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30 Marzo IV Domenica di Quaresima PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
domenica, 30 marzo 2014 11:27
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 9,1-41. - In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita  e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?».
Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.
Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare.  Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo».  Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco  e gli disse: «Và a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)». Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.  Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: «Non è egli quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?».

Alcuni dicevano: «E' lui»; altri dicevano: «No, ma gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!».  Allora gli chiesero: «Come dunque ti furono aperti gli occhi?».  Egli rispose: «Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Và a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista».
Gli dissero: «Dov'è questo tale?». Rispose: «Non lo so».  Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco:
era infatti sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi.  Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo».  Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri dicevano: «Come può un peccatore compiere tali prodigi?». E c'era dissenso tra di loro.  Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «E' un profeta!».  Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista.  E li interrogarono: «E' questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?».
I genitori risposero: «Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco;  come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l'età, parlerà lui di se stesso».
Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano gia stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga.  Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età, chiedetelo a lui!».  Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Dà gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore».
Quegli rispose: «Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo».  Allora gli dissero di nuovo: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?».  Rispose loro: «Ve l'ho gia detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?».  Allora lo insultarono e gli dissero: «Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè!  Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia».  Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi.  Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta.  Da che mondo è mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato.  Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla».  Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?». E lo cacciarono fuori.  Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: «Tu credi nel Figlio dell'uomo?».  Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?».
Gli disse Gesù: «Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui».  Ed egli disse: «Io credo, Signore!». E gli si prostrò innanzi.  Gesù allora disse: «Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi».  Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo forse ciechi anche noi?».  Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane».

 

 

IV Domenica di Quaresima

30  marzo 2014

Una carezza di Luce 

Introduzione

Nel rito ambrosiano la IV domenica del tempo quaresimale è celebrata come la domenica dell’ “illuminazione”, e l’episodio del Vangelo proposto nelle Liturgie è sempre quello giovanneo del “cieco nato”. Secondo il nostro rito questa domenica, la IV del tempo di Quaresima, ritorna, con lo stesso passo del Vangelo, ciclicamente ogni tre anni, appunto con l’Anno A. Così anche noi quest’anno celebriamo la nostra domenica dell’ “illuminazione”. Essa di fatto si presenta come forte richiamo al vero senso dell’itinerario quaresimale, al cammino che abbiamo fatto e che ancora dobbiamo fare, cioè il richiamo a riscoprire e rinvigorire il valore profondo ed esistenziale del nostro battesimo. In altri termini l’itinerario quaresimale ci invita a risalire alle nostre sorgenti, a ritrovare la nostra grandezza, spesso appannata, di figli di Dio. e in particolare questo episodio del vangelo di Giovanni si presenta come una freccia puntata verso il battesimo cristiano, il nostro battesimo. Di fatto i segni ci sono tutti: c’è un rito, ci sono le imposizioni delle mani, c’è l’acqua, la remissione del peccato e, soprattutto, c’è la luce. Tutti “segni” che rimandano a realtà più profonde e che operano più che una guarigione, operano una conversione, una illuminazione. Infatti, ciò che accade al cieco nato seduto ai bordi della piscina di Siloe, è accaduto a noi nel giorno del nostro battesimo: la luce della fede, che è lo sguardo amorevole di Dio su di noi, ha amplificato e trasformato la nostra vista umana, donandoci la possibilità di imparare a vedere la vita, il mondo, gli altri, Dio stesso in modo diverso. Così crescendo ogni cosa può acquistare un sapore diverso e un valore diverso, se lo si vuole, ogni giorno si possono orientare le scelte vivendo nella prospettiva di quella luce iniziale. Tuttavia sapere ciò non basta, e spesso dobbiamo fare i conti con una cecità peggiore di quella fisica, la cecità dello spirito, ovvero, dimentichi della nostra identità di figli di Dio, impediamo ai nostri occhi di vedere con la luce giusta. Ed è per questi momenti che la Chiesa ci aiuta a ricordare, attraverso i tempi liturgici forti, chi siamo e da dove veniamo. E questa domenica, come lo è stato ed è tutto il tempo quaresimale, ci offre l’occasione preziosa per ripensarci e riorientarci.

Chiamati alla luce

I protagonisti del brano del Vangelo di questa domenica sono tre: Gesù, il cieco nato e i farisei. Tutto ha inizio con i riflettori puntati sul povero cieco, mendicante, buttato come straccio sul bordo della piscina di Siloe. È cieco dalla nascita, inerme, bistrattato da tutti, perché ritenuto peccatore, colpevole di un male non suo. Egli non chiede nulla, ma spera e attende, lasciandosi cadere addosso una vita di disprezzo e irrisione. Ma un giorno all’improvviso, Qualcuno gli passa accanto, si ferma e lo guarda con occhi diversi. Subito inizia una piccola liturgia di dita, di acqua, di saliva, e di fango, liturgia di Cristo attorno al suo viso, al viso non più di un cieco, ma di un uomo, nuovo tempio di Dio. Da uno sguardo, e da un rito fatto di gesti e segni, cambia tutto. Cambia perché quegli  occhi che guardano, quelle mani che accarezzano, sono diversi. Sono luce che scrutano discernono e penetrano in profondità, liberano dall’assurdità, riportano ad un ordine diverso, ad un fine alto. È una rivelazione senza precedenti, dal valore prodigioso: gli occhi e le mani di Dio si posano sull’uomo attraverso lo sguardo e la carezza umana di Gesù. Essere guardati e sfiorati da Lui è già salvezza. Perché Egli non si ferma all’apparenza delle cose, ma scende nel profondo dell’animo umano per recuperarne l’antica bellezza e restituire ad essa la dignità perduta, svilita, umiliata da leggi disumane e convenzioni sbagliate. Allora la guarigione del cieco nato non è solo una guarigione fisica, ma è anche, e soprattutto, guarigione interiore, è reintegrazione di una dignità perduta. È un essere illuminati, un vedere con occhi nuovi e diversi se stessi, gli altri, e il proprio rapporto con Dio. A questo punto avviene il vero miracolo: la carezza di luce di Gesù diventa carezza di libertà e di gioia. Di libertà perché la luce ricevuta dallo sguardo di Gesù ha reso il cieco libero di muoversi, non più dipendente dagli altri, ma sicuro nel percorrere il cammino della vita, e guarito, senza più paura alcuna, è forte nel tener testa a chi lo ha condannato ad una prigione peggiore della cecità, a chi lo ha giudicato peccatore senza aver commesso alcuna colpa. E da uomo libero, il cieco rinato alla luce non bada più alle sterili parole degli uomini da bene, ma osserva i fatti concreti, riconoscendo in essi l’impronta innegabile di Dio. Ma accanto alla libertà, c’è anche la gioia. Il cieco diventa un uomo felice, perché la carezza di luce è anche carezza di allegria, è tocco che si posa su tutte le cose illuminandole di una luce nuova. Così vedere è godere la bellezza dei volti che s’incontrano, dei colori che animano la terra e la vita tutt’intorno. E se vogliamo dare un nome a questa luce, dobbiamo chiamarla fede. Ecco la luce è lo sguardo luminoso della fede che illumina tutto al suo passaggio : Voi siete luce nel Signore (Ef 5,8). La fede non è solo un dono che si possiede dalla nascita, ma è una conquista. Solo credendo in Colui che ci ha già guariti col battesimo, infatti, possono riaprire gli occhi per vedere chiaro e lontano, per scendere al cuore delle persone e delle cose, per vedere nella storia universale e personale i segni dello sguardo di Dio. Rintracciare, infine, quei segni significa aprirsi ad un nuovo modo di guardare, ovvero come Dio imparare a guardare il cuore, non le apparenze; imparare, cioè, ad amare la vita più della sua logica. Infatti solo così si capirà il senso di tutto ciò che ci capita, solo così si potrà andare verso quell’oltre che abbraccia spazi infiniti ed eterne stagioni.

Uno sguardo nuovo

Dunque la cecità e la vista, le tenebre e la luce di cui parla il Vangelo di Giovanni, rimandano alla capacità o all’impossibilità di vederci nel mondo secondo lo sguardo di Dio, di capire l’esistenza stessa alla luce degli occhi umani di Cristo. Di fatto, però, proprio con l’umanità di Cristo è passata da una visione ristretta della realtà, dai tetti in giù, a quella ampia e senza confini della rivelazione di Dio, dai tetti in su. Questo passaggio ha riaperto gli occhi del credente su due verità fondamentali alla vita stessa: sulla verità centrale della fede, che cioè è Dio Padre ad amarci per prima, e a salvarci con il dono di una vita immortale; e sulla verità conseguente che noi siamo figli della luce di Dio e tutti fratelli in Essa. Si scopre così la meraviglia del dono della vita, il nostro ruolo di chiamati a continuare nel mondo l’opera creatrice di Dio Padre, a costruire una umanità più giusta e dignitosa, una umanità a misura di figli dell’Altissimo e fratelli in Esso. Queste verità spiegano quale sia stata ed è la vera passione di Gesù: poter dire a tutti di guardare con occhi nuovi dentro di noi, di cercare di vedere in una luce nuova gli altri, e Dio stesso. Una passione che continua e si realizza ancora oggi al momento del battesimo, quando siamo chiamati alla luce, quando diventiamo “illuminati”. In un certo senso il battesimo è la nostra piscina di Siloe: con esso abbiamo ricevuto la possibilità di vedere oltre , perché in esso Gesù ha inventato per noi degli occhi nuovi. Ma nonostante gli occhi nuovi ricevuti nel battesimo, dobbiamo fare i conti con una condizione altalenante di cecità. A volte, infatti, viviamo come se nessun miracolo sia avvenuto nella nostra vita; ci ostiniamo a vedere volti e situazioni come se tutto sia frutto di un caso cieco, di un trionfo assurdo o di un dio ingiusto. Risolvere questa contraddizione di fondo della vita di fede non è facile. Eppure un proverbio indiano potrebbe aiutarci a fare chiarezza. Esso dice: Vieni a me con il tuo cuore, e io ti darò i miei occhi. È chiaro. Per non vivere da ciechi occorre innamorarsi dello sguardo, degli occhi di Chi ci ha guardati per primo: occorre innamorarsi di Cristo. Con Lui dovremmo comportarci come da innamorati. Infatti, amare veramente significa arrivare a vedere con gli occhi dell’altro/a che si ama. Ed è proprio l’amore a creare il miracolo di uno sguardo nuovo, per cui il mondo viene restituito alla sua limpidezza originaria proprio dalla persona che si ama. Ne consegue che se noi andremo da Gesù con il nostro cuore, se impareremo ad amarlo come il più caro, tenero degli amici, Gesù stesso ci darà i suoi occhi, gli occhi di Dio, per guardare in modo nuovo.

Conclusione

Nel dramma di P. Claudel :Le père humilié "una giovane ebrea cieca", dice ad un cristiano: “Voi che ci vedete, cosa ne avete fatto della luce?”. È forse la domanda che dovremmo porci tutti, in quanto battezzati, in questo lungo cammino quaresimale, soprattutto confrontandoci con la realtà che ci circonda. Cosa abbiamo fatto della luce? Come abbiamo lasciato che offuscasse lo sguardo di Cristo nei nostri occhi? Come abbiamo potuto abituarci alla vista di tutte quelle realtà che calpestano la dignità dell’uomo, offendono il genio femminile, spengono la gioia e la felicità sul volto dei bambini?  Forse prima di rispondere a queste domande, è opportuno fermarci e guardarci dentro, per riscoprire quella luce che nel giorno del nostro battesimo si è accesa per non essere più spenta, quindi ripartire da essa per illuminare di nuovo il mondo.

Serena domenica.

+  Vincenzo BertoloneImage

 

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