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Ricordo di Auschwitz PDF Stampa E-mail
Scritto da G.Iacobini   
lunedì, 28 gennaio 2008 08:20
auschwitz
Auschwitz
Il volto sfigurato di Cristo ad Auschwitz.

Breve riflessione di un sacerdote pellegrino

Nella Giornata della Memoria, proponiamo ai nostri lettori una pagina del diario di monsignor Vincenzo Bertolone, vescovo della Diocesi di Cassano, che visitò il lager di Auschwitz nel luglio del 2004. Questo è il ricordo di un viaggio, il mio viaggio ad Auschwitz. Ha per cornice un giorno d’estate del 2004. E’ di luglio. L’aria è mite. Il pullman ci lascia a cento passi dall’ingresso di uno dei più tristemente noti campi di lavoro. Sul cancello in ferro campeggia ancora la scritta «Arbeit macht frei». Vuol dire: il lavoro rende liberi. Un venticello fresco mi scuote. Infilo la giacca. Ai miei occhi si schiude la vista dei forni crematori. Prima di entrare nel capannone, getto lo sguardo implorante al cielo, in cerca di una qualche presenza. In cielo, nuvole bianche galleggiano in un’immensità azzurra. Sessanta e più anni fa, le nubi, qua sopra, erano tinte di nero e da esse si spandeva un odore grasso, acre. Dio, dov’eri? Sono un prete, ma anche un uomo. E da uomo, malgrado abbia letto, visto, saputo, dentro questo stanzone mi sento ignorante e impotente. Penso ad un altro prete, a Padre Kolbe. Si immolò, fu martire.
l'apocalisse
L'Apocalisse
Oggi, giustamente, lo veneriamo sugli altari. Ma gli altri milioni di Kolbe sterminati? Giovanni Paolo II, prete pellegrino prima di me, li ha definiti martiri innocenti, perché non hanno voluto accettare l’ideologia aberrante di coloro che innocenti non erano.
Sono confuso. Una domanda ammissibile, forse, è se dopo Auschwitz si possa ancora parlare non di Dio, ma solamente dell’uomo. Di fronte ad un panorama così desolante, soprattutto per i credenti, viene da pensare, con Bernanos, che l'uomo si sia consegnato a Satana: «Il peccato, opera di Satana, trova nell'uomo libero il suo continuatore». O piuttosto, ha ragione Camus quando scrive che «c’è un solo problema importante per la filosofia, il suicidio. Decidere, cioè, se valga la pena vivere o no». Seppure turbato, mi riesce di pensare, di pormi delle domande. La prima, agghiacciante: perché tanto odio verso gli ebrei, contro Israele popolo di Dio? Dio, tu che sei amore, come hai potuto permettere che tutto ciò accadesse? Ed anche ai giorni nostri, in cui questo subanimale sentimento alligna e si diffonde in tutto il mondo cosiddetto civile, si può parlare di amore? Si possono invocare e reclamare, a quale titolo poi, le origini cristiane dell’Europa, vecchia quanto incosciente ed irrazionale, che crede di poter giustificare tutto con il concetto di libero arbitrio? Il fatto è che il peccato è un atto contro la ragione. La sua radice è nel cuore dell’uomo, che ne resta soggiogato: nell’autonomia della propria coscienza, vorrebbe agire rettamente, in un determinato modo, ma spesso non vi riesce, poiché una forza misteriosa glielo impedisce. Ovidio sintetizzò questa disperata condizione nel celebre distico «Video meliora proboque/deteriora sequor», anticipando san Paolo:  «Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Sono uno sventurato!» (Rm 7, 15-24). Il male genera la sofferenza: ad essa Gesù risponde con l’esempio del suo atto redentivo, da cui sorge l’umanità nuova. Parimenti, è utile riflettere sulla teologia della compassione di Dio e, al tempo stesso, guardare il Santo Volto di Cristo, ovunque e comunque Egli si riveli. Anche nella sofferenza. La conferma di ciò giunge dalla fede, fondata sulla certezza che Dio è Padre degli uomini, e che tutto quello che Egli compie ha come scopo la salvezza e la felicità umana. Perché Lui non vuole la sofferenza, ma soffre in noi, con noi e per noi, «per amore», come diceva Origène. Verrà il giorno in cui il velo del mistero, già diradato, sarà tolto del tutto e per sempre. E si vedrà allora con ancora maggiore chiarezza.

Questo penso ad Auschwitz, mentre calpesto la terra bagnata di lacrime e sangue, simulacro grigio ed anonimo di tante vite spezzate dalla follia umana. Non rendiamo vano questo sacrificio. Non dimentichiamo.

+ Vincenzo Bertolone

da" La Gazzetta del Sud"

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