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Riciclare "necesse est" PDF Stampa E-mail
Scritto da Della Ragione-Pellizzari   
sabato, 04 luglio 2015 06:54
ImageDi sostenibilità, che sia essa economica, sociale o ambientale se ne parla sempre di più; è la stella sotto la quale è nato il terzo millennio. Per sviluppo sostenibile intendiamo, secondo la definizione delle Nazioni Unite, "uno sviluppo che risponde alle esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie". A differenza di quanto si è fatto nello scorso secolo, per crescere in maniera sostenibile è fondamentale abbandonare quelle abitudini irrazionali che hanno portato allo sconvolgimento dell'ecosistema planetario. Buco dell'ozono, effetto serra, desertificazione, erosione del suolo, saccheggio di risorse naturali, inquinamento, perdita di biodiversità, sono diventati, con il passare degli anni, vere e proprie emergenze ambientali.

Allo stesso modo, il consumismo, che ha caratterizzato le società post-industriali dei Paesi sviluppati, a scapito di gran parte del mondo in via di sviluppo o in condizioni di povertà, segnala un paradigma culturale non più accettabile. Le risorse naturali raggiungibili, solo un secolo fa, da un'élite limitata, sono adesso divenute una necessità, un bisogno accessibile alle masse.

Pertanto, è lecito chiedersi per quanto tempo il frutto del progresso, del capitalismo e del consumismo, senza se e senza ma, sarà ancora sostenibile. I rischi per le generazioni attuali sembrano, agli occhi di molti, ancora gestibili, ancora controllabili, anche se si continuasse a produrre e a consumare in maniera smoderata e con una cattiva gestione delle risorse e dell'ambiente.

Maggiore inquietudine desta, invece, l'eredità che decideremo di lasciare alle generazioni future. Si impone, allora, un radicale cambiamento del paradigma culturale dell'odierna società consumistica. L'aumento della popolazione mondiale, passata da 2,5 miliardi nel 1950 agli odierni 7 miliardi,esige una rapida e cosciente rivisitazione delle nostre abitudini. Di pari passo, stiamo assistendo ad un rapido allungamento dell'aspettativa di vita che, in meno di due secoli, è aumentata di circa 30 anni;se nel 1845 un bambino di 5 anni aveva un'aspettativa di vita di soli 55 anni, oggi, lo stesso bambino può contare su una vita media di 82 anni. Ne consegue che per soddisfare le necessità di una popolazione mondiale stimata, secondo i dati ONU, a raggiungere i 9 miliardi nel 2050, è necessario abbandonare l'attuale approccio, che ci vede estrarre dalla terra materie prime limitate, utilizzarle una volta sola per realizzare un prodotto e, infine, sbarazzarcene. Uno scenario contraddistinto da un costante aumento della pressione sulle preziose risorse naturali è banalmente non sostenibile.

Puntare su un’economia del riuso é, senza dubbio, una delle sfide future, senza prescindere da una contemporanea riduzione degli sprechi delle risorse a nostra disposizione.

Uno dei modelli che fa riferimento a questo semplice principio è quello dell'economia circolare, cioè un sistema che permette di mantenere il valore implicito delle risorse il più a lungo possibile. Un sistema industriale che é, per l'appunto, di tipo “circolare”, produce idealmente zero rifiuti, integrandosi bene con altri paradigmi economici, come l'economia verde. Tale sistema industriale, possibile grazie ai cambiamenti tecnologici in atto, punta su una maggiore efficienza delle risorse ed implica un cambio radicale nei modelli di business. Certo non è detto che il passaggio ad un'economia di tipo circolare sia semplice, rapido o privo di compromessi e accomodamenti tra le diverse visioni delle parti; ciò detto, questo modello tende a creare ricchezza, invece di distruggerla. Poniamo, ad esempio, il caso di un consumatore che si trova di fronte alla scelta tra acquistare una nuova automobile o mantenere quella vecchia. Nel primo caso l'acquisto implica l'utilizzo di nuove materie prime; mentre, nel secondo,il consumatore opta per allungare la vita del bene producendo vantaggi per un'economia che non consuma nuove risorse, ma dà ricchezza e lavoro a livello locale.

Anche e soprattutto nel settore agroalimentare l'economia del riciclo può dare soluzioni allo spreco di alimenti e risorse agricole. Non è più il tempo delle ribollite preparate dalle nonne con gli avanzi del giorno prima; ancora troppo cibo finisce nelle nostre pattumiere, forse per una non corretta educazione alimentare. Forse, perché il cibo non costa quanto dovrebbe se ai costi della sola filiera alimentare (dal campo alla nostra tavola) si aggiungessero tutta quella serie di costi indiretti che impattano sul territorio con effetti a riverbero sulla nostra salute. Basti pensare al depauperamento delle acque per l'irrigazione, piuttosto che al progressivo impoverimento del suolo agricolo causato dall'abuso di sostanze chimiche e fertilizzanti nocivi che sfruttano in modo non sostenibile terreni e acque inseguendo logiche di mercato a breve termine e a basso costo.

In un'ottica di economia circolare, non è sufficiente intervenire nel minimizzare gli scarti in tutte le fasi della filiera alimentare: della produzione, della trasformazione, dell'imballaggio, della conservazione, del trasporto, della distribuzione fino al consumo. Serve, innanzitutto, un cambiamento culturale che va da una corretta educazione alimentare, già in età scolare,ad uno stile di vita più consapevole e sobrio.

Il concetto di sviluppo sostenibile, in qualsiasi settore si voglia declinare, non può prescindere da un approccio a livello globale. Le scelte del nostro vicino di casa condizionano la nostra qualità di vita e viceversa. Pertanto, al fine di ottimizzare i singoli sforzi delle politiche nazionali, un coordinamento mondiale si rende indispensabile. Comuni obiettivi di sviluppo sostenibile, universalmente applicabili a tutti i paesi, orientati all'azione, concisi e facili da comunicare, sono oggetto di discussione proprio in queste settimane delle diplomazie di tutto il mondo presso le Nazioni Unite. L'auspicio è che tutti gli sforzi messi in campo possano determinare una svolta culturale nei nostri consumi.

Tiziana della Ragione

Enrico Pellizzari

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