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Sibari

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II.a Domenica dopo Natale PDF Stampa E-mail
Scritto da don Michele   
domenica, 04 gennaio 2015 13:38
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Chiesa di S.Giuseppe - 1936
In questa seconda domenica dopo Natale la Liturgia ci invita a riascoltare il Prologo del Vangelo secondo Giovanni, che ci veniva proposto nella Messa del giorno di Natale e anche in una feria dell’Ottava. Si tratta di un testo particolarmente caro alla tradizione della Chiesa latina che, prima della riforma liturgica, lo proclamava sempre al termine di ogni Messa. Perché tanta insistenza? Perché, a distanza di pochi giorni, ascoltare ancora lo stesso testo?
Alcuni potrebbero dire: “questa l’ho già sentita”! Il rischio potrebbe essere, cioè, quello di non prestare la dovuta attenzione, soprattutto in un contesto culturale in cui si viene continuamente bombardati da innumerevoli e diversi messaggi. Se la Liturgia ci ripropone lo stesso testo è perché esso è l’E-Vangelo! La buona notizia! L’unica notizia capace di dare luce, senso, bellezza alla vita! L’unica notizia capace di dare la Vita vera! (In coda la riflessione di mons. Bertolone)

La Liturgia, ancora una volta, ci invita e ci aiuta ad andare oltre le apparenze a cui spesso riduciamo il Natale, per contemplarne l’essenza vera: il Verbo, che è Dio con il Padre e lo Spirito, si è fatto carne, ha messo la propria tenda nella nostra storia, per risollevarci, per salvarci: ci ha dato il potere di diventare figli di Dio! 

Dio si è fatto uomo perché l’uomo riscopra di essere “come Dio”!

Essere come Dio, perciò, non è una conquista “prometeica”, “titanica”. Non si può essere come Dio – figli di Dio (e lo siamo realmente)! – andando contro i comandamenti di Dio, come subdolamente insinuava il serpente nel giardino dell’Eden ai progenitori e come subdolamente continua a fare con noi, ingannandoci con il peccato!

Nel Verbo di Dio nella carne umana il Padre ci ha rivelato in maniera definitiva l’unica Via per “essere come Lui”, “santi e immacolati al suo cospetto nell’amore”!

È questo il senso delle parole con cui si conclude il Prologo: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”!

In Gesù il Padre ci ha detto e ci ha dato tutto!

Nella misura in cui noi lo accogliamo – Lui che è Luce e Vita! – ci realizziamo pienamente!

Al contrario, nella misura in cui i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre scelte si discostano dai pensieri, dai sentimenti e dalle scelte di Gesù perdiamo in umanità, ci disumanizziamo, viviamo da stolti, da insipienti, ci autocondanniamo all’infelicità! 

“Che giova all’uomo guadagnare il mondo se poi perde se stesso?” (cf Mc 8,36) domanderà Gesù! Che senso ha festeggiare il Natale, augurarsi buon anno, se poi, di fatto, scegliamo di vivere “nelle tenebre”?

Ascoltiamo e accogliamo l’augurio di Paolo, facciamolo nostro, sempre più radicalmente: “il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi”.

Che questa “speranza” e questo “tesoro di gloria”, che questa “eredità” sia l’unica vera preoccupazione della nostra vita ed orienti sempre le nostre scelte! Amen.

Don Michele Munno

(cliccare quì per il foglio notizie settimanali della Parrocchia di S. Giuseppe in Sibari)

 

II Domenica dopo Natale

4 gennaio 2015

Verbum Caro factum est

Introduzione

Per molti questi ultimi giorni sono stati un tempo di pausa dal lavoro; per altri la pausa è stata più corta, ma per tutti si è trattato di una specie di frenesia per acquistare i doni, i cibi per i pasti abbastanza inconsueti, oppure da dedicare agli auguri a parenti e amici . Poi in mezzo a tutto questo la Messa della Vigilia o del Giorno di Natale. E proprio perché è in mezzo a tutto questo, può capitare che sfugga il senso stesso del tempo trascorso in Chiesa nella Notte o nel Giorno di Natale. Esso diventa il tempo della tradizione: almeno due volte l’anno, e una di queste è Natale, si deve andare in Chiesa. Ebbene, proprio agli ignari che il tempo donatoci in questi giorni è tempo di pienezza  è destinata la Liturgia di questa seconda domenica dopo Natale. Ma l’elevato contenuto teologico del trittico di letture offertoci dalla Chiesa in questa domenica, coinvolge tutti noi, che, pur avendo coscienza della nostra appartenenza a Cristo, a volte dimentichiamo quale sia la portata reale di una simile condizione.

Infatti il Bambino adorato nella stalla a Betlemme ci apre ad una prospettiva temporale incommensurabile: la sua nascita ci inserisce in un flusso temporale non più storico,ma eterno. Ed è questa eternità il vero miracolo del Natale: non più il nostro tempo, ma dalla nascita di Gesù si è operato uno sfondamento verso l’eterno, verso l’ “in principio” , verso il “per sempre”.

                Da quella nascita tutto è cambiato nella storia dell’umanità e nella storia personale di ciascuno: non si vive più della contingenza, ma c’è un senso, un progetto che ci supera. Non si vivono più i nostri giorni attorno al breve giro del sole, la nostra vita non è più confinata entro il cerchio dei nostri desideri, ma c’è una immensa onda che viene a frangersi nei nostri promontori e a parlarci di un Altro, che è Primo e Ultimo, Vita e Luce del creato e dell’uomo da sempre.

È il “sempre” il nuovo orientamento della storia: tempo eterno, immutabile, illimitato che appartiene solo a Dio.

“Prima dei secoli, fin dal principio” si legge nel testo del Siracide. “Prima della creazione del mondo” fa osservare da parte sua l’apostolo Paolo;  “in principio” scrive Giovanni nel prologo del suo evangelo. E di tutto questo, dell’eterno umanizzato di Dio in Cristo, siamo entrati a far parte anche noi: in altri termini il nostro tempo si è riempito dell’eternità di Dio.

Verbum caro factum est

Le letture di oggi oltre che di eternità, ci parlano di eterno, di Sapienza e Verbo, di Dio e del suo Figlio Unigenito, Gesù Cristo. Categorie che sembrerebbero fuori dalla nostra portata, eppure in tutte e tre le letture esse sono legate al nostro tempo, alla creazione del mondo e dell’umanità, a noi stessi.

Sapienza e Verbo sono appellativi diversi di una stessa Persona: il Figlio Unigenito di Dio, Cristo, Dio stesso. Infatti se Sapienza e Verbo sono usciti sin dal principio dalla bocca dell’Altissimo e da sempre sono presso Dio, significa che Sapienza e Verbo sono Dio stesso, rivelatisi in Cristo, in Lui resi visibili; ma sono anche Luce e Vita , oltre che potenza creatrice dell’universo e dell’umanità. E fin qui potremmo dire: nulla di nuovo. E invece la svolta decisiva avviene quando la Sapienza mette la sua tenda in mezzo al suo popolo, quando il Verbo di Dio si fa carne per abitare in mezzo a noi.

                Ed è proprio il mistero di questa incarnazione ad occupare nel Prologo di Giovanni la posizione centrale rispetto alla struttura compositiva dell’intero passo, quasi a voler sottolineare la centralità che un simile evento ha anche nella nostra vita di uomini e di cristiani. Infatti, il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio opera un

forte cambiamento del tempo e della storia del mondo. Cambiamento per altro descritto da Giovanni come un mutamento di categorie: dall’Eterno si passa al tempo,

da Dio al Padre, dal Verbo al Figlio, dall’umanità e dal mondo al “noi”, dalla luce e

dalla vita alla pienezza della verità e della grazia.

Se tanto straordinario è il cambiamento operato dall’Incarnazione, ancor più straordinaria è la sua conseguenza: dal divino si passa all’umano perché l’umano transiti al divino. È questo sicuramente il mistero più alto e profondo con il quale ha dovuto confrontarsi la mente umana: Dio, il Creatore del cielo e della terra, eterno e immutabile, si è racchiuso nella caducità della carne, si è fatto uomo per salvare l’uomo.

Dio, invisibile e inesprimibile in parola umana, si è reso visibile e palpabile nell’umanità assunta dal Verbo. Questo è il “paradosso dell’idea cristiana” – direbbe Kierkegaard - : il Verbo apparso in principio in tutto il suo splendore e potenza si immerge paradossalmente nell’abisso della miseria umana, compiendo un grande miracolo di comunione. Infatti due estremi si incontrano per riunirsi: la fragilità estrema della carne, si unisce al divino.

Ma c’è un altro grande paradosso che la Liturgia di questa domenica ci invita a contemplare: la visibilità e l’umanità di Dio. Il Verbo si è fatto carne perché in Cristo vedessimo il volto del Padre. In effetti, Gesù è la stessa rivelazione di Dio, l’icona visibile del Dio invisibile e inaccessibile dell’Antica Alleanza. Il volto temibile di Dio, che un tempo si manifestava nella nube e che nessun mortale poteva scorgere, ora si rivela pienamente in Gesù Cristo sotto la natura della carne, cioè dell’umanità assunta dal Verbo. In altri termini, Gesù rivela l’umanità di Dio, tutta concentrata nella gloria di un Padre che per amore dei suoi figli dona la vita.

Caro Verbum factum est

Destinatari di questo grande mistero d’amore siamo noi che contempliamo la gloria di quel Padre, che riceviamo da Lui pienezza di grazia e verità, e saremo dalla Sua umanizzazione divinizzati. Di questa verità del cristianesimo noi dobbiamo essere testimoni e annunciatori.

Come fare? Il modello da seguire è sempre davanti ai nostri occhi: Maria, che ha portato nel suo seno il Verbo. Come avvenne in Lei, dunque, lasciamo che cresca in noi, si dilati nella nostra esistenza il Verbo della vita, affinché la Parola di Dio annulli crescendo le nostre paure e trasformi i nostri sguardi, rinnovi i nostri gesti, innalzi i

nostri pensieri.

Solo così il Verbo potrà abitare la nostra umanità al punto che nessuno potrà dire: qui finisce l’uomo, qui comincia Dio, giacché formeremo in Cristo una sola cosa con il Padre.

Oggi, dunque, è il tempo del nostro Natale: Cristo nasce perché noi rinasciamo.

Nasciamo nuovi e diversi, nasciamo dal cielo e non più dalla terra. Tuttavia, perché ciò accada è necessario accogliere il Verbo di Dio come seme rigeneratore della vita.               Infatti, se noi siamo ciò che accogliamo, allora accogliendo la Parola diventeremo Parola, se noi siamo ciò di cui siamo abitati, lasciandoci abitare da Cristo diventeremo a Lui conformi, dunque pieni di vera vita, illuminati dalla vera luce, amanti della verità, e ricolmi di ogni grazia.

Tutte le parole degli uomini ci possono solo confermare nel nostro essere carne, realtà fragili e incomplete. Ma il salto, l’ impensabile, si ha solo con la Parola incarnata, che  ci conferma nella nostra eternità e pienezza, perché la vita stessa di Dio si è generata in noi.

Ecco la vertigine: la vita stessa di Dio in noi. Questa è la profondità ultima del Natale.

                Conclusione

Come commento conclusivo, riporto alcune parole scritte da Dietrich Bonhoeffer, in un testo che potrebbe essere un commento al prologo di Giovanni: “Dio è impotente e debole nel mondo, e così soltanto rimane con noi e ci aiuta. Cristo non ci aiuta in virtù della sua onnipotenza che ci sovrasta, ma ci aiuta in virtù della sua sofferenza”.

Quindi Cristo ci aiuta in virtù della fraternità e solidarietà, fondate sul fatto di essere

sceso fino a noi, fino al nostro livello umano. Solo così, stando vicino a noi, assumendo la nostra carne, ha potuto comunicarci la vera vita.

Quale meravigliosa preghiera sarà stata per le prime comunità cristiane questo prologo di Giovanni quale preghiera piena di speranza è per noi oggi, giacché in essa troviamo le radici, autentiche della nostra grandezza, le ragioni della nostra fede e la sorgente di ogni nostra speranza…

Serena domenica

+ Vincenzo Bertolone

 

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