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L’IO E L’ALTRO CHE E’ IN NOI PDF Stampa E-mail
Scritto da L.Niger   
domenica, 10 maggio 2015 21:26
ImageIo sono la mia memoria. E’ la mia identità individuale. Noi siamo la nostra memoria. E’ la nostra identità collettiva. Tralascio di inoltrarmi nella foresta, intricata e variegata, della memoria collettiva, senza dimenticare che la mia memoria è fatta, impastata, anche, di memoria collettiva, che una volta era depositata, soprattutto, nei libri, mentre oggi si accumula e si consegna agli strumenti digitali.  Giorni fa, Paola Mastrocola  lamentava che la nostra memoria individuale viene sempre più affidata al digitale. Una vera e propria espropriazione della memoria e, quindi, un impoverimento dell’identità. Una memoria senza carne e senza sangue, senza emozioni ed affetti. Sarà questo il futuro dei nostri nipoti? E con quali conseguenze? Da bambino, come, forse, tutti i bambini, davo libero sfogo alla fantasia, all’immaginazione, all’invenzione. Personaggi, fatti, eventi, cose, tutti pensati, sognati ad occhi aperti,  sulla spinta di giornate vissute con determinate problematiche economiche, affettive, psicologiche, sociali. Insomma, i contenuti fantasticati erano in relazione alle suddette problematiche, in positivo e in negativo. Si andava formando nella mia memoria, quello che un grande  scrittore portoghese, come Pessoa, aveva concettualizzato come eteronomia, cioè la presenza nell’Io dell’Altro, non dell’altro da noi. Antonio Tabucchi, al concetto di eteronomia come sostanza in Pessoa, ha dedicato studi e libri pregevoli, come in parte aveva fatto Saramago. Altri eteronomi?

In ogni caso, dato che in ciascuno di noi è presente una parte segreta, nascosta, misteriosa(di cui mi occupo professionalmente), cioè l’Altro, tale presenza nella condizione umana ha interessato e continua ad interessare tanti uomini di pensiero, artisti e scienziati.

Tornando alla mia infanzia, l’ipertrofia immaginativa, probabilmente compensativa della durezza della vita reale, mi ha portato a convivere con l’eteronimo, cioè l’Altro, ovviamente, sempre riconducile all’Io. Nel corso degli anni i molteplici ricordi, come spesso accade, sono stati integrati, modificati, tagliati, ampliati, per cui la distanza tra l’Io e l’Altro si accorciava. Fino a quando, sia per l’età sia per una certa autorevolezza, si entra in una specie di zona franca, per cui una lieve continua manipolazione dei ricordi non procura più disagio. Anzi, risulta piacevole. E’ come un ritornare alle fantasie infantili.

Possiamo essere tacciati di insincerità? Direi di no. Siamo sinceri, ma, per lo più, non veritieri. Sincerità e verità: “Sono sincera,/ma non per questo/devi credere che io dica la/ verità?”(Maria Luisa Spaziani). In particolare, nelle relazioni amorose, quanto c’è di vero e quanto c’è di sincero? Anche perché all’Altro in noi si aggiungono gli altri da noi.

Da anni scrivo sulle prime pagine delle mie agende un pensiero, profondo e inquietante, di un maestro del Novecento, Paul Ricoeur :”Je suis ce que je me raconte”. Io sono ciò che mi racconto. Veramente illuminante. E’ uno dei modelli interpretativi nel mio lavoro. Le poche cose raccontate fanno parte del mio racconto, grazie alla mia memoria. E siamo tornati al punto dal quale eravamo partiti.

  Luigi NIGER 

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