Ognissanti-La Santità in abiti da lavoro |
Scritto da +V.Bertolone | |
sabato, 01 novembre 2014 13:24 | |
La Liturgia odierna si inserisce nel tempo ordinario con una nota di straordinarietà che è data dalla consistenza delle due parole sulle quali la Chiesa oggi invita a soffermarsi: Santità e Beatitudine. Non sono termini il cui contenuto va trattato separatamente. Sarebbe impossibile, giacché la storia di tanti uomini e donne, volti noti e meno noti, ci insegna che i lineamenti della santità recano i segni del volto tracciato da Gesù nel Discorso della Montagna, ovvero il suo volto. Così la pagina del vangelo di Matteo, la pagina delle Beatitudini, che oggi leggiamo, ci parlano di santità, descrivendo il profilo dei santi.
Ci rendiamo conto che i santi sono solo cristiani riusciti, persone che hanno percorso una via normale: sono stati nel mondo, ma con cuore nuovo, e le Beatitudini non sono altro che questo cuore nuovo. Un cuore che tende alla perfezione di Cristo, dunque: mendicante d’amore, dolce e tenero, misericordioso oltre ogni misura, pacificatore, prossimo nelle sofferenze, gioioso nel fare la volontà di un Padre che opera per la felicità dei suoi figli. I Santi sono uomini delle Beatitudini, uomini nuovi, guide segrete della storia che si sono distinti per una viva attenzione e premura per l’umano, ma orientati costantemente al Cielo. E’ per questo che i Santi sono anche uomini felici. Infatti, che cos’è la beatitudine se non il raggiungimento della più completa felicità? E la felicità è l’istanza primordiale che assedia da sempre l’anima, è la nostra vocazione, ciò per cui siamo stati chiamati a vivere, l’unico progetto dai contorni nettissimi che Dio ha disegnato per l’uomo. Ecco perché essi sono pienamente riusciti e cristiani compiuti, avendo realizzato interamente il disegno di felicità di Dio su di essi. La santità sia la nostra vocazione di persone realizzate, di cristiani completi e appagati, innamorati di Cristo che rende felici perché nulla ci toglie, ma tutto ci dona. La parola “santità” ci incute soggezione e spavento, perché la si pensa lontana dalla nostra portata. Invece la santità è a portata di mano: spesso la incontriamo senza notarla, perché nascosta dietro un volto familiare; oppure non la riconosciamo, perché nascosta dietro un volto ordinario; a volte poi stentiamo a considerarla tale perché indossa gli abiti più modesti e si muove con passi discreti, compie azioni umili e dice parole impensate. Ma è proprio questo anonimato della santità, o meglio questa santità feriale, che oggi si vuole festeggiare, giacché apre il cuore e la mente alla certezza che tutti siamo in grado di vivere secondo il programma di vita delle Beatitudini, e ci sentiamo investiti dalla speranza che anche a noi, santi incipienti, appartiene la felicità promessa da Dio. La Santità feriale Se si crede che oggi, festa di Tutti i Santi, si celebrino solo i santi elencati nel calendario ufficiale della Chiesa si commette una grave leggerezza, non solo rispetto alla corretta lettura della Scrittura, che nel libro dell’Apocalisse, parlando degli eletti in cielo, riferisce di : “una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare…” (Ap 7,9), ma anche rispetto a quanti, non ufficialmente riconosciuti dalla Chiesa, si sono sforzati di vivere una vita santa: piantata nella terra, ma con lo sguardo verso il cielo. Si commette però anche una grava mancanza nei nostri confronti che, pur chiamati per vocazione umana e battesimale alla santità, ci autoescludiamo da essa. Allora, chi sono i festeggiati di oggi? I primi sono i santi anonimi: gente umile che forse ha vissuto accanto a noi, che tante volte abbiamo sfiorato, di cui abbiamo ascoltato la voce, la quale magari ci consolava, ci incoraggiava, ci turbava per tenerezza, dolcezza, pazienza verso le nostre debolezze, continuando ad amarci nonostante tutto. Sono uomini e donne che certamente non hanno operato miracoli, però hanno realizzato il miracolo sensazionale della fedeltà silenziosa e quotidiana al Vangelo: persone sedotte dall’Eterno, ma con mani e piedi impastati di terra e di storia. Costoro ci parlano di una santità che non si confonde con le aureole delle icone o i fatti sovraumani delle agiografie, ma di una santità che nasconde la sua bellezza e la sua luminosità sotto abiti quotidiani. È un fuoco che arde nell’intimità più segreta, poco visibile esteriormente, ma tanto attraente sia per chi lo possiede sia per chi ne gode calore e luce. Insomma i santi sono uomini normali, persone comuni, ma tanto innamorate di Gesù da spingersi ogni giorno più in alto, per perseguire quella perfezione che rende veramente felici, e non la si raggiunge compiendo cose straordinarie, ma nel fare straordinariamente bene le cose ordinarie (beato Luigi Monza). Dunque, in qualunque situazione, stato o condizione di vita ci si trovi, santità vuol dire vivere e fare bene ciò per cui si è chiamati a vivere e a fare; e se il modello di perfezione è Cristo, significa fare e vivere tutto come lo farebbe e vivrebbe Lui. In altri termini, santità è restare dove si “è”, operando come si “è” , ma con un cuore nuovo: il cuore di Cristo, che non isola dal mondo, non allontana dal tessuto della quotidianità, ma ci fa tuffare in essa con la passione di chi annuncia e vive la speranza che Dio vuole tutti “beati”, ovvero tutti “felici”, quindi “santi”. Sono proprio i santi anonimi a testimoniare con la loro vita che essere felici come Dio vuole è possibile, purché si impari a desiderare per sé la stessa volontà di Dio: cioè desiderare ardentemente di diventare ed essere come Egli ci vuole, “perfetti” come Lui è perfetto, e una volta raggiunta la perfezione si può essere solo felici. E Gesù nelle Beatitudini delinea appunto l’identikit dell’uomo felice, del santo che vive al ritmo del battito di un cuore nuovo, un cuore di carne e passione che con amore e servizio fa fiorire il mondo. IL cuore nuovo delle Beatitudini Per possedere la felicità dei santi non è dunque necessario sapere, avere o fare “molto”: basta semplicemente un cuore nuovo che Dio Padre ha guadagnato per noi con l’incarnazione del Figlio, Gesù Cristo. Allora possedere un cuore nuovo significa farci possedere da Cristo, ovvero lasciare che Egli abiti il nostro cuore, perché quando ciò avviene veramente rinasciamo nella beatitudine. Una beatitudine che è eredità del cielo, ma anche certezza sulla terra. Difatti, a parte gli episodi di cronaca nera i cui protagonisti sono uomini e donne infelici, disperati, lesivi della propria e altrui dignità, c’è anche un oceano sommerso, silenzioso e discreto di persone che continuamente testimoniano felicità e speranza, elevando se stesse e gli altri alla dignità di figli amati dal Padre. Lo fanno seguendo proprio le Beatitudini come programma di vita, perché le considerano coordinate essenziali per raggiungere la vetta della felicità: essere in tutto e per tutto simili a Cristo. E così troviamo Cristo dietro quel volto familiare, o incontrato per caso, che ha affrontato con serenità la sofferenza, sapendo che Dio stesso avrebbe asciugato le lacrime e consolato il cuore; oppure Lo troviamo nascosto dietro chi ha sostenuto con gioia il dolore, consapevole che quel dolore avrebbe preparato la via al Signore, per sé e per gli altri; o ancora Lo troviamo celato dietro il volto sfigurato di chi ha accettato con pazienza soprusi e violenze per fame e sete di giustizia, sapendo che Dio avrebbe curato e guarito tutto il male ricevuto. L’elenco non termina qui, perché corrisponde al numero dei “beati” consacrati tali da Cristo nel discorso della Montagna. Beati che annunciano con la vita, cioè con le azioni, la povertà e la tenerezza evangelica, il perdono, lo spirito di pacificatori, la lieta notizia che Dio regala vita e beatitudine a chi produce amore. Quindi, l’uomo delle beatitudini, il Santo, è produttore dell’amore di Dio: un amore attivo, appagante, anticonformista, a suo modo rivoluzionario. Conclusioni Rudolf Otto, grande studioso del fenomeno religioso tra la fine dell’ ottocento e gli inizi del novecento, affermava che “Il Santo è totalmente diverso e al contempo estremamente vicino all’uomo”. Di fatto è così: i santi sono stati e sono, semplicemente veri cristiani, solo completamente svuotati del proprio “Ego”, dunque del tutto disponibili davanti a Dio per far fruttare i propri doni e talenti. E non è forse questo il contenuto della prima beatitudine: “Beati i poveri in spirito…” (Mt 5, 3), che facilita la pratica di tutte le altre, nelle quali, secondo Agostino, si riscontrano la norma definitiva della vita cristiana ? Allora i santi sono prima di tutto perfetti cristiani: vivono nel presente lasciandosi, però, guidare dallo Spirito, che trasforma a immagine di Cristo, e praticando nella propria vita le beatitudini che regolano la vita cristiana. Perciò, e concludo, oggi è anche la nostra festa, la festa dei santi incipienti, che in quanto cristiani dobbiamo vivere con la sana tensione alla santità, consapevoli del fatto che “la santità non è un lusso per pochi, ma un semplice dovere per ciascuno di noi” (Madre Teresa di Calcutta). Serena domenica + Vincenzo Bertolone |
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