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Vangelo di Domenica 28 Settembre PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
domenica, 28 settembre 2014 07:24
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 21,28-32.
In quel tempo, disse Gesù ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò.
Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò.
Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L'ultimo». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.
E' venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli».

XXVI Domenica del Tempo Ordinario

28 settembre 201

Dalla coerenza alla conversione

Introduzione

Ci sono parole della lingua italiana di cui abbiamo perso il “sapore”, nel senso che il loro suono è un tonfo vuoto, privo di significato. Capita, però, che la Parola ce ne faccia ricordare il senso, la nostalgia della loro bellezza e bontà diventi così forte da desiderare di riappropriarcene. La coerenza è una di queste parole e in questa XXVI domenica del tempo ordinario, ritorna nascostamente, tra le righe di una parabola (che sembra più un trionfo dell’incoerenza), alla nostra attenzione, smuove la coscienza assopita e invita a riflettere sul modo di essere cristiani: se da personaggi, pronti a dire “sì” con le labbra, ma poi agire all’opposto; o da persone, dire francamente “no”, ma, pensandoci, agire per il “sì”. Certo, sarebbe bello essere persone a tutto tondo: dire e fare, osservare nel culto e nella vita, obbedire nella parola e nell’azione, rispondere e operare con amore. Ma, anche noi credenti, dobbiamo fare i conti con il nostro cuore. Un cuore diviso in due: che dice “sì” e dice “no”, che dice e poi nei fatti si contraddice. Ecco, la parabola di oggi ci insegna a prendere atto di questa realtà, a prendere coscienza del fatto che il cristianesimo non ha bisogno di personaggi, di credenti ai quali basta sembrare buoni per dirsi cristiani. Il cristianesimo ha bisogno di persone che sappiano farsi smuovere la coscienza e, seppure siano caduti nella incoerenza iniziale, sappiano rimettersi a lavoro nella vigna del Signore. Questo sforzo che avviene in noi, che con le parole ci professiamo cristiani, è grandemente richiesto perché l’Amore e la Verità che vogliamo testimoniare si trasmettono con l’unità della Parola ascoltata e dell’azione corrisposta.

La fede autentica, in altre parole, non si fonda su un ripetere “Signore, Signore” o su una invocazione emessa a fior di labbra, ma nel compiere la volontà divina, anche quando essa ci è poco congeniale. Aveva ragione uno scrittore francese, vissuto tra l’Ottocento e il Novecento, Paul Bourget: “Bisogna vivere come si pensa, per non finire a pensare come si è vissuto”: il cristiano è uomo di pensiero e di azione.

 

Incoerenza indolore

La parabola di questa domenica ci presenta due fratelli, entrambi incoerenti, entrambi con un “no” da opporre alla richiesta del Padre. La prima incoerenza è interpretata dal figlio maggiore: dice “sì” alla richiesta del Padre, ma al “sì” fa seguire un comportamento che praticamente lo cancella. Il “sì” appena pronunciato diventa un “no”. In questo comportamento è sicuramente da condannare l’ipocrisia, ma ancora di più è da condannare la mancanza di sofferenza di fronte alla propria incoerenza. La sua è un’incoerenza indolore, senza problemi, è sufficiente aver detto di “sì” davanti al Padre per sentirsi a posto con la coscienza. Questo atteggiamento non è poi così diverso dal nostro, quando pronunciamo i nostri “no” nella vita di tutti i giorni dopo che prima – nella preghiera, nell’ascolto della Parola, nella celebrazione dei misteri di Cristo – abbiamo, magari con gioia, professato il nostro impegno a compiere la volontà del Padre. Dunque per essere credenti veri ci vuole ben altro che dirsi cristiani. Il “sì” a Dio per essere veramente tale, vero e autentico, deve essere prima di tutto coerente con lo stile di vita: se con tutta la nostra fede continuiamo a fare del benessere economico o della salute o della carriera il problema massimo della nostra vita, il nostro “sì”, di ogni domenica e di ogni giorno, diventa lo stesso “no” del primo figlio della parabola evangelica. Per essere vero credente, non ci vogliono tante parole, tanti “sì”, ci vuole lo stile dell’imitazione. Paolo nella lettera ai Filippesi ci ricorda questo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”. In altre parole, occorre desiderare, volere essere come Gesù: discendere, abbassarsi, umiliarsi, farsi servitori degli altri. Il vero fare del Vangelo è il servire e lo stile nel fare è “nascondersi”, non apparire. Basta accontentarci di niente: rispecchiarci narcisisticamente nelle nostre preghiere, negli appuntamenti domenicali con Dio, nelle nostre buone intenzioni. Desideriamo e ricerchiamo invece il tutto: facendo della vita stessa una lode continua di Dio e a Dio, continuando il Sacrificio Eucaristico sull’altare delle nostre tavole domestiche, delle nostre scrivanie di lavoro, vivendo e agendo veramente con bontà. Ma se ci perdiamo nel limbo dell’incoerenza indolore, credendo che basti con le parole far tacere la coscienza, “il tutto” ci sfuggirà dalle mani. Dunque, il primo passo da fare è vivere la nostra incoerenza come un dramma, un qualcosa che logora dentro e rende inquieti, un qualcosa che proprio non si combina a quella voce interiore che sconvolge dentro. E, se come scriveva V. Hugo, “La coscienza è Dio presente nell’uomo”, allora chi ci rimprovera della nostra incoerenza è Dio stesso. Se comprendessimo questo, potremmo passare dall’incoerenza indolore a quella dolorosa, comportandoci, così come il figlio minore della parabola: prima dice “no” alla richiesta del Padre, ma poi va a lavorare nel campo, pronuncia il suo “sì” nei fatti. Qui si manifesta l’incoerenza dolorosa, quella che interpella, provoca e spinge a riflettere, a capire l’errore e ad agire di conseguenza. Il “no” immediato e impulsivo, si fa interrogare, si lascia convertire. E la conversione è sempre un movimento interiore. Un’“azione” che implica pensiero.La differenza tra i due figli della parabola forse sta proprio qui: uno si è riservata mezz’ora per pensare, l’altro “no”. Bisogna pensare per aprirsi alla verità. Bisogna avere pensieri sempre nuovi per convertirsi ad una volontà sempre nuova e inaspettata.

 

La possibilità di essere cristiani

Ed è proprio la continua novità della volontà di Dio che dà a tutti la possibilità di convertirsi, nonostante le contraddizioni e le cadute. E di questa possibilità ci ricorda il profeta Ezechiele nella prima lettura: si può diventare diversi, si può modificare sempre l’assetto della propria vita. Per questo è possibile l’ultima affermazione di Gesù nella pagina del vangelo appena letta: è possibile che “i pubblicani e le prostitute” ci passino avanti nel Regno di Dio. È possibile che persone normalmente oggetto del nostro disprezzo ci sfilino avanti nell’amore di Dio. Non è una sorpresa

da poco. Inutile fingersi scandalizzati. Il fatto è che passiamo il tempo a osservare, giudicare, condannare quelli che riteniamo indegni. E non ci rendiamo conto, invece, che proprio gli irregolari, i negatori di Dio, quelli che abbiamo catalogato come irrecuperabili, frattanto possono aver risposto all’invito, essersi mossi. Ovvero, nel loro cuore dopo tanti “no”, si siano pentiti, siano tornati sui loro passi, si siano riconosciuti deboli, e dunque hanno imparato a confidare nell’aiuto del Signore e siano andati avanti con Lui. Caduti, si siano lasciati rialzare da Lui, avvertendo la nostalgia di quella strada diritta, abbandonata un tempo, e, trovato il coraggio, abbiano deciso di riprenderla. Chi accoglie il perdono di Dio e cambia vita dà gioia al Signore che, all’istante, dimentica il passato. Chi lascia stare le autogiustificazioni e riconosce il proprio peccato, chi ricomincia a dire “sì”, in novità di vita, questi diventa figlio prediletto, qualunque sia stata fino ad allora la sua storia. È solo l’amore misericordioso di Dio che può fare del più grande peccatore un grande santo. Diceva Pascal: “Credo nella verità del Cristianesimo perché la religione cristiana offre salvezza a tutti, in qualsiasi condizione si trovino, e nello stesso tempo ammonisce tutti, qualunque sia il loro ruolo o il loro prestigio”. Pensare che basti un “sì”, pronunciato a volte distrattamente e con il compiacimento del “pubblico”, per garantirci l’appalto esclusivo del Regno o il suo possesso perpetuo è un’illusione. Anche noi che siamo così sicuri delle nostre posizioni, dobbiamo convincerci che nessuno è stabilito, fissato per sempre nel “sì” a Dio. Il nostro “sì” è, infatti, una adesione e una conquista quotidiana, un lavorio interiore che ci fa essere cristiani veri ogni giorno.

 

Conclusione

Siamo partiti dalla coerenza e siamo arrivati alla conversione. Che significa questo? Che chi agisce in modo coerente alla volontà di Dio, diventa uomo in pienezza, diventa uomo in umanità. Si trasforma e trasformandosi cambia il mondo intorno a sé, inverando la storia propria e la storia degli altri. Allora il messaggio finale di questa domenica non è quello dell’obbedienza o della disobbedienza, ma quello della fecondità: del seme che diventa albero, della prostituta che può diventare donna, del cuore che diventa uno

 

Serena domenica

+ Vincenzo Bertolone

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