 Miani e Silvio (sulla destra) Ti ricorderai, era un giornata solare Primavera inoltrata di maggio L’aria già calda e gli alberi Ripieni di foglie verdi da poco nate Qualcuno con abbozzi di frutta In quel mio campo di Maroglio, Ove viveva ritirato quel mio zio Non più giovane contadino. Mangiammo pollo ruspante Fritto con gli odori gradevoli Di Cassano nostra e, un pizzico Di quel piccante peperoncino Che deliziava il palato a tutti.
Eravamo in cinque vecchi amici, Già da tempo giovani ventenni E bevevamo quel vinello rosato Piacevole, che scorreva facile Nelle gole assetate, dopo aver Ammorbidito la bocca dal bruciore Forte piccante che assetava. Amico mio Silvio tu ridevi Tra di noi, come noi ai lazzi gioiosi Che tutti facevamo a turno Sollecitati dal vinello e dall’età. Amico mio chi immaginava, Tu, il più frizzante e caro Dovevi essere il primo tra noi Ad andare via, al di là, nel buio. Cadde il tuo albero, si spezzò Già carico di frutti maturi, All’inizio dell’autunno ricco Di sapori e di fragranze note. Tu cercasti la terra umida Ricca di umori, ma non più d’amori, E noi lasciasti in un deserto Ove l’amicizia, quella pregiata, Non cresce facile perché assetata Di giovinezza ricca di gemme e fiori, Quelli campestri dall’odore genuino, E di colori vividi e lucenti dati dal sole Libero, caldo che rinfranca l’animo. Siamo rimasti già da tempo in questo Strano deserto, ove regna solitaria La sterpaglia nella sabbia arida, Esso è priva di fiori anche a primavera. Per noi non profuma, non sorride Come il pesco, il melo, il pero L’albero di ciliegio in fiore ad aprile. Sai quanta nostalgia di quel tempo, Di quel ridere alla vita, all’amore Di occhi azzurri o neri, Di capelli biondi o neri Sventolati ad arte dallo zefiro vento Che ci lasciava sui visi carezze dolci Come soffici delicati baci di labbre carnose rosse C’incantavano al loro trillare Di luci vivide, saettanti di intese, Sottili messaggi per misteriosi incontri Con donzelle gaie, belle nella gioventù. Silvio amico mio perduto nell’eterno, L’occhio ora è opaco, L’udito è ovattato quasi sparito, La mente piena di nebbia grigia Assillata dal tempo che inclemente passa. La speranza resta sempre viva ma è incerta Spesso è un vano sognare inconsistente. Anche gli anni sommati e molti Parlano, dicono che le radici Non sono tenere, succhiano avide succhi Che non risalgono alle cime dei rami A dare vita a foglie gemme e fiori Ed il sole della primavera scalda poco Non solo la pelle, ma anche il cuore Che ritma piano alle emozioni. Stanco vorrebbe soffermarsi, Riposarsi un attimo, dormire Sognando quel ridere di gioia Facile, invadente, spontaneo Che punzecchiava l’animo Sollecitato a vivere dimentico Degli attimi che volavano via, Lesti a grappoli ed erano dorati. Arrivederci per sorridere ancora insieme, Quando anche l’albero della mia vita cadrà Spezzato da chi ha forze vive Padrone delle ore ferme Nel tempo che non cambia mai.
Michele Miani  Silvio (sulla sinistra) ed altri amici di Michele |