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Vangelo di Domenica 5 Luglio PDF Stampa E-mail
Scritto da don M.Munno   
sabato, 04 luglio 2015 07:09
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,1-6. - In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: «Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani?  Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?». E si scandalizzavano di lui. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E non vi potè operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì.  E si meravigliava della loro incredulità. Gesù andava attorno per i villaggi, insegnando. (In coda trovate anche il commento di mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro)

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Viale magna grecia, 1 – 87011 Cassano all’Ionio (CS) – Tel. 098174014

 “in-formati”

Foglio settimanale parrocchiale

di formazione e informazione

5 – 12 LUGLIO 2015 

camminando insieme

UN GIUBILEO STRAORDINARIO … DI MISERICORDIA! (13)

 Continuiamo la lettura della Bolla Misericordiae Vultus, che ci aiuta a comprendere lo “spirito” del Giubileo straordinario della misericordia e a prepararci adeguatamente ad esso.

«20. Non sarà inutile in questo contesto richiamare al rapporto tra giustizia e misericordia. Non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà che si sviluppa progressivamente fino a raggiungere il suo apice nella pienezza dell’amore. La giustizia è un concetto fondamentale per la società civile quando, normalmente, si fa riferimento a un ordine giuridico attraverso il quale si applica la legge. Per giustizia si intende anche che a ciascuno deve essere dato ciò che gli è dovuto. Nella Bibbia, molte volte si fa riferimento alla giustizia divina e a Dio come giudice. La si intende di solito come l’osservanza integrale della Legge e il comportamento di ogni buon israelita conforme ai comandamenti dati da Dio. Questa visione, tuttavia, ha portato non poche volte a cadere nel legalismo, mistificando il senso originario e oscurando il valore profondo che la giustizia possiede. Per superare la prospettiva legalista, bisognerebbe ricordare che nella Sacra Scrittura la giustizia è concepita essenzialmente come un abbandonarsi fiducioso alla volontà di Dio.

Da parte sua, Gesù parla più volte dell’importanza della fede, piuttosto che dell’osservanza della legge. È in questo senso che dobbiamo comprendere le sue parole quando, trovandosi a tavola con Matteo e altri pubblicani e peccatori, dice ai farisei che lo contestavano: «Andate e imparate che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13). Davanti alla visione di una giustizia come mera osservanza della legge, che giudica dividendo le persone in giusti e peccatori, Gesù punta a mostrare il grande dono della misericordia che ricerca i peccatori per offrire loro il perdono e la salvezza. Si comprende perché, a causa di questa sua visione così liberatrice e fonte di rinnovamento, Gesù sia stato rifiutato dai farisei e dai dottori della legge. Questi per essere fedeli alla legge ponevano solo pesi sulle spalle delle persone, vanificando però la misericordia del Padre. Il richiamo all’osservanza della legge non può ostacolare l’attenzione per le necessità che toccano la dignità delle persone.

Il richiamo che Gesù fa al testo del profeta Osea – «voglio l’amore e non il sacrificio» (6,6) – è molto significativo in proposito. Gesù afferma che d’ora in avanti la regola di vita dei suoi discepoli dovrà essere quella che prevede il primato della misericordia, come Lui stesso testimonia, condividendo il pasto con i peccatori. La misericordia, ancora una volta, viene rivelata come dimensione fondamentale della missione di Gesù. Essa è una vera sfida dinanzi ai suoi interlocutori che si fermavano al rispetto formale della legge. Gesù, invece, va oltre la legge; la sua condivisione con quelli che la legge considerava peccatori fa comprendere fin dove arriva la sua misericordia.

Anche l’apostolo Paolo ha fatto un percorso simile. Prima di incontrare Cristo sulla via di Damasco, la sua vita era dedicata a perseguire in maniera irreprensibile la giustizia della legge (cfr Fil 3,6). La conversione a Cristo lo portò a ribaltare la sua visione, a tal punto che nella Lettera ai Galati afferma: «Abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge» (2,16). La sua comprensione della giustizia cambia radicalmente. Paolo ora pone al primo posto la fede e non più la legge. Non è l’osservanza della legge che salva, ma la fede in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione porta la salvezza con la misericordia che giustifica. La giustizia di Dio diventa adesso la liberazione per quanti sono oppressi dalla schiavitù del peccato e di tutte le sue conseguenze. La giustizia di Dio è il suo perdono (cfr Sal 51,11-16)».

Camminiamo insieme verso il Giubileo straordinario! Intanto buona domenica e serena settimana!

                                                               don Michele

 

Riflettiamo “insieme” sulla Parola di Dio della Domenica

5 luglio 2015

XIV Domenica del Tempo Ordinario

(Ez 2,2-5; Sal 122; 2Cor 12,7-10; Mc 6,1-6)

 

La domanda di fondo a partire dalla quale l’Evangelista Marco tesse la trama del suo racconto evangelico è quella sull’identità di Gesù.

Gesù stesso, infatti – lo ascolteremo tra qualche domenica – accompagna i suoi discepoli nei pressi di Cesarea di Filippo per chiedergli: “Ma voi, chi dite che io sia?”.

Nella pagina del Vangelo che ci viene consegnata oggi, le domande degli abitanti di Nazaret tendono a quella “domanda di fondo”: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?”. Ma la risposta che essi danno a tali interrogativi è profondamente deludente: “Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”. E l’Evangelista, con grande franchezza annota: “Ed era per loro motivo di scandalo”.

 

Quest’annotazione amareggiata, seguita dalle parole di Gesù sul profeta “disprezzato” nella propria patria, deve farci riflettere!

Anche per noi, infatti, Gesù diventa “motivo di scandalo” quando non siamo capaci di andare oltre il rito, la religiosità, di andare oltre una certa pratica “annacquata” di vita cristiana che alla lunga corrompe e ci fa vivere quella “mondanità spirituale” così stigmatizzata da Papa Francesco!

Gesù diventa per noi “motivo di scandalo” quando viviamo da “cristiani tiepidi”, quando non ci impegniamo seriamente a vivere la “rivoluzione delle beatitudini”, che ci rende sale del mondo e luce della terra!

Gesù diventa motivo di scandalo perché, in verità, la sua vita, il suo esempio, il suo insegnamento ci scandalizza e pensiamo che la vita “reale” sia molto diversa da quella che ci viene prospettata nei Vangeli ... e non ci impegniamo a cambiare, o meglio a lasciarci cambiare, a lasciarci incontrare sul serio da Gesù!

E così, rischiamo di vivere da scontenti rassegnati!

 

A noi, “razza di ribelli”, “figli testardi e dal cuore indurito”, sempre nuovamente il Padre consegna il suo Figlio Gesù, il vero e definitivo Profeta, che ci rivela “tutto ciò che ha udito dal Padre”!

Da noi, oggi, che siamo “suoi parenti e sua casa”, Egli richiede un’accoglienza diversa da quella riservatagli a Nazaret!

Per noi Gesù non può essere motivo di scandalo!

A noi oggi Egli ripete le parole rivolte a Paolo: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”!

Che ciascuno di noi, coraggiosamente, possa ripetere con Paolo: “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte”.

 

Infatti, se faremo nostro l’atteggiamento spirituale di Paolo, radicalmente diverso da quello “mondano” degli abitanti di Nazaret, permetteremo a Gesù di operare nella nostra vita e, con la nostra vita, nella nostra storia numerosi prodigi, che a Nazaret non poté operare a causa dello “scandalo” provocato nei suoi concittadini.

Aiutaci, Signore Gesù, a non scandalizzarci di Te! Ripetici ancora, come a Paolo: Ti basta la mia grazia ... e con la tua grazia saremo capaci di compiere cose meravigliose! Amen.

 

COMMENTO AL VANGELO DI MONS. VINCENZO BERTOLONE

XIV Domenica del tempo ordinario

5 luglio 2015

Introduzione

Molti fedeli, probabilmente, sono in vacanza inseguendo il meritato riposo alla faticosa routine del quotidiano. In fondo la vacanza è sinonimo di svago, di liberazione momentanea da responsabilità e preoccupazioni; è come uno spogliarsi provvisorio dei vestiti di rappresentanza ( che sia il ruolo sociale, l’impegno professionale e quant’altro) per indossare quelli meno impegnativi e più leggeri dell’ozio “vacanziero”. Oggi è entrata nell’uso l’espressione di sapore elettronico “staccare la spina”. Però, vacanza o non, la Parola di Dio è sempre con noi, a provocarci, a scuoterci, a farci riflettere sul nostro modo di essere cristiani, interpellandone lo stile (missione) e il contenuto (annuncio). In particolare, in questa XIV Domenica del Tempo Ordinario, la Scrittura aggiunge un tassello al mosaico della identità cristiana: se domenica scorsa abbiamo parlato di vocazione, oggi parliamo di missione. In realtà sono due facce della stessa moneta: non c’è vocazione senza missione, ovvero la vocazione battesimale ci abilita ad essere discepoli e apostoli, seguaci di Cristo ma con la responsabilità dell’annuncio e della testimonianza: diversamente non si è cristiani. Due volti complementari e necessari vanno, dunque, pensati per il cristiano, anche quando è in vacanza: quello del “chiamato” e quello dell’ “inviato”, i cui lineamenti scopriremo oggi, attingendo direttamente dalla Parola.

Necessari preamboli

Prima di costruire un ritratto dell’ «inviato», così come emerge dalla pagina del vangelo di Luca, sgombriamo il campo da ogni dubbio possibile: se pensiamo che essere inviati riguardi solo poche persone (missionari, sacerdoti, consacrati) o che esso comporti necessariamente andare in terre lontane, sbagliamo; ma sbaglieremmo  anche se pensassimo di poter partire da soli, cioè investiti di un mandato rigorosamente individuale. Sbaglieremmo,infine, pensando che per annunciare e testimoniare ci vogliono dei “supereroi”. Innanzitutto Gesù invia tutti i cristiani (“Il Signore designò altri settantadue”) (Lc 10,1), ed è questo il primo annuncio: si è cristiani quando non si tace l’esperienza dell’incontro con Cristo. In virtù del nostro battesimo siamo chiamati ad essere cristiani e lo scopo di questa vocazione è la missione. È questo il modo originale che il Signore ha trovato per restare uomo tra gli uomini, continuando ad annunciare che Dio è veramente vicino e che il cielo ancora racchiude la terra per proteggere e rinnovare dal profondo il mondo dell’uomo. Quindi non si può vivere come se questo mandato missionario non ci riguardasse: se siamo chiamati ad essere cristiani, siamo anche inviati. Non si può, inoltre, pensare che l’ “invio” interessi poche parti del mondo. Se ci viene malinconia nel vedere chiese semideserte, se rifiutiamo l’idea di vivere in una società che ha dimenticato Dio e, dunque, profondamente “dis-evangelica” nelle sue sovra-, infra- e sub-strutture valoriali e sociali, dobbiamo avvertire forte l’urgenza dell’annuncio. Dobbiamo, in sostanza, aiutare gli altri a riscoprire la presenza del Maestro nel tessuto dell’esistenza quotidiana, facendolo non solo con la parola, ma soprattutto con l’esempio. L’annuncio, poi, non è un’avventura solitaria: è una comunità che manda, sostiene e accompagna lungo le strade della testimonianza. A ben guardare, il secondo annuncio che emerge dalla pericope lucana, (“e l’inviò a due a due”, Lc 10,1), è un gesto concreto di comunione, è la proclamazione della vittoria sulla solitudine. Di fatto un conto è partire soli, un conto in compagnia di un amico, membro della stessa comunità che dà conferma dell’essere cercato, chiamato, scelto, amato, inviato. Quando le difficoltà del viaggio sommate alla solitudine potrebbero scoraggiarci, avere qualcuno su cui appoggiarsi infonde fiducia. Per questo l’annuncio è avventura da viversi in comunità, è evento da celebrare in comunione. E, infine, l’annuncio non richiede forza sovraumana o intelligenza fuor dal comune, né eroismi. Basta essere uomini, comportarsi da uomini. Solo allora l’annuncio della vicinanza di Dio sarà veramente credibile, giacché più ci si immedesima nella propria umanità, più Dio si fa prossimo. L’unica preoccupazione dell’inviato è di farsi infinitamente piccolo perché il suo annuncio possa essere infinitamente grande.

Profilo dell’inviato

Una volta sgombrato il campo da ogni fraintendimento, si può tracciare la fisionomia dell’inviato, nella quale, in realtà, tutti noi battezzati dovremmo riconoscerci, o quanto meno, provarci. E così scopriremmo che sorgente e nutrimento della missione è la preghiera: essere apostoli, infatti, non è frutto di un nostro disegno, ma nasce dalla preghiera, nella quale andranno cercati lo stimolo, la forza, l’orientamento all’azione. E qualora questo intimo collegamento con la sorgente venga meno, assisteremo ad un fuoco che si spegne, ad un apostolato che si riduce ad un “mestiere”. L’inviato, poi, si compiace della debolezza e della mansuetudine , che non sono atteggiamenti di rinuncia e rassegnazione, ma espressioni della volontà di donarsi senza riserve, senza pretese e, soprattutto, liberamente. L’unica forza a sua disposizione è una parola disarmata e disarmante, che può essere respinta, derisa, contraddetta. E anche di fronte al rifiuto e all’ostilità, la parola d’ordine del missionario è libertà, è testimonianza pacifica e serena, è dolcezza e amore anche verso l’ostinata negazione. Lo stile dell’iniziato è la povertà. L’efficacia della missione non dipende dai mezzi umani impiegati, non da opere colossali, non da strutture imponenti, o da tecniche all’avanguardia poste in atto. Anzi, l’assenza di tutto ciò rappresenta una possibilità in più per rendere più credibile l’annuncio. Liberato da tutte le pesanti sovrastrutture create dall’uomo, e che di umano hanno poco, si sforza di presentare l’originaria condizione umana, quella buona e bella quale è uscita dalle mani di Dio, prima del pane, del denaro, del vestito, prima cioè di abbandonare la fiducia nella provvidenza divina, lasciandosi travolgere dalla inquietudine dell’avere e del potere, ancor prima che l’aspirazione naturale dell’uomo alla pace e alla carità venga soffocata dalla smania di prevaricazione. Questa originalità semplice, inoltre, si accompagna all’essenzialità, ovvero alla capacità di discernere e scegliere ciò che veramente conta, senza attardarsi nei cerimoniali mondani, nei ritualismi celebrativi, dove l’apparire trionfa nelle maschere della vanità e dell’esteriorità. L’apostolo, invece, non è uno che “appare”, non si compiace dei privilegi, degli inchini, dei sorrisi formali o dei discorsi di circostanza: egli “scuote la polvere” dei battimani, dei consensi organizzati, degli ossequi superficiali, delle adesioni di convenienza, degli entusiasmi episodici, che tutto fanno fuorché far emergere la verità del Vangelo. Però il suo comportarsi rigorosamente secondo lo stile del Vangelo lo farà apparire un sovversivo, attirando su di sé la malevolenza, l’ostilità e perfino l’ostracismo del mondo, di cui “intende” minare il sistema di valori basato sulla vanità, sulla competizione, sul denaro, per cui un uomo vale per la quantità delle cose che possiede, non certo per i suoi valori, la sua dignità, la verità profonda che lo rende ciò che è; vale se è capace di manipolare gli altri. In opposizione a tutto questo “naviga” la barca dell’apostolo e anche se fosse costretto ad attraccare, non importa, la gioia per la traversata non lo abbandona, la speranza di arrivare alla meta non scema. Egli sa, infatti, che oltre ogni tempesta c’è sempre il sereno e il vento che placidamente gonfia le vele, così il male non può vincere sul bene, e l’errore non prevalere sulla verità. Dio è prima di Satana e la vittoria su di lui già l’ha riportata Cristo sulla croce. Forte di questa verità, e nonostante le delusioni del presente, l’apostolo sa di potere vincere e di poter iscrivere il proprio nome nel libro della vita terna. È bello e confortante sapere che questa speranza è propria di ogni cristiano.

Conclusioni

Scrive lo scrittore francese F. Mauriac: “Per me la predicazione più efficace del sacerdote è sempre stata la sua vita. Un buon prete non ha nulla da dirmi: io lo guardo e ciò mi basta”. Estenderei queste parole, magari rivestendole di una patina orante, a tutti i cristiani che, proprio in virtù del proprio battesimo, sono diventati per il popolo di Dio anche sacerdoti. Cambiando alcune parole, aggiungendone o togliendone altre, e trasformando la frase in preghiera, la riscriverei così: “Prego affinché l’annuncio più efficace di ogni cristiano sia sempre la propria vita, giacché un buon cristiano non ha nulla da dire: lo si guarda e ciò basta”. È così che la missione diventa contagiosa.

Serena domenica

X Vincenzo Bertolone

 

 

 

AVVISI

 

- Per tutta l’estate la S. Messa vespertina sarà alle ore 19,30.

 

- Chi intende far CELEBRARE SS. MESSE in suffragio di fedeli defunti o per altre INTENZIONI può comunicarlo al Parroco.

 


 

DOMENICA 5 LUGLIO verde

 

XIV DOMENICA TEMPO ORDINARIO

Liturgia delle ore seconda settimana

 

Ez 2,2-5; Sal 122; 2Cor 12,7-10; Mc 6,1-6

I nostri occhi sono rivolti al Signore

FESTA DELLA

B.V.MARIA DELLE GRAZIE

Ore 8,30 – Chiesa “S. Giuseppe”: S. MESSA

Def. Davide

Ore 19,30 – Chiesa “S. Eusebio”: S. MESSA

Def. Silvana

Segue FIACCOLATA CON L’IMMAGINE DELLA B.V.MARIA DELLE GRAZIE

LUNEDI’ 6 LUGLIO rosso

 

Liturgia delle ore seconda settimana

S. Maria Goretti – memoria facoltativa

 

Gen 28,10-22a; Sal 90; Mt 9,18-26

Mio Dio, in te confido

Ore 19,30 – Chiesa “S. Eusebio”: S. MESSA

Def. Gemma

MARTEDI’ 7 LUGLIO verde

 

Liturgia delle ore seconda settimana

 

Gen 32,23-33; Sal 16; Mt 9,32-38

Nella giustizia, Signore, contemplerò il tuo volto

Ore 19,30 – Chiesa “S. Giuseppe”: S. MESSA

Def. Domenico

MERCOLEDI’ 8 LUGLIO verde

 

Liturgia delle ore seconda settimana

 

Gen 41,55-57; 42,5-7a.17-24a; Sal 32; Mt 10,1-7

Gustate e vedete come è buono il Signore

Ore 19,30 – Chiesa “S. Eusebio”: S. MESSA

Def. Anime del Purgatorio

GIOVEDI’ 9 LUGLIO verde

 

Liturgia delle ore seconda settimana

 

Gen 44,18-21; 23b-29; 45,1-5; Sal 104; Mt 10,7-15

Ricordiamo, Signore, le tue meraviglie

Ore 19,30 – Chiesa “S. Giuseppe”: S. MESSA

Def. Rodolfo

 

VENERDI’ 10 LUGLIO verde

 

Liturgia delle ore seconda settimana

 

Gen 46,1-7.28-30; Sal 36; Mt 10,16-23

La salvezza dei giusti viene dal Signore

Ore 19,30 – Chiesa “S. Eusebio”: S. MESSA

Def. Giuseppe Leonardo

SABATO 11 LUGLIO bianco

 

S. BENEDETTO Patrono d’Europa

Festa - Liturgia delle ore propria

 

Pr 2,1-9; Sal 33; Mt 19,27-29

Gustate e vedete com’è buono il Signore

Ore 8,30 – Chiesa “S. Giuseppe”: S. MESSA

Def. Mario Vincenzo

Ore 17,30 – Chiesa “S. Eusebio”:

MATRIMONIO DI ANDREA G. E TERESA B.

Ore 19,30 – Chiesa “S. Eusebio”: S. MESSA

Pro populo

 

DOMENICA 12 LUGLIO verde

 

XIV DOMENICA TEMPO ORDINARIO

Liturgia delle ore terza settimana

 

Am 7,12-15; Sal 84; Ef 1,3-14; Mc 6,7-13

Mostraci, Signore, la tua misericordia

Ore 8,30 – Chiesa “S. Giuseppe”: S. MESSA

Def. Vittorio

 

Ore 19,30 – Chiesa “S. Eusebio”: S. MESSA

Def. Emilio e Rosina

 

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