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Vangelo del Corpus Domini PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
domenica, 22 giugno 2014 05:58

ImageSantissimo Corpo e Sangue di Cristo, solennità - Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,51-58.
In quel tempo, Gesù disse alla folla dei Giudei: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.  Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Corpus Domini

22 giugno 2014

Introduzione

Domenica scorsa, la Liturgia della festa della Trinità, e la sua collocazione nell’anno liturgico ci invitava a considerare il nesso profondo che lega il mistero della Trinità a quello dell’incarnazione: nesso perché l’incarnazione è espansione nel mondo della comunione di Dio con il Figlio e, dalla Pentecoste, con lo Spirito Santo. Oggi con la festa del Corpus Domini, festa dell’Eucarestia, siamo invitati a considerare lo stesso nesso tra il mistero eucaristico e l’incarnazione. In altri termini, l’Eucarestia trova spiegazione nell’incarnazione, poiché come l’incarnazione continua la generazione del Verbo di Dio dal Padre, così l’Eucarestia perpetua nel tempo la presenza di Dio in Cristo nel mondo. Non solo, tutta l’incarnazione è racchiusa nell’Eucarestia. Infatti, l’Eucarestia è memoriale di tutta la vita di Cristo, della sua esistenza accanto al Padre, nella storia d’Israele, della sua esistenza terrena culminata nella sua passione e morte, della sua resurrezione, della sua attuale intercessione per noi presso il Padre, della sua venuta finale nella gloria. Quale meraviglioso mistero è questo? racchiusa in una piccola briciola di pane è tutta la storia della salvezza quella che è stata, è e sarà. Sì, perché Cristo è in eterno pane del sacrificio, offertosi in dono al Padre per ottenere la salvezza dell’uomo; pane di comunione, che si lascia mangiare per renderci partecipi della sua morte e resurrezione; pane vivo disceso dal cielo per essere presenza attiva nell’anima dell’uomo e del mondo. Dunque, il pane che oggi celebriamo non è comune: diventa, nelle mani del sacerdote e per azione dello Spirito Santo, pane di salvezza, di comunione e di vita. Presenza di Dio che continua a incarnarsi per stare accanto all’uomo.

Sacrificio, comunione e presenza

L’annuncio eucaristico è davvero il grande mistero della fede e dell’amore. È mistero dell’amore perché ci chiama a conoscere, amare e assimilare la vita di Gesù. Tutta l’incarnazione, infatti, dal principio alla fine, dal Natale al Calvario, alla Resurrezione è tutta nell’Eucarestia. Essa è sintesi della rivelazione e culmine della condiscendenza con cui la Trinità si è comunicata agli uomini. Il pane eucaristico è di fatto il pane dell’offerta sacrificale, non a caso noi usiamo il termine ostia per identificarlo. E ostia significa “vittima”. E Cristo è la “vittima” eucaristica: Egli ogni giorno, in tutte le Chiese, continua a immolare se stesso sull’altare. È nell’Eucarestia che il Figlio di Dio, “ogni giorno si umilia”; ogni giorno viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sopra l’altare nelle mani del sacerdote. L’Eucarestia è, in sintesi, il mistero d’amore che rinnova e attualizza il sacrificio di Cristo contemplato e celebrato dalla Chiesa nel Triduo Pasquale. Un sacrificio d’amore funzionale alla comunione con il Padre e con i fratelli. Il sacrificio di Cristo, infatti, è atto di comunione, è azione che riappacifica l’uomo a Dio e l’uomo con l’uomo. A ricordarci questa dimensione comunionale dell’Eucarestia è Paolo: “Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è solo un pane, noi pur essendo molti, siamo un corpo solo”. In altre parole, attraverso il pane eucaristico, noi entriamo in comunione con il Padre e il Figlio e tra di noi. Ma l’Eucarestia è anche, e soprattutto, presenza. Gesù morto e risorto si fa presente a noi precisamente nell’atto della sua morte in croce e facendosi presente si comunica a noi, ci fa vivere la partecipazione alla sua vita. È la presenza che fonda il suo donarsi in sacrificio al Padre e il suo comunicarsi a noi. Allora, in questa festa del Corpo e del Sangue di Cristo si tratta di ricordare, innanzitutto, che Egli è presente per noi, e la sua presenza è finalizzata a farci vivere della nostra sorgente: l’Eucarestia. È per mezzo di Cristo, infatti, che Dio ha creato la luce, le acque, la terra e il vento; è sempre per mezzo di Lui che ha dato vita, con soffio divino, ad un grumo di fango perché diventasse persona. Dunque, nutrirsi al banchetto eucaristico è attingere direttamente alla sorgente della nostra esistenza. Così quei verbi ripetuti quasi con monotonia – mangiare, bere – sono prima di tutto il linguaggio della liturgia del vivere, di una Eucaristia esistenziale, della comunione totale con Cristo. Scriveva san Giovanni Crisostomo: “Nella comunione il cuore assorbe il Signore e il Signore assorbe il cuore, così i due diventano una cosa sola”. Questo è il solo miracolo che dobbiamo chiedere con insistenza.

I segni di una vita eucaristica

Un livello simile di comunione ci porta a dire, con san Leone Magno, che l’effetto dell’Eucarestia è di farci diventare ciò che mangiamo. Una affermazione questa che potrebbe confondersi con le parole del filosofo materialista Fauerbach: “ L’uomo è ciò che mangia”. Ma non è così. In realtà, la concezione cristiana è molto diversa: non siamo noi che assimiliamo quel Pane a noi, è Cristo che assimila noi a sé. Nell’Eucarestia è Dio in cerca della fame e della sete dell’uomo; è Cristo fame d’altro per chi è sazio di pane; è Lui che vive donandosi a noi, che viviamo di pane e miracolo. Infatti, noi mangiamo e beviamo il corpo e il sangue di Cristo, quando assimiliamo il nocciolo vivo e appassionato della Suo essere e ci innestiamo nel tronco che è il Suo modo di vivere. Possiamo avere qualche segno che questo miracolo avvenga? I segni sono tanti. Segni rivelatori della vita di Cristo in noi, segni che l’Eucarestia è viva e attiva. Essa lo è quando, per esempio, desta in noi il fervore della gratitudine, perché sappiamo vedere tutto nel segno della benedizione. “Padre ti ringrazio” diceva spesso Gesù. Anche noi dovremmo vivere nella disposizione gioiosa di chi ama riconsegnare e affidare tutto al Padre e ripeterci alla fine di ogni giornata ciò che Ignazio di Loyola amava dire al termine dei sui Esercizi Spirituali: “Dio mio ti rendo tutto”. Un altro segno della pienezza del dono eucaristico in noi è il germinare non di un amore qualunque ma di un amore – quello stesso di Cristo – generoso, gratuito,  totale, fino al sacrificio. Se si riceve la comunione, ci si accorge di voler amare di più e di recuperare nel proprio amore anche le situazioni difficili, quelle che forse prima si giudicavano impossibili. E si avverte il bisogno di lavorare per creare quella fraternità che nasce dalla condivisione dell’unico pane.

C’è anche un altro segno.

Noi entriamo in pienezza nella pienezza dell’Eucarestia quando sentiamo nascere in noi l’attesa di un mondo nuovo promesso. Beati noi se viviamo ogni eucaristia come una sosta di gente nomade, come una tappa ristoratrice del nostro esodo. Qui nel tabernacolo troviamo il cibo per la nostra fame e troviamo la fame di qualcosa di più grande, di ultimo, di definitivo. A questo ci conduce l’Eucarestia, dove il sublime confina con il quotidiano, l’infinito con il perimetro fragile del pane e del vino, là Dio è vicino a noi che temiamo la solitudine e il dolore. Se solo lo accogliamo, troveremo il segreto della vita: che è la nostra dimora in Dio e Dio è dimora in noi. E sarà il consumarsi di una Eucaristia perenne e perfetta.

 

Conclusione

Non voglio terminare queste poche briciole di riflessioni senza richiamare la pia devozione della processione che oggi ogni Chiesa farà per le vie delle rispettive città. E lo faccio prendendo in prestito le parole di papa Paolo VI, che più di ogni altra spiegazione rendono efficacemente il senso di ciò che ci prestiamo a vivere come credenti in questa solennità del Corpo e Sangue di Cristo: “Quale può essere oggi il nostro voto per la nostra Città, e per tutta la “Città di Dio”, che è nel mondo, se non quello che questo mistero di fede e questo mistero d’amore, - perché tale è il Sacramento dell’Eucarestia - , irradi fede ed amore in tutta la convivenza umana e sociale? Questo desiderio di irradiazione è così vivo, in questa festività, nella Chiesa, che essa porta fuori dalla sua casa, il Tempio riservato al culto e al silenzio, il Sacramento adorabile, il suo Gesù vivente e velato nel segno del Pane di vita, simbolo e realtà del sacrificio redentore, affinché tutti lo sappiano, tutti lo vedano questo segno di misteriosa presenza, che accompagna la Chiesa nel cammino della sua storia, ed affinché il mondo, anche quello profano, si accorga che Cristo gli è vicino, ed ha pure per lui, se esso lo vuole, un effusione di bontà, una offerta di speranza”. Non mi resta che augurarvi di rinnovare con fervore questo rito antico, questo pellegrinaggio adorante, magari d’altri tempi, ma così necessario per questi tempi tanto affamati e assetati , di silenzio, di raccoglimento, di amore e verità.

Serena domenica

+ Vincenzo Bertolone

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