Vangelo di Domenica 8 Novembre |
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Scritto da don M.Munno | |||||||||||||||||
sabato, 07 novembre 2015 23:08 | |||||||||||||||||
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“in-formati” Foglio settimanale parrocchiale di formazione e informazione 8 – 15 novembre 2015 camminando insieme Una delle esigenze che, come Parroco, avverto è quella di accompagnare le Comunità Parrocchiale a riscoprire il senso della Celebrazione dei Sacramenti, perché non si riducano a semplici occasioni di feste, ma siano percepiti e celebrati come “segni efficaci della Grazia”, modalità attraverso le quali Dio si fa presente nella nostra vita, ci “tocca”, ci aiuta a cambiare, ci educa alla vita buona del Vangelo! In questa rubrica, perciò, intendo soffermarmi, per alcune settimane, proprio sui Sacramenti, riproponendo la serie di catechesi del Santo Padre Francesco. Continuiamo con l’Unzione degli Infermi. “1. C’è un’icona biblica che esprime in tutta la sua profondità il mistero che traspare nell’Unzione degli infermi: è la parabola del «buon samaritano», nel Vangelo di Luca (10,30-35). Ogni volta che celebriamo tale Sacramento, il Signore Gesù, nella persona del sacerdote, si fa vicino a chi soffre ed è gravemente malato, o anziano. Dice la parabola che il buon samaritano si prende cura dell’uomo sofferente versando sulle sue ferite olio e vino. L’olio ci fa pensare a quello che viene benedetto dal Vescovo ogni anno, nella Messa crismale del Giovedì Santo, proprio in vista dell’Unzione degli infermi. Il vino, invece, è segno dell’amore e della grazia di Cristo che scaturiscono dal dono della sua vita per noi e si esprimono in tutta la loro ricchezza nella vita sacramentale della Chiesa. Infine, la persona sofferente viene affidata a un albergatore, affinché possa continuare a prendersi cura di lei, senza badare a spese. Ora, chi è questo albergatore? È la Chiesa, la comunità cristiana, siamo noi, ai quali ogni giorno il Signore Gesù affida coloro che sono afflitti, nel corpo e nello spirito, perché possiamo continuare a riversare su di loro, senza misura, tutta la sua misericordia e la salvezza. 2. Questo mandato è ribadito in modo esplicito e preciso nella Lettera di Giacomo, dove raccomanda: «Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo solleverà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (5,14-15). Si tratta quindi di una prassi che era in atto già al tempo degli Apostoli. Gesù infatti ha insegnato ai suoi discepoli ad avere la sua stessa predilezione per i malati e per i sofferenti e ha trasmesso loro la capacità e il compito di continuare ad elargire nel suo nome e secondo il suo cuore sollievo e pace, attraverso la grazia speciale di tale Sacramento. Questo però non ci deve fare scadere nella ricerca ossessiva del miracolo o nella presunzione di poter ottenere sempre e comunque la guarigione. Ma è la sicurezza della vicinanza di Gesù al malato e anche all’anziano, perché ogni anziano, ogni persona di più di 65 anni, può ricevere questo Sacramento, mediante il quale è Gesù stesso che ci avvicina. Ma quando c'è un malato a volte si pensa: “chiamiamo il sacerdote perché venga”; “No, poi porta malafortuna, non chiamiamolo”, oppure “poi si spaventa l’ammalato”. Perché si pensa questo? Perché c’è un po’ l’idea che dopo il sacerdote arrivano le pompe funebri. E questo non è vero. Il sacerdote viene per aiutare il malato o l’anziano; per questo è tanto importante la visita dei sacerdoti ai malati. Bisogna chiamare il sacerdote presso il malato e dire: “venga, gli dia l’unzione, lo benedica”. È Gesù stesso che arriva per sollevare il malato, per dargli forza, per dargli speranza, per aiutarlo; anche per perdonargli i peccati. E questo è bellissimo! E non bisogna pensare che questo sia un tabù, perché è sempre bello sapere che nel momento del dolore e della malattia noi non siamo soli: il sacerdote e coloro che sono presenti durante l’Unzione degli infermi rappresentano infatti tutta la comunità cristiana che, come un unico corpo si stringe attorno a chi soffre e ai familiari, alimentando in essi la fede e la speranza, e sostenendoli con la preghiera e il calore fraterno. Ma il conforto più grande deriva dal fatto che a rendersi presente nel Sacramento è lo stesso Signore Gesù, che ci prende per mano, ci accarezza come faceva con gli ammalati e ci ricorda che ormai gli apparteniamo e che nulla - neppure il male e la morte - potrà mai separarci da Lui. Abbiamo questa abitudine di chiamare il sacerdote perché ai nostri malati – non dico ammalati di influenza, di tre-quattro giorni, ma quando è una malattia seria – e anche ai nostri anziani, venga e dia loro questo Sacramento, questo conforto, questa forza di Gesù per andare avanti? Facciamolo!”. Custodiamoci nella preghiera reciproca! Buona domenica a tutti! don Michele
Riflettiamo “insieme” sulla Parola di Dio della Domenica 8 Novembre 2015 XXXII Domenica del Tempo Ordinario (1Re 17,10-16; Sal 145; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44)
La Liturgia di questa domenica ci addita due vedove come modello da seguire nella capacità di donazione e gratuità. Due “vedove” cioè due persone “scartate”, “emarginate”, “ultime”! Le vedove, infatti, insieme agli orfani e agli stranieri, erano tra le persone più povere tra i poveri: avendo perso il marito, venivano sfruttate, erano esposte, senza alcuna protezione! Il pio Israelita, perciò, il credente era chiamato (ed è chiamato) a farsi carico - quale segno della presenza di Dio, che si prende cura e si fa carico di tutti - dei più fragili. La Liturgia di questa domenica, però, va oltre l’appello a curarsi, a farsi carico degli ultimi! La Liturgia di questa domenica ci spinge ad imparare dagli ultimi, a diventare ultimi! Nella vedova di Sarepta di Sidone e in quella che viene notata e lodata da Gesù possiamo vedere realizzate le beatitudini che abbiamo riascoltato domenica scorsa, solennità di Tutti i Santi. Dalla vedova di Sarepta di Sidone dobbiamo imparare che, anche per noi, fidandoci della Parola di Dio, la “farina della giara” non verrà meno e “l’orcio dell’olio” non diminuirà, nella misura in cui sapremo condividere e non penseremo prima e solo a noi stessi! La vedova di Sarepta di Sidone ne aveva e come di motivi per non assecondare la richiesta, apparentemente pretenziosa del profeta Elia! Non solo era vedova, non solo doveva provvedere per lei e per suo figlio, rimasto orfano! Ma doveva far questo in un tempo di particolare crisi, di carestia prolungata: “quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi”! Il ragionamento che ella fa, perciò, è molto simile a tanti nostri egoistici ragionamenti: “Come posso dare qualcosa ad un altro se poi manca per me? Se poi manca per mio figlio?”. Quante volte anche noi ci lasciamo frenare, bloccare, ripiegare da ragionamenti come questo! Ma ragionando così precipitiamo verso la morte: “Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo”! La mangeremo e poi moriremo! Oggi dobbiamo lasciare che la Parola di Dio sia più forte del nostro apparentemente giustificabile egoismo: “Non temere ... prima prepara una piccola focaccia per me e portamela ... così dice il Signore”! E dalla generosa capacità di condivisione, radicata sulla Parola di Dio, nasce qualcosa di inaspettato: “La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia”. Dalla vedova, notata e lodata da Gesù mentre getta nel tesoro del tempio due monetine, dobbiamo imparare la capacità di donazione totale: “Tutti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”. L’amore, l’attenzione agli altri, perché sia capace di “saziare il cuore”, di farci sperimentare la “beatitudine”, la “felicità”, non può essere fatto di scarti, di superfluo! Quante volte mettiamo a disposizione degli altri, dei più poveri, solo il superfluo, ciò che non serve più! E quante volte, dietro la maschera di un gesto di carità, nascondiamo un cuore ancora infelice! Le due vedove della Liturgia di oggi ci aiutano a comprendere com’è l’Amore di Dio per noi, un Amore che dà e condivide tutto, Misericordioso e Totale, e come dev’essere il nostro amore per essere capace di darci e dare felicità. Solo condividendo e donando tutto troveremo e riceveremo tutto: aiutaci, Signore, a pensare e a vivere così! Amen. AVVISI - DA LUNEDÌ 9 A VENERDÌ 13 NOVEMBRE don Michele sarà a Firenze per partecipare al Convegno Ecclesiale Nazionale. Le celebrazioni, nei giorni di assenza, saranno presiedute da DON JOSEPH AMEUWO (Tel. 3498459924).
- DA LUNEDÌ 9 A VENERDÌ 13 NOVEMBRE TUTTE LE CELEBRAZIONI SARANNO NELLA CHIESA “S. EUSEBIO”. La chiesa “S. Giuseppe” resterà chiusa per alcuni lavori di risistemazione.
- GIOVEDÌ 12 alla celebrazione della S. Messa seguirà l’ADORAZIONE EUCARISTICA.
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