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Vangelo della VI Domenica di Pasqua PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
sabato, 24 maggio 2014 06:50

ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 14,15-21. In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osservate i miei comandamenti.  Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre,  lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi.  Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi.  Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete.
In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».

VI Domenica di Pasqua

25 maggio 2014

Portatori sani di una sana speranza

Introduzione

Domenica scorsa abbiamo iniziato parlando di speranza, e lo abbiamo fatto pur sapendo che le parole sulle quali abbiamo concentrato la nostra attenzione, in realtà, erano le ultime parole del Maestro, da Lui pronunciate nell’ultima cena. L’incipit di questa domenica, la VI del tempo di Pasqua, è lo stesso, non cambiano i luoghi e i tempi: siamo sempre nel cenacolo e all’imminenza dell’arresto e della morte del Signore. Non cambia neppure il tono delle parole pronunciate dal Maestro: sono sempre ultime parole. Ciò che cambia è però l’esordio, quella parte della storia per cui accade un qualcosa che determina lo svolgimento successivo dell’intera vicenda e, dunque, fa sì che essa sia unica e irrepetibile. Questo nuovo esordio è segnato da una richiesta d’amore: “Se mi amate, osservate i miei comandamenti”; da una promessa: “Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un Consolatore perché rimanga con voi per sempre”; una speranza, che è già certezza: “Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi”. E per finire, da una appassionata dichiarazione d’amore: “… io vivo e voi vivrete”. Ciascuna di queste espressioni innesca un meccanismo di risposta, il cui comune denominatore è speranza unita ad amore. In altri termini il credente che accoglie nella sua vita la vita di Cristo, che fonda la propria forza con quella dello Spirito, è cristiano di speranza e di amore. è cristiano portatore di un vero amore e di una sana speranza. Essere-in In questa parte del suo ultimo discorso Gesù ci consegna un verbo, sicuramente il più importante della vita spirituale:

essere-in.

Non solo essere accanto, presso, vicino, ma essere-in dentro, immersi, uniti: “Lo Spirito sarà in voi…; … io sono nel Padre …; Voi siete in me e io in voi”. L’essere-in è totale compenetrazione dell’Uno nell’altro, un esserci fino a che l’Altro non diventi propria dimora e casa. Tommaso d’Aquino diceva che l’amore è passione di unirsi alla persona amata. E Dio per forma ha manifestato questa passione, Lui per primo viene incontro, è Lui che cerca casa. Mentre spetta a noi lasciarci amare, e questo è fondamentalmente facile e bello. In fondo non costa nulla lasciarsi amare da Cristo. Eppure è l’accoglienza o meno di questo amore che fa la differenza cristiana. Infatti, una vita cristiana separata dall’intimità con Dio, non è cristiana e non è vita, perché Cristo vive e noi viviamo. A fare la differenza è dunque questa vita divina, che è del Figlio, ed è, per suo dono, in noi; è questa vita divina a stabilire la differenza con chi questa stessa vita non vive, con chi non fa esperienza di comunione con il Figlio e nel Figlio con il Padre. Tutto qua, è questa la vita cristiana, diversa qualitativamente, diversa sostanzialmente; è vita nel rapporto con Cristo Risorto, è vita in unione con Cristo. E l’unione con Cristo è via di comunione al Padre, è passione di fare ciò che Dio fa, di partecipare alla stessa energia di vita, di respirare il Suo respiro. È, infine, modo per assomigliare a Dio, diventando noi stessi protagonisti di una storia di comunione in cui ad agire sono mani, cuore e mente animati da frammenti del cuore di Dio. Ecco l’identikit del cristiano: azione e pensiero mistici, ovvero nella contemplazione di un Volto e di un Amore attinge la forza per rendere più efficace l’annuncio, la comunione e il servizio. Così la passione di Dio ad unirsi a noi e noi a Lui diventa passione di far vivere, perché chi ama vive e genera vita: forte come la morte è l’amore, le grandi acque non possono spegnerlo, né i fiumi travolgerlo. Ed è proprio in forza di questo amore donato e ricambiato che il cristiano non può esimersi dall’essere uomo dei “fatti” e della “speranza”.

Discepoli secondo lo Spirito

Dunque, il cristiano deve essere l’uomo dei “fatti”, perché sa che l’amore richiesto dal suo Signore e Maestro si mostra con i fatti e non con le parole, sia pure di lode. Avverte San Giovanni Crisostomo, cominciando a spiegare questa pagina del Vangelo: “ è di fatti che abbiamo sempre bisogno, non di grandi parole. Parlare e promettere è facile a chiunque: non è così eguale il fare…ci sono molti che ora dicono di temere Dio e amarlo, ma con i fatti dimostrano il contrario: ma Dio vuole essere amato con i fatti”. E Sant’Agostino: “Chi ha i miei comandi e li osserva: ecco chi mi ama”. “Chi li custodisce nella memoria e li attua nella vita; chi li tiene presenti nelle sue parole, e li esprime nel comportamento; chi li ha ascoltato, e li osserva, praticandoli; oppure chi li ha perché li pratica e li osserva costantemente, ecco chi mi ma”. “L’amore bisogna dimostrarlo con i fatti, altrimenti è una parola vuota e sterile”. Ecco chi è il cristiano: è colui che ama Cristo e accoglie il suo Spirito. Infatti, senza l’accoglienza in noi dello Spirito di dio non può esserci amore, perché senza lo Spirito è impossibile distinguere in noi la voce di Chi ci ama da sempre; è assurdo pretendere di vedere la Presenza invisibile di Cristo, mentre il cuore batte all’unisono con il Suo. È lo Spirito Santo che, con il suo fervore e dinamismo, compie questo miracolo: far “vedere” Chi si crede perduto per sempre. Infatti, sotto l’azione dello Spirito Santo il “vedere” stesso, quale noi lo percepiamo con i nostri sensi terreni, non necessita di un immagine; come anche l’ “incontro” non implica l’esperienza con una persona in carne e ossa. “Vedere” e “incontrare” avvengono su un livello diverso, un livello Spirituale, nel quale, divenendo una cosa sola con Chi si vede e s’incontra, non c’è bisogno di avere la persona stessa di fronte. Perciò avendo dentro di sé Cristo, essendo uniti a Lui non c’è bisogno di averlo di fronte, se ne avverte la Presenza comunque. È questa la condizione propria di noi credenti: “vediamo” il Risorto e siamo la dimora della Trinità. Ed è appunto lo Spirito che realizza questa condizione. Ed è sempre lo Spirito che ci fa essere anche uomini di “speranza”. Ma quanto è difficile raccontare, esprimere pienamente questa speranza! Eppure abbiamo l’obbligo di non abbandonarci alle “ragioni del cuore”, come diceva Pascal, per fuggire al compito di dare le ragioni della speranza stessa. Né possiamo rifugiarci nel detto famoso di Kanr: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”, perché anche questo assioma è ancora rifugio nel “cuore”, nell’intimo, nel profondo, nell’insondabile. Invece, la “speranza” a cui siamo chiamati è ragionevole, sensata, capace di esibire fattivamente e oggettivamente le proprie ragioni. Bisogna, in sostanza, saper scegliere e amare, conoscere scegliendo e scegliere ragionevolmente: questa è la speranza cristiana. Una speranza che non è solo idea o pensiero d’azione, non sentimento consolatorio o ripiegamento intimo, essa è comunione di mente e cuore, armonia di sentimento e volontà. È speranza di una Persona che è Presenza viva e dono d’amore. È Spirito di Dio in noi.

Conclusioni

La vita di un credente è paragonabile ad un’opera letteraria, il cui contenuto può essere avvincente o deludente, dire qualcosa agli altri o non sire nulla. Tutto dipende da come ci mettiamo alla scrivania e da chi ci lasciamo ispirare per riempire le pagine bianche. Se ci lasciassimo sussurrare all’orecchio la trama da Dio, tutti potremmo diventare grandi scrittore, meritevoli del Premio Nobel per la speranza, la fede e la carità. A.Merini a quanti le chiedevano come si facesse a scrivere un libro rispondeva: “Si va vicino a Dio e gli si dice: feconda la mia mente, mettiti nel mio cuore e portami via dagli altri, rapiscimi. Così nascono i libri, così nascono i poeti”.  Ecco, chiediamo allo Spirito del Signore, che in questa liturgia, a due settimane della sua festa, si presenta in anteprima, che ci riempia di sé perché rapiti dal suo amore possiamo diventare cristiani portatori di sana speranza e costruttori di vera comunione.

Serena domenica.

   + Vincenzo Bertolone

 

 

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