Skip to content

Sibari

Narrow screen resolution Wide screen resolution Increase font size Decrease font size Default font size    Default color brown color green color red color blue color
Advertisement
Vi Trovate: Home arrow l'Opinione arrow Ha ancora un senso il 1° Maggio?
Skip to content
Ha ancora un senso il 1° Maggio? PDF Stampa E-mail
Scritto da F.Filareto   
venerdì, 01 maggio 2015 06:23
ImageQuanti oggi possono festeggiare? Quanti hanno l’animo di festeggiare? Eppure oggi si fa memoria istituzionalizzata del sacrificio e del martirio di migliaia di lavoratori, che hanno pagato con la discriminazione, il carcere, la morte la rivendicazione del diritto di ogni cittadino ad avere un lavoro e di un lavoro dignitoso per orario, condizioni, salario. Perché il lavoro non è una merce. Il lavoro è un valore che produce valori. Il lavoro è un valore umano. Un valore del lavoratore. In ciò che realizza il lavoratore manifesta e realizza se stesso, la sua intelligenza, la sua creatività, il suo vissuto, la sua natura umana.

Perché il lavoratore è sempre un cittadino, una persona, un fine in sé, che ha parità di diritti-doveri ed è uguale a qualsiasi uomo-cittadino-persona-fine in sé. Queste espressioni grondano sofferenze e sangue, sono il risultato di dure conquiste e, in Italia, soltanto nel 1948 hanno ottenuto un riconoscimento in una serie di articoli della nostra Carta costituzionale.
- “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…” (art. 1), il lavoro è il fondamento della Repubblica.
- “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” (art. 4), perché il lavoro è uno dei diritti inviolabili dell’uomo-cittadino (art. 2), il cui godimento garantisce l’eguaglianza non solo giuridica ma anche economico-sociale.
- Anzi “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3).
- “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni…” (art. 35), assicurando al lavoratore:
il “diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro…” (art. 36),
alla donna lavoratrice “gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore…” (art. 37),
ai cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere e ai cittadini in condizioni “di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” anche “il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale” (art. 38),
il diritto di associazione in organizzazioni sindacali che “hanno personalità giuridica” e compiti di rappresentanza dei cittadini-lavoratori (art. 39),
la tutela dei diritti dei cittadini-lavoratori attraverso “il diritto di sciopero…” (art. 40),
il riconoscimento che l’iniziativa economica privata e libera non si possa svolgere “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla dignità umana…” (R. 41) e che “la proprietà privata” deve avere una “funzione sociale”, il fine dell’ “utilità generale” e del “carattere di preminente interesse generale” (artt. 42 e 43) e di bene comune.
Alla distanza di 67 anni, i suddetti articoli della “Costituzione economica” sono ancora considerati non di valore “normativo”, ossia “tassativo” e obbligatorio, e quindi “fondanti”, quali erano nelle intenzioni dei Padri costituenti, ma astrattamente programmatici: continuano ad avere “una loro interpretazione come meri enunciati programmatici da confinare in una specie di preambolo” (Giuseppe Dossetti). Perciò il lavoro resta un diritto sostanziale e sociale negato. Come il diritto ad una giustizia rapida e uguale per tutti; come il diritto alla salute e alla vita; come il diritto all’istruzione ecc. Ma senza il lavoro-valore al cittadino mancano i mezzi per vivere, mancano le condizioni per essere veramente libero e per esercitare una dignità fiera e autonoma. Senza il lavoro c’è l’abiezione fisica e morale; c’è la marginalità e la deriva sociale; c’è la negazione dell’uomo; c’è la fine dell’uomo. “Il diritto al lavoro non può essere messo in discussione da nessuno, nemmeno dallo Stato”.
Di fronte al reiterato diniego della classe politica e dirigente, sempre più autoreferenziale, sempre più distante dai bisogni e dalle speranze della gente, sempre più ostinata a tutelare i privilegi dei potenti e prepotenti, al cittadino, singolo e associato, non resta che la resistenza e la reattività mediante la partecipazione diretta e responsabile alla vita sociale e politica, mediante la riappropriazione della sua “sovranità, che appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1).
Buon 1° MAGGIO ai lavoratori, a chi il lavoro continua a cercarlo, a chi il lavoro continua a cercarlo in terre lontane, a chi il lavoro l’ha perso o rischia di perderlo, a chi vive di lavoro precario o mal retribuito, a chi cerca un agognato lavoro che gli dia dignità e libertà, a chi ha perso la speranza e vive nella rassegnazione e nella disperazione per il lavoro mancato, a chi non si dà per vinto, a chi sceglie di resistere e reagire e operare in questa nostra terra con coraggio civico, coerenza, onestà, a chi è credibile testimonianza di speranza per quanti ancora credono in una società più giusta e liberante.
Buon 1° maggio a tutti.

Francesco Filareto
Coordinatore A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) Rossano

< Precedente   Prossimo >