Era Elena il tuo nome, Il mio non era Paride Ma l’età forse era simile. Tu avevi vent’anni di più. Al primo incontro casuale Io t’assegnai quel pomo Che il troiano assegnò ad Afrodite E ti seguii impavido nei desideri. Vent’anni in più erano molti Rispetto ai quei miei sedici anni che avevo. Ci divideva più di una generazione Ma il tuo miele era dolce, profumava, afrodisiaco.
La mia acerba fanciullezza per te Era senz’altro più piacevole, Per la scabrezza del boccone non maturo. Dimentico del tuo amatore più in su cogli anni Ti perdesti dietro il mio viso imberbe. Ricordo non fu solo un vago capriccio temporale Che in breve svanisce nel buio delle rimembranze. Durò nel tempo che a distanza mi sembra infinito. Tu ormai non puoi più rammentare, Perché da vari lustri sei nelle tenebre dell’Ade, Ove Orfeo non trovò il conforto che cercava. Non poté risalire al mondo con lei, Euridice L’essere del suo amore ritrovata, ed ormai viva Nel ricordo solo, quel viso a lungo caro un po’ sbiadito Come un essere ombra dell’umana forma primitiva.
Rammento io la prima volta Con lievi tocchi, magici ma stregati In una notte calda di agosto mi apristi un cielo colmo di stelle Trillavano come mille violini vivi E tanti allegri canori usignoli. Il dopo fu un galoppo sfrenato Nel mondo della lussuria con te Guida, maestra Dea d’ogni elisir Di incanti alchemici d’amore. Fughe sottili in un mondo vago, Cadute in gole profondissime Senza respiro dal sapore di morte Ché ogni volta lasciavano la gola senz’aria, Arida, e un grido rompeva i timpani, Mentre l’anima sfuggiva tenue, affaticata Ma satura di gioia per aver bevuta Acqua fresca di fonte genuina.
Elena…. Quante volte, tante volte. Solitari, nascosti con la paura nell’animo Il coraggio folle, che ci azzannava ogni volta Le carni, il cuore, il pensiero il cervello tutto. Non ricordo più come fu che avvenne il dopo. Stanchezza, inquietudini nuove, nuovi orizzonti Forse anche una strana pudicizia Che ci spinse centrifuga distanti Dal centro di quel fuoco insano che ci divorava, Dico ora pazzo, privo di controllo Ci aveva stretti in una spirale abnorme Che sembrava allargarsi senza fine, Un moto perpetuo senza freni né limiti.
Fu così inconsciamente che ci perdemmo Lontani l’uno dall’altro, restammo soli. Seguimmo nuove strade, altri sentieri. Io fui allettato da altri stimoli A me sconosciuti e acerbi, nuove conoscenze. Altri visi dolci giovani quanto il mio, Mi attrassero con il sapore della giovinezza I gai trastulli, i giochi futili ma veri, genuini Della mia stessa età, di chi usciva dalla pubertà. Tutto finì, così come era sbocciata la passione. Improvvisamente lo scenario divenne buio Senza più attrazione né sexy, né erotica Un muro altissimo grigio insuperabile ci divise. Io non ebbi mai più volontà di incontrarti Né tu eri disponibile a farlo. Eravamo tra noi inerti.
Ricordavo solo che ti chiamavi Elena Quando seppi che tu non eri più. Non piansi anche se ne fui turbato, addolorato Però non scesi agli inferi come Orfeo, Non ammansii Caronte e Cerbero A che libero mi lasciassero il passo Verso Ade padrone del regno dei morti. Non volli coi pianti chiedere il tuo corpo. Non volli commuovere nessuno Per un passo di ritorno impossibile. Forse non volli io la ricerca, il ritorno Sapendola vana, però avevo paura Che tu come una volta potevi rubarmi la mente, il cuore, il corpo tutto, Prenderti nuovamente la mia anima Tutta la mia giovinezza dal sapore di primavera Per farne una forma umana di gelata neve In piena estate, calda, solare, tersa di nuvole Dal cielo azzurro, soffice, ricco d’uccelli vaghi Che cinguettanti, volavano liberi con traiettorie Armoniche luminose, linee infinite intessute Di parole amorose, dolci, amabili, delicate. Volevo libero vivere la mia giovane età. Michele Miani
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