nuovamente rifugio nella natura, ma non piú con l’appassionata ricerca fantastica degli anni giovanili, che gli aveva permesso di comporre quel «fiabesco inventario privato», di cui aveva parlato anche Montale. Egli dimostrerà, invece, con toni realistici, l’intento di dar voce ai poveri, agli emarginati, a coloro che nella società non hanno voce.

E nella capitale, nel secondo dopoguerra, il poeta visse un triste periodo di disoccupazione e di miseria, fino a quando non ottenne un modesto impiego presso il ministero del Tesoro. Dopo che una grave malattia agli occhi l’aveva quasi ridotto alla cecità, morí nel 1965 a Lido dei Pini, località sulla costa laziale, poco distante da Roma.

Franco Orlandini

 

VERSETTI E VERSACCI

di Bastiano

 

Un vecchio professore

 

Aspirava

a diventare preside,

invece diventò

canuto e presbite.

 

 

 

 

2015: anno del presepe e della misericordia

                                               Natale 2015 - Capodanno 2016

 

Cara, vera Italia, che all’improvviso

si riconosce e si unisce,

un cuore solo, nel presepe.

 

Italia delle città,

e dei mille e mille borghi

che – di notte fiocamente illuminati,

le case l’una all’altra strette –

sono tutti un presepe.

 

Francesco a Greccio

ricostruí la stalla di Betlemme

perché meglio vedessimo la via

indicata dal Bambino

con la nascita in una mangiatoia:

la vicinanza, anzi lo stare insieme

ai poveri, agli umili,

 

e un po’ agli animali miti, pazienti

che piú gli assomigliano:

l’asino e il bue, da lavoro

nei campi, non da combattimento

nelle arene, com’è il toro.

 

Il presepe, simbolo di pace, di concordia,

di amore,

nell’anno dell’odio, del sangue e del terrore

in Europa e nel mondo,

ma anche del Giubileo della Misericordia!

Un disarmato, eroico Giubileo.

 

3 dicembre 2015

 

                Gerardo Vacana

                Gallinaro (FR)



[1] Pier Vincenzo Mengaldo in Poeti italiani dei Novecento Oscar Grandi Classici Mondadori, 1990.

 

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