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Un pacco nel palazzo dei poteri PDF Stampa E-mail
Scritto da R.Pitaro   
martedì, 16 dicembre 2014 06:24

ImageLunedì 22 Dicembre sarà presentato nel TERRAZZO Pellegrini  a Cosenza, (ex Via De Rada -ora via Camposano- 41) alle ore 18, l'ultima fatica letteraria di Damiano Guagliardi, uomo politico di sinistra originario di San Demetrio Corone. Si tratta del romanzo  "UN PACCO NEL PALAZZO DEI POTERI". Interverranno Mauro Francesco MINERVINO e Attilio SABATO. Condurrà Minervina COZZA. Sarà presente l'autore.

“Un pacco nel palazzo dei poteri”, benché sia un romanzo, è uno schietto atto d’accusa. Il “Pacco”, infatti, non è inteso come un cartone in cui infilarci cianfrusaglie, né come involucro minaccioso per l’incolumità del “Palazzo”. Il “Pacco”, viceversa, è un’offesa alla legalità congegnata con modalità truffaldine ai danni del danaro pubblico e, quindi, da intendersi come un vulnus per la democrazia.  C’è poco da stare allegri, se faccendieri, politici e lobbisti stringono criminose alleanze. La letteratura diventa, per l’occasione, randello per una politica scialona che s’è allontanata dalla fierezza delle radici del “secolo breve”. Fin qui ancora nel vago: un “Pacco” nel “Palazzo” dei poteri. Ma quale Palazzo? La martellata il libro la sferra ad un solo Palazzo. La trama escogitata si svolge a Palazzo Campanella, per cui non ci sono dubbi che il j’accuse è indirizzato alla politica calabrese che Damiano Guagliardi racconta dall’interno, essendone parte integrante in quanto consigliere regionale per tre legislature. Altroché, dunque, se è interessante un’immersione nelle 371 pagine del libro (edito da Pellegrini) che si legge d’un fiato (la scrittura è piana, mai pretenziosa) anche per la curiosità d’individuare i politici in carne ed ossa dietro le maschere del romanzo. Certo: niente del “Pacco” è realmente accaduto. Ma sarebbe ipocrita fingere che il “Pacco” non abbia una solida base nella realtà; e, d’altra parte, aldilà dei pregi letterari, sarà proprio sul declino della politica che si fermerà l’interesse dei lettori. Ma anche, si spera, l’attenzione della buona politica, che pure c’è, nel “Palazzo” e fuori. E da cui, nel romanzo, prende le mosse il “contropacco”. La cui astuta regia è di un anziano consigliere regionale (l’eroe positivo) con cinque legislature, che s’oppone. E disfa il “pacco”, attingendo ad ogni tipo d’espediente, erotismo incluso. Il libro s’inserisce nel solco di una letteratura che ha visto, specie negli anni scorsi, raccontare il travaglio della politica dal “di dentro”. Evidenziare successi e rovesci attraverso chi quel potere lo esercita, per esempio i tanti volumi sfornati dall’ineffabile Giulio Andreotti. Non è in discussione, però, se queste operazioni siano un genere o dei “falsi” letterari dietro cui si celano intenti  politici.

ImageCome dire: il libro “la continuazione della politica con altri mezzi”. C’è una finzione letteraria che offre spunti utili al dibattito e che sarebbe sciocco liquidare come vezzi di politici inquieti. Il “Pacco” è il secondo lavoro con cui Guagliardi delizia i lettori con aneddoti, eventi, personaggi politici che, attraverso manovre dietro le quinte e l’oscurità gergale dei dialoghi che non di rado tracima in una singolare povertà semantica, mettono a nudo un humus politico asfittico. Privo di cultura e di fedeltà alle istituzioni. Frutto di una società in cui la cittadinanza attiva è un’araba fenice. C’è un tratto, poi, sociologicamente pregnante: i personaggi tratteggiati nel libro sono leader, nel proprio ambito, grazie alla tempra determinata di cui sono dotati. Politici e leader che tali diventano in forza di percorsi personali. Mai collettivi. Nella politica descritta da Guagliardi, le leadership si formano per una serie di causalità e sono cementate dagli interessi più o meno illeciti. Insomma, dai “Pacchi” che questo modo di essere della politica aiuta a realizzare, quasi sempre su impulso di speculatori esterni al “Palazzo” che diventano, al postutto, i dominus delle istituzioni. Il collettivo e la società non esprimono forme politiche organizzate, da cui, in piena trasparenza, siano selezionati i politici. Certo, Guagliardi non inventa nulla. I politici di cui scrive sono le caricature o le copie sgualcite delle classi dirigenti prodotte dal “familismo amorale” descritto da Banfield nell’inchiesta che l’antropologo condusse nel 1958 durante un soggiorno in Lucania. Espressioni di una patologia della democrazia rappresentativa. Se la formazione dei politici avviene in modo non partecipato e non passa più dalle forche caudine dei partiti d’un tempo e se le elezioni si fondano su promesse clientelari, s’incappa nella violazione dell’articolo 48 della Costituzione, che impone il voto libero, consapevole e segreto. 

E, in secondo luogo, si ha la prova che la democrazia rappresentativa, non solo in Lucania e in Calabria, è sotto scacco. Guagliardi inoltre introduce (fin dal titolo) nel racconto della politica da lui sperimentata, la metafora del “Palazzo” di pasoliniana memoria. Cos’altro sono le espressioni, i dialoghi, i pranzi di lavoro ed i tic dei politici del thriller in salsa calabra, se non manifestazioni di quella politica (al tempo incarnato dalla Dc) contro cui Pasolini, utilizzando espressioni “scandalose” (dalle pagine del Corriere della Sera), si scagliò con virulenza per denunciare la “mutazione antropologica” del ceto politico in atto già negli Anni ’60 e ‘70 dopo la “fine delle lucciole”? Commentò nel ’75: “Sono certo che a sollevare queste maschere funebri (il riferimento è ai politici democristiani) non si troverebbe nemmeno un mucchio d’ossa o di cenere”. I capi d’accusa inanellati da Pasolini non sono invecchiati e il “Pacco” di Guagliardi ne è testimone: “disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, connivenza con la mafia, distruzione paesaggistica e urbanistica, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani…” Ma c’è dell’altro: la denuncia di Pasoliini che dietro le maschere politiche non ci fosse più il potere reale (“Oggi in realtà c’è un drammatico vuoto di potere”), non solo legislativo o esecutivo, “ma un vuoto di potere in sé”, trova nel Paese un dolente riscontro che dovrebbe indurre la politica a porsi delle domande sulla propria funzione. Soprattutto in un frangente in cui i vuoti lasciati sono colmati da altri poteri nei cui confronti “questa” politica rischia di soccombere, divenendo un mezzo attraverso cui lobby e “poteri forti” conseguono più rapidamente i loro scopi. Di Guagliardi si può malignare che è stato un politico vissuto nel “Palazzo” per anni, senza scalfire di un’h i micidiali meccanismi sviscerati nel libro. Però, se c’è ancora spazio per la civiltà del confronto, non si sottovaluti l’allarme che lancia. Se la politica non si rende conto che la società è cambiata e che, avendo ceduto sovranità sulle scelte di fondo, dai cittadini è percepita come un potere debole, privo di orizzonti e di autorevolezza, il rischio è, per quel che riguarda la Calabria, lo svuotamento del regionalismo, ma anche che di “questa” politica chi è fuori del “Palazzo” non sappia più che farsene. Ed allora si passerebbe dritti dalla fase post ideologica a quella post democratica.

Romano Pitaro

 

 ImageChi è Damiano Guagliardi:  Nato a San Demetrio Corone il 27 Settembre 1950,  è consigliere regionale ancora in caria ed é stato  Assessore Regionale al turismo. Proviene dalle file di Rifondazione Comunista in cui ha ricoperto  l’incarico di Segretario della Federazione di Cosenza e Segretario Regionale. Per la sua appartenenza alla minoranza arbëreshe di Calabria, ha dedicato gran parte della sua attività professionale e del suo impegno culturale alla questione delle minoranze linguistiche storiche di Calabria e d’Italia, pubblicando testi e saggi frutto di ricerche storiche ed antropologiche, tra questi, l'opera più significativa “La Diversità Arbëreshe”.  Con questa nuova fatica letteraria mette a nudo tutte le “connessioni”, gli “intrallazzi” e le beghe che hanno determinato in gran parte lo stato comatoso in cui si trova la nostra regione.

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