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Il corvo e il passero (poesia) PDF Stampa E-mail
Scritto da M.Miani   
lunedì, 04 agosto 2014 11:03

Era un albero. Era anche forte,Image

Quasi era un gigante immane.

È ischeletrito, le braccia al cielo

Fisse, immobili, senza mani

Il vento silenzioso l’ha mangiate

Come un topo sottoterra di nascosto.

Ha i gomiti, le ginocchia,

Le giunture tutte rattrappite.

Poverino ormai son anni

Che è morto e che sta là. Solo.

Da tempo che non raglia e non nitrisce.

Non più un foglia verde, gialla o secca

che cade a terra, e faccia un rumorino,

Una santa parola o una moderata bestemmia.

Sta li fermo. Impiantato ritto. Inutile.

Non parla, non grida, non si lagna.

I  corvi neri passano, si fermano a frotte

Lo riempiono di escrementi e lui tace.

Non risponde all’insulto né alla vergogna.

Non ode il suono, gli odori, il peso.

Un passero gira sui rami vi si posa.

È calmo, lieve come un venticello

lo becca, gli toglie le scorie nere

Dell’inverno, lo ripulisce tutto per intero,

Gli leva la corteccia becca qualche verme.

Lo rende all’occhio amorevolmente piacevole.

Il tronco senza scorza, bianco, che riluce al sole

Rimesso a festa, Pare che aspetti primavera,

Dopo l’inverno lungo, freddo e gelido.

Vuole rivedere i fiori, le gemme rinate a vita

Dimentico delle radici che son marcite

al buio. nell’umido della terra nera.

L’attesa è inutile, assurda. È vana,

Il passegger che va per il campo è solo un uomo,

Non è Cristo che guardando dica “Su muoviti.

Ritorni a vita, cammina e rifiorisci, da te

Nasca la gemma turgida, la foglia verde,

Con i fiori e i frutti nell’estate”.

Nel tempo sei un essere condannato a quiete.

È ormai inutile che tu ti sfrigoli pesce

Piccolo o grande che tu eri,

In una padella d’olio messa al fuoco,

Tu bolli, ti contorci, ti nuovi invano.

È vano anche nascondersi in profondi antri

Cavi, neri, freddi ed aspettare che arrivi l’equinozio

E poi il solstizio caldo, fruttale a Giugno.

Ed è inutile spellare la nespola a primavera

Portando la polpa zuccherina fra i denti in bocca,

Gettar il ripulito nocciolo nella terra in umido solco

E poi sospirare, e attendere che venga sia Marzo che Aprile.

Quel che è fatto, é dato, il dado d’altronde è stato tratto,

Resta un fiat prolungato, si, ma ora anche l’eco è spento.

V’è solo un resto, un corpo nudo ormai consunto,

Freddo, immobile, eterno in silenzio muto.

Qualcuno forse grida, piange ma lui non ode

Cerca un’ombra, un fantasma vacuo senza velo.

Una esistenza trapassata un nome astratto, sconosciuto.

Sì, verrà di nuovo primavera sul rettangolo di terra

Di un metro largo e lungo due passi o più.

E su chiunque Ivi giace desolato triste e solo,

Bianco, nero, giallo o, dalla pelle rossa,

Amico, bello o brutto, Nasceranno mammole,

Crocchi, viole del pensiero, rose amorose profumate,

i papaveri rossi dal sapor di droga,

l’erba verde della speranza andata e persa

Nella valle dell’oblio ove Caronte nocchiere è unica guida.

Michele Miani

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