“La pace l’ho vista sulla bocca di Maria, nei capelli biondi di suo figlio, sotto la croce e sopra il cielo. L’ho udita nel canto degli uccelli, nel silenzio delle notti; sulle cime degli alberi posava, calava in terra e l’erba accarezzava; bagnava le sementi, le radici rinfrescava. L’ho vista nei cimiteri, inginocchiata accanto alle croci. Pace che ti succhiai la prima volta dal petto bianco di mia madre. Pace che mi svegli al mattino e mi porti il sonno della sera. Pace, che tutto dai e niente vuoi, abbraccia il mondo e lasciami solo. Copri d’ali di colombe il cielo d’ogni terra”. Da questi splendidi, lirici versi del mio conterraneo Ignazio Buttitta, nasce spontaneo un interrogativo: perché devastiamo con la guerra quell’aiuola (così la chiama Dante) che è la terra? Da sempre l’umanità profana con le distruzioni il santuario del mondo, versa sangue sulle pietre, usa le energie della natura per ferirla a morte. La guerra, evidenziava lo scrittore francese Cèline, è stata ed è “il massacro di milioni di persone che non si conoscono, nell’interesse di poche persone che si conoscono ma si massacrano”. L’uomo, al contrario, dovrebbe dissodare vaste radure di pace in se stesso ed estenderle finché questa non si diffonda: più pace ci sarà negli esseri, più ve ne sarà nelle famiglie, nelle città, nel mondo. Al riguardo, prima ancora di affidarci alle istituzioni politiche, dobbiamo partire da noi stessi, dal nostro piccolo orizzonte, irradiandolo di pace. È un’azione a prima vista modesta, ma come la catena dell’odio s’allunga con singoli atti di vendetta, così l’amore dilaga solo se l’acqua purificatrice e dissetante del perdono, della generosità e dell’operosità è arricchita da tanti piccoli rivoli che ognuno immette ed alimenta nel grande fiume della vita, posto a rischio sempre più dall’avanzare del deserto dell’umana voglia di assoluta e a volte vuota libertà. In un contesto siffatto, torna d’attualità la Pacem in terris, l’enciclica venuta alla luce nel 1963, nella quale Papa Roncalli ricordava essere il mondo la nostra grande casa. Desiderio comune, oggi come allora, è che essa sia la casa della pace, senza più paure, risse e guerre, governata da quell’ordine che Dio ha dettato, fondandolo su quattro pilastri: verità, giustizia, amore e libertà. Il mondo, però, non solo si mostra incapace di accogliere il dono della pace, ma si ostina a credere e a vivere come se essa potesse essere ottenuta solo attraverso una guerra. Cambiare si deve, cambiare si può. <<Invito ogni uomo e ogni donna a prendere più lucida consapevolezza dell’appartenenza all’unica famiglia umana e ad impegnarsi perché la convivenza sulla terra rispecchi sempre più questa convinzione da cui dipende l’instaurazione di una pace vera e duratura. Invito poi i credenti ad implorare da Dio senza stancarsi il grande dono della pace. I cristiani, per parte loro, sanno di potersi affidare all’intercessione di Colei che, essendo Madre del Figlio di Dio fattosi carne per la salvezza dell’umanità, è Madre comune>>. Sono parole contenute nel messaggio di Papa Benedetto XVI per la quarantunesima Giornata mondiale della pace. Le faccio mie, augurando a voi tutti un lieto anno nuovo. Un anno, se vorrete, nel segno della pace, una pace che abbracci il mondo e copra di sé il cielo d’ogni terra. + Vincenzo Bertolone |