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Giovani senza riferimenti PDF Stampa E-mail
Scritto da L.Niger   
lunedì, 07 aprile 2014 06:09
ImageCome gli uomini anche le piante subiscono le offese del tempo, non solo di quello climatico. Gli sforzi, le fatiche, i dolori, con il trascorrere degli anni, aumentano e nascere e ri-nascere quotidianamente diventa sempre più difficile, più pesante, più problematico. E, poi, c’è la paura dell’oblio definitivo che tutto cancella, che non lascia tracce: un pensiero, un ricordo. Come se non fossimo mai esistiti. Era un po’ l’ossessione degli antichi greci, andare oltre una vita breve e insulsa. Resistono e persistono, nonostante tutto, oltre le cose, soprattutto le arti: suoni, parole, immagini, odori. Anche i fiori di gelsomino sono ricomparsi: piccoli, timidi, riservati, ma sempre dall’odore inebriante e gentile e consolante per la memoria olfattiva. Ancora una volta, una piccola vittoria , in un mare di perdenti, di delusi e di sconfitti.  Tra quest’ultimi, probabilmente, c’ è il mondo giovanile, segnatamente, quella fascia che va dai trenta ai quarant’anni, circa.

Da tempo, in diverse occasioni e in molteplici confronti, vado segnalando l’assenza nei giovani di punti di riferimento, di modelli, di esempi, di testimoni, di miti validi e di passioni vitali. Tralascio il problema dell’evaporazione della figura paterna con la perdita di autorevolezza, di regole, della parola, per sottolineare il deserto in cui vivono i giovani, pieni di cose, ma vuoti di quel che rende la vita degna di essere vissuta.

L’altro giorno, mia figlia, colta, bella e addolorata, mi faceva notare con il consueto garbo, con tristezza e, quasi, con una certa invidia, che, loro, i giovani, erano “costretti” a condividere ideali e miti, tipici della mia generazione. Nell’assenza e nella mediocrità generali si sono nutriti e continuano a nutrirsi di personaggi ed eventi come Che Guevara, come i teologi della liberazione, come l’antifascismo e la resistenza, come Berlinguer, come don Milani e tanti altri. E poi le donne, i poveri, gli esclusi, i rifugiati, gli immigrati…ferite di ieri, ferite di oggi.

I giovani, per lo più, ritengono che la mia generazione sia stata fortunata. E, per non pochi aspetti, hanno ragione, perché gli abbiamo tolto tutto, o quasi tutto: ideali, lavoro, avvenire. Ed io, adulto, provo tristezza e tenerezza e mi sento uno dei responsabili del massacro.  A noi angosciavano gli orrori del passato e le asprezze del presente, ai giovani angosciano i rischi e le incertezze del futuro. In ogni caso, almeno per un breve periodo, la mia generazione, quella sessantottina, ha pensato non solo di essere padrone del presente, e, quindi, capace di poterlo cambiare per un mondo migliore, ma ha anche tentato di realizzare una umanità più umana. Il potere, che dell’immaginazione giovanile se ne frega, scaltro e spietato, ha distrutto sogni e illusioni.

Nei giovani di oggi è stata cancellata, oltre all’idea di futuro, l’esperienza del conflitto, della lotta, della sconfitta. Come nella prima guerra mondiale, sono stati e continuano ad essere considerati  solo carne da macello da sacrificare nel nome del mercato, del profitto, della potenza. Questa volta le armi utilizzate sono state il consumismo, il lassismo, la persuasione occulta, l’omologazione.

Nei colloqui clinici, spesso, il linguaggio è povero, striminzito, approssimativo. Le storie raccontate poche, appena abbozzate. Timidi e imbarazzati, narrano il vuoto e la solitudine. Giovani senza passato e senza futuro?

Resta solo il racconto online della storia della propria vita giornaliera in tempo reale: storie, sovente, infantili ed effimere, velate di disincanto e di disperazione.

 

Luigi Niger

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