Come tutti, da sempre, anche le nostre madri e i nostri padri muoiono. E, prima o poi, bisogna re-incontrarli, per non lasciare la nostra vita ancora più sospesa nel vuoto. Con mio padre, silente, riservato, discreto, talvolta, assente nelle decisioni significative, l’incontro dopo la morte, è stato più ravvicinato nel tempo e, forse, meno complicato, meno inquieto, meno passionale. Insomma, una perdita elaborata con relativa tranquillità, fermo restando il peso di un’assenza. Con la propria madre il discorso cambia, diventa più tortuoso e coinvolgente, e le implicazioni, le incomprensioni, le ambivalenze, i sensi di colpa perdurano nel tempo. In ogni caso, fare i conti con la propria madre non è mai troppo tardi, anche se l’analisi non è mai definitiva, né pacificante.
Cambia poco se la madre sia morta di recente o anni fa. Anzi, forse, l’incontro, il confronto, l’esame con la propria madre che non c’è più, come presenza fisica, consente, talora, un approccio più sereno, più gentile, più comprensivo, nei confronti di una figura che ha segnato e continua a segnare la nostra vita. Voglio dire che, sbollita la rabbia, elaborati i conflitti, recisi i cordoni ombelicali, placati i risentimenti, conquistata una certa indipendenza emotiva e, quindi, un relativo distacco, il nostro incontro con la madre(da furioso e dolce, di una volta) diventa più intenso, più lucido, più tenero, più accogliente e più maturo. Personalmente l’occasione per ri-esaminare, ancora una volta e certamente non sarà l’ultima, il rapporto con la madre, a volte tempestoso, turbolento e colpevolizzante, mi è stato offerto dalla lettura dell’ultimo libro di Massimo Recalcati (Le mani della madre, Feltrinelli). Libro al quale farò un rapido e breve riferimento, a partire dalle “stupende benedette mani” delle madri, che Recalcati riprende da una poesia di Rainer Maria Rilke(Le mani della madre). L’autore parte da un ricordo lontanissimo( aveva 9 anni, circa), che non l’ha mai abbandonato. Insieme alla madre stanno guardando un film in tv in bianco e nero tratto da un episodio di cronaca: una madre trattiene nelle sue mani il proprio bambino rimasto aggrappato per ore alla ringhiera di un balcone. Alla fine, aiutata da un passante, le mani della madre salvano il proprio bambino sospeso nel vuoto. Ispirato da questo ricordo, Recalcati ci fa dono di un libro chiaro, profondo, stimolante. Una vera e preziosa occasione per ripensare il ruolo e la figura della madre, da non santificare né vampirizzare, ma da conoscere nella sua grandezza e nei suoi limiti. Due piccole annotazioni, infine. La prima. Talvolta, capita che le mani delle madri sono benedette per l’instancabile fare, per la fatica, per il sacrificio, per la disponibilità nelle cose, per lo spendersi senza calcoli, non altrettanto benedette sono nell’avarizia dei baci, degli abbracci, nel lesinare una carezza, un sorriso, un incoraggiamento. Una povertà emotiva che, forse, rimanda alla madre della madre e alle condizioni economiche e culturali.
La seconda. Un mio ricordo lontanissimo risale a quando avevo circa 3 anni. Dal balcone di una mia vicina, una tiepida mattina primaverile, piangevo disperatamente, gridavo e mi straziavo, perché non volevo essere lasciato da mia madre, che con mia sorella partivano per un pellegrinaggio verso una località, che in seguito avrebbe segnato tanta parte della mia vita. E’ un primo ricordo che conservo, non sospeso nel vuoto, ma abbandonato, per una giornata. Lacrime amare e incancellabili ferite. Bisogna essere giusti con la madre, scrive alla fine Recalcati, magari, domandosi,qualche volta, cosa abbiamo fatto noi figli per la madre. Per parlarne, occorrerebbe scrivere non un libro, ma tanti libri. Intanto, continuiamo nella ricerca, per altri incontri.
Luigi NIGER pubblicato sul "Quotidiano di Calabria "
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