Vangelo di Domenica 9 Agosto |
Scritto da +V.Bertolone | |
domenica, 09 agosto 2015 05:18 | |
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,41-51. - In quel tempo, i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?». Gesù rispose: «Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
XIX Domenica del Tempo Ordinario Nutriti di Eternità 9 agosto 2015 Introduzione La Liturgia di questa diciannovesima domenica del tempo ordinario ci invita a proseguire la meditazione sul capitolo sesto del Vangelo di Giovanni. La tematica è sempre quella del pane, anzi oggi leggiamo la prima parte del discorso di Gesù sul pane di vita, pronunciato davanti ad un uditorio alquanto incredulo, scettico e pieno di pregiudizi. Proprio dallo scetticismo di questo uditorio, formato per lo più da Giudei, muoviamo per riflettere sul primo punto della nostra meditazione odierna: solo la fede è la via che ci conduce al riconoscimento dell’identità divina di Cristo. Quindi - e passiamo al secondo punto della meditazione – accettando e accogliendo il mistero di Cristo, comprendiamo il significato vero delle Sue affermazioni “Io sono il pane della vita […] Io sono il pane vero, disceso dal cielo” (Gv 6, 48.51) e la loro sconvolgente portata. Con queste affermazioni Cristo di fatto si presenta, in modo chiaro e inequivocabile, come quel pane che si cerca, quella gioia che si brama, quella vita che si desidera, che le realtà terrene soddisfano fugacemente, mentre la comunione con Lui appaga per l’eternità. Fede e Pane: queste sono le due parole che devono entrare nel nostro lessico quotidiano, se vogliamo rivestirci fin da ora di eterno. Infatti la fede “più che la ragione, è la via che ci dà Dio: quel Dio che ci sta accanto personalmente, amante e misericordioso, che ci dà una sicurezza come nessuna conoscenza naturale ci può dare” (E. Stein); mentre il pane che offre Gesù è non solo risposta alle tante tragedie che anche oggi flagellano milioni di nostri fratelli, ma è nutrimento di salvezza, cibo di vita eterna.
Il Dio della quotidianità L’inizio del brano del Vangelo è: “I Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: “Io sono il pane disceso dal cielo”. E dicevano: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo?” (Gv 6, 41-42). Ma anche stavolta, i Giudei lo fraintendono come la folla della pericope letta domenica scorsa, cercano d’imprigionarlo nelle loro categorie del passato e nelle pregiudiziali della provenienza. Quello che Gesù afferma suona come una stolta arroganza, un’offesa alle loro orecchie. Per questo essi “mormoravano”, cioè manifestavano il loro dissenso, dichiaravano la loro ostilità nei confronti di quel millantatore sciocco; e così facendo si chiudono davanti alla proposta di Dio. La loro reazione di chiusura netta e violenta è dettata dall’incapacità di riconoscere in Gesù la novità radicale di Dio, perché la inquadrano nell’ottica del “già visto”, di ciò che si sa già. Ma Dio non si lascia rinchiudere nelle categorie limitate e riduttive dei giudizi dell’uomo, semmai le dilata, le spinge oltre, attraverso limiti inimmaginabili, provocando crisi. Questo fa Gesù presentandosi come il pane disceso dal cielo: stravolge l’ottica abituale delle persone in cui si imbatte. Tuttavia, lascia ai Giudei la libertà di “mormorare”, li lascia tornare indietro, permette che esprimano il loro scetticismo, le loro perplessità: in altri termini non li costringe a credere. Non è nelle sue corde costringere qualcuno ad accettare la verità delle sue parole: propone, non impone. È un dono di Dio aver fede in Lui, certo, ma è anche atto di libertà: tutti siamo chiamati a credere, ma non tutti rispondiamo con fede. Molti sono gli ostacoli che ci impediscono di rispondere con fede alla novità di Gesù: uno di questi è proprio lo scandalo, sempre attuale, dell’incarnazione: “Di lui non conosciamo il padre e la madre?”. Non si accetta il fatto che il pane di vita ci venga offerto “nascosto” nell’apparente banalità del quotidiano. E poi, nemo profeta in patria… Si prova una certa difficoltà nel riconoscere un dio che si manifesta nelle cose ordinarie, nelle realtà comuni, come può essere il “pane”. È difficile credere che un dio possa farsi segno nel quotidiano. Eppure l’incarnazione di Cristo ha reso il quotidiano sacramento della presenza di Dio e sacramento della nostra presenza a Dio. Ciò significa che Dio, per rivelarsi, si serve dei piccoli fatti della vita ordinaria; non dobbiamo cercare lontano o altrove Dio, perché Egli si fa trovare nell’abitudinarietà dei gesti ordinari: “Credere significa imparare a leggere gli avvenimenti della propria vita come espressione del passaggio di Dio. Si cede il passo a Dio. Si fa della propria vita questo passaggio…Magari...si passa la propria vita a cercare la strada. E poi, un bel giorno, ci si trova a faccia a faccia con un Passante…Bene…Credere significa aprire gli occhi quel giorno e bisbigliare, perché no?”Buongiorno…Dio!” (P. Talec). Questa è la ferialità della fede: riconoscere e accettare ogni giorno, liberamente, la novità che sopraggiunge, soprattutto quando Essa si presenta sotto la specie comunissima del Pane.
IL Pane di vita Anche oggi l’uomo deve fare i conti con gli ostacoli che gli impediscono di riconoscere e accettare il vero pane di vita. È soprattutto una cultura laicista, razionale e nichilista, retaggio del XIX XX secolo; una cultura che, con le sue “mormorazioni”, arriva a convincere della stessa inesistenza di Dio. Si ripetono le “pompose” dichiarazioni del passato: “Dio è morto, noi lo abbiamo ucciso” (Nietzsche); “Il cielo è alienazione, è oppio, è sovrastruttura”, tuona la cultura laicista; “Il cielo è vuoto. Dio non l’ho trovato da nessuna parte”, ha detto Yuri Gagarin, il primo astronauta della storia. L’uomo rischia in tal modo di restare senza pane, cioè con il cuore senza Dio, con una storia senza senso, con un oggi senza futuro. Ma se noi ci arrendiamo, Dio non si arrende. Egli resta il pane della vita, che risveglia tutte le nostre energie e, con esse, la nostra dignità e libertà. Dio, a dispetto di ogni nostra artificiosa costruzione di pensiero, continua a venire come respiro del nostro respiro, coraggio del nostro coraggio. Egli non viene però per cancellare il deserto della nostra incredulità, non viene come anestesia alla nostra fatica di credere e vivere da uomini di fede; Egli viene come voglia inesauribile di continuare a camminare verso di Lui, come capacità infinita di ricominciare la ricerca di Lui. A sostenerci in questo cammino è il pane di Gesù, il pane che dona la vita e la alimenta; un pane che sazia la fame d’infinito, che dà sostanza e contenuto alla nostra ricerca. Questo pane, sceso dal cielo ed entrato nel tempo, si è fatto spezzare, si è dato in cibo, è diventato nutrimento, perché nessuno, mangiandone, sperimenti veramente la morte, si lasci debilitare dalla fatica, scoraggiare dallo sconforto. Un pane capace di farci diventare alimento per gli altri, se solo ci lasceremo sminuzzare da Dio, come tante molliche.
Conclusioni Abbandonarsi a tutto ciò significa accettare che la propria vita sia sconvolta, ribaltata, trasformata. Significa dare sapore, odore e colore nuovi a tutto quanto prima era insipido, inodoro e spento. Significa farsi afferrare dalla forza di quel Pane che genera la novità e trasforma la vita, risiedendo nel principio stesso della sua lievitazione: l’Amore. “Mangi il pane e non ti tieni in piedi, bevi l’acqua e non ti disseti, tocchi le cose e non le senti al tatto, annusi il fiore e il suo profumo non arriva alla tua anima. Se però l’Amato è accanto a te, è dentro di te, tutto, improvvisamente, risorge, e la vita ti inonda con tale forza che ritieni il vaso d’argilla della tua esistenza incapace a sostenerla” (C. Yamaras). Conoscere dunque l’Amore assoluto, l’Amore vero e nutrirsene significa: guadagnare la vita vera e piena; essere non allegri ma veramente felici; non godere, ma gioire; non agire, ma creare. Nutrirsi di questo Pane lievitato dall’Amore significa infine sentirsi abitati da una Presenza che si dona in modo pieno e per sempre. +Vincenzo Bertolone
XIX DOMENICA TO – B 9 agosto 2015 Il racconto che ascoltiamo nella prima lettura, tratta dal Primo libro dei Re, è un racconto carico di fascino: Dio non lascia il suo servo Elia in preda alla disperazione, alla depressione, ma interviene offendo un cibo e una bevanda capaci di rimetterlo in piedi e in cammino. Dopo aver sconfitto i profeti di Baal, infatti, Elia era fuggito, poiché Gezabele, moglie del re Acab, il quale aveva esposto il popolo alla siccità a causa della sua perversione idolatrica, lo voleva uccidere. Dopo aver denunciato Acab, dopo aver combattuto vittoriosamente contro i profeti di Baal, però, Elia vacilla e si lascia cadere in una forma di disperata depressione, al punto di desiderare la morte! Anche noi, a volte, come Elia, ci lasciamo cadere nella disperazione e nello sconforto. A volte, oppressi dalla fatica del cammino, preferiremmo anche noi morire! Oggi, a noi come ad Elia, il Signore ripete: “Àlzati, mangia”! Elia, nutrito e ristorato riprende il cammino, supera la depressione! A noi, oggi, il Signore offre un cibo e una bevanda migliori di quelli offerti ad Elia: il Pane del cielo, “perché chi ne mangia non muoia”! Gesù, che si offre a noi nella Parola e nell’Eucaristia, è l’unico pane capace di salvarci dalla disperazione, dalla depressione, dalle paure ... Gesù è il Pane che sempre ci rimette in piedi e ci nutre! Davanti all’offerta straordinariamente generosa di Gesù, però, alcuni – annota l’evangelista Giovanni – “mormorarono contro di Lui”. La “mormorazione” è l’atteggiamento saccente e malpensante di chi è incapace di andare oltre le apparenze e di quanti, sostituendosi a Dio, giudicano gli altri secondo criteri ottusi e ristretti, incapaci di cogliere la novità della presenza di Dio, che è all’opera nella storia. Dio è presente ed è all’opera anche oggi! Ma quanti siamo capaci di coglierne la presenza? Non cediamo spesso anche noi a ragionamenti rassegnati e sconfortanti, facendo di noi stessi la misura di tutte le cose? Anche oggi, perciò, siamo invitati a “lasciarci ammaestrare da Dio” o, utilizzando le parole di san Paolo, ad essere “imitatori di Dio”. L’elenco di atteggiamenti che lo stesso san Paolo ci suggerisce, nella seconda lettura, potrebbe aiutarci a passare dall’essere “mormoratori” all’essere “consolati consolatori”. San Paolo, infatti, ci chiede di impegnarci per far “scomparire” dalla nostra vita “asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità” e, parimenti, ci chiede di impegnarci nell’essere “benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandoci a vicenda come Dio ha perdonato a noi in Cristo”. Così facendo, infatti, vedremo e gusteremo pienamente, concretamente, “com’è buono il Signore” ... che sempre ci invita a rialzarci, che sempre ci nutre ... e che ci invia, ci manda a rialzare e a nutrire quanti, come Elia, si lasciano cadere nel baratro della disperazione e della depressione. Donaci sempre, Signore, di gustare e vedere la tua bontà! Amen. don Michele Munno |
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