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Identità plurali e scelta di appartenenza PDF Stampa E-mail
Scritto da G.Costantino   
martedì, 24 novembre 2015 21:13
ImageDell'idea d'identità si fa spesso un uso poco ragionato con conseguenze a volte incendiarie. Negli ultimi anni è stata imposta da parte della comunità o dallo stato nazionale o dalla religione un'identificazione unica, spesso belligerante. Ognuna di queste collettività , alle quali apparteniamo simultaneamente ci conferisce un'identità particolare, ma non esclusiva. Ogni persona deve stabilire quali priorità dare alle sue diverse affiliazioni e connessioni.

- Al contrario, il cambiamento organizzato di identità, si è reso responsabile di atrocità in tante parti del mondo, dallo Zaire al Rwanda, dall'Irlanda del Nord alla Serbia, e in misura crescente in tutto il mondo: dal terrorismo, alle guerre al terrorismo.

- Questa imposizione di singolarità  viene fatta spesso con i mezzi della propaganda politica, che stimolano ed eccitano lo scontento sociale riguardo il comportamento di un gruppo, con l'intento, neppure dissimulato, di arruolarci tutti in un conflitto di civiltà presunto e difficile da verificare.

- Si vuole a tutti i costi che la religione di una persona debba costituire la sua identità onnicomprensiva ed esclusiva.

Considerare poi la storia di un popolo come nient'altro che la storia della religione dominante non costituisce soltanto una confusione concettuale, ma sminuisce anche le poliedriche conquiste di persone mosse da interessi di carattere non religioso.

- Perché insistere su una determinata identità di gruppo, quando le possibilità di identità multiple  possono variare in funzione del contesto?

-Essere nato in un determinato paese o all'interno di una specifica cultura, non necessariamente preclude la possibilità di formarsi un punto di vista o una lealtà diverse da quelle della maggioranza delle persone che vivono in quel paese o che hanno quella cultura.

- Si sostiene addirittura che gli stessi giudizi morali di una persona dovrebbero inoltre essere spiegati a partire dai valori e dalle norme della comunità a cui la persona appartiene ed essere valutati da un punto di vista etico solo nell'ambito di quei valori e di quelle norme, negando con ciò la possibilità che una persona possa rifarsi a norme alternative..

- Si nega la possibilità di giudizi normativi interculturali circa il comportamento e le istituzioni e si mette persino in discussione lo scambio e la comprensione fra culture diverse. legittimando ghetti contigui di cultura e con l'espressione "rispetto per le altre culture" passano a volte forme di razzismo multiculturale.

- E' naturale quindi affidarci al linguaggio della giustizia e dei "diritti".

Esistono i diritti umani fissati in documenti come  la Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni unite, che sono irrisi e negati. Si tratta di un problema che riguarda tutti. I relativisti ci dicono che sono criteri solo nostri.

- Non si tratta di imporre qualcosa, quanto piuttosto di collaborare con gli oppressi e favorire la loro emancipazione. Cosa ancora più importante, non è affatto detto che i valori da noi sostenuti siano così estranei agli altri.

- Ritenere che non abbiamo scelta nella definizione dell'identità sociale, non solo è un errore, ma può dar luogo a implicazioni molto pericolose.

- L'uso del ragionamento può essere sostituito da un'accettazione acritica di un comportamento conformista, che induce a scelte che verrebbero altrimenti rifiutate.

Un conformismo di questo tipo può avere implicazioni conservatrici, proteggendo costumi e pratiche da una intelligente analisi critica. Infatti, le disuguaglianze che derivano dalla tradizione, come la condizione delle donne nelle società sessiste, spesso sopravvivono rendendo le corrispondenti identità, in particolare il ruolo sottomesso di chi è abitualmente nelle condizioni più svantaggiate, una questione di accettazione incondizionata, piuttosto che oggetto di un esame critico.

- Molte pratiche tradizionali e presunte identità, sono crollate dopo essere state messe in discussione ed essere state sottoposte ad un giudizio critico.

- L'accettazione acritica di un'identità sociale può non avere sempre implicazioni conservatrici, può  anche comportare un cambiamento radicale nell'identità, accettata come una componente di una presunta "scoperta" piuttosto che come una scelta ragionata.

- Le politiche di divisione ad esempio in India negli anni '40 nella ex Jugoslavia in Ruanda  negli anni '90  hanno fatto si che le identità delle persone all'improvviso lasciassero spazio ad identificazioni settarie (da indiano, asiatico si diventa indù, mussulmano, sikh .) con effetti devastanti.

- Eppure. nella transizione dalla società di massa a quella planetaria, determinata dall'incredibile sviluppo delle comunicazioni e dall'estrema facilità di spostarsi, le culture tendono ad ibridarsi, tanto che non è raro incontrare nelle nostre città e nelle nostre scuole ragazze mussulmane che indossano jeans e magliette attillate e la testa avvolta in veli o chador, tanto austeri da non lasciare  intravedere neanche gli occhi. Ma si ha una certa difficoltà a sostenere che indossare il velo sia una rivendicazione forte dell'identità religiosa e non piuttosto culturale, al pari dell'allestimento del presepe nell'Italia centro meridionale in occasione delle festività natalizie, di quella cultura ibrida di cui si diceva poc'anzi.

- Si tratta oggi come oggi di consentire a tutti di affermare la propria specifica identità,  di esprimere il proprio potenziale, il proprio progetto di vita secondo i propri valori e per realizzarsi si ha bisogno: di conoscere, relazionarsi all'altro.

 Da qui la necessità di realizzare un modello di democrazia che tenda  verso l'applicazione della logica del bene comune declinato non solo come finalità ma anche come spazio in cui la diversità culturale e regionale sia considerata risorsa, bene comune e il dialogo e la civile conversazione di leopardiana memoria  ne diventino la cifra.

- E' necessario  il riconoscimento di noi stessi come di  " individui aventi diritto" come risultato dell'atto di volontà  dell'"abilità umana" come lo definisce Hannah Arendt, "per cui siamo nati uguali, diventiamo uguali come membri di un gruppo grazie alla  forza delle nostre decisioni per garantirci mutualmente uguali diritti".

- Frantz Fanon, l'indimenticato leader dell'indipendenza algerina, all'interno dell'elaborazione teorica della politica culturale di riconoscimento, suggeriva che l'unica via per raggiungere un mutuo rispetto tra culture, è di riconoscere che possiamo creare connessioni solidali con altre culture, soltanto relazionandoci l'un l'altro, con una piena consapevolezza dei nostri limiti, delle nostre contraddizioni, della nostra disparità, della nostra mera umanità.

Image- Ma il riconoscimento e non la sola tolleranza, è possibile con la salvaguardia nazionale di ciò che l'articolo 5 del Trattato internazionale sui diritti economici, sociali e politici,  attuativo della Dichiarazione universale dei diritti umani, definisce il "diritto di prendere parte alla vita culturale" del paese dove si vive.

- Questo presuppone che tutti possano accedere  a quelle istituzioni - scuole, università, musei, librerie, teatri - che danno il senso di una storia collettiva e che si siano i mezzi per trasformare i materiali della propria storia in una narrazione propria.

- Ma per raccontare la propria storia bisogna sapere che esiste una "cultura pubblica", all'interno della quale essa verrà ascoltata e in base alla quale si potrebbe agire, poiché la narrazione è, sia discorso che azione,  ed il mezzo attraverso il quale ci riveliamo a noi stessi e agli altri  con la nostra identità e differenza. (Hanna Arendt   in Vita activa: la condizione umana )

Giuseppe Costantino

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