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Vangelo di domenica 9 Febbraio PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
sabato, 08 febbraio 2014 06:53
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 5,13-16.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: " Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte,
né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.  Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.

V domenica del tempo ordinario

Anno A -  Mt 5,13-16

9 febbraio 2014

 

Voi siete…

Introduzione

Da domenica scorsa abbiamo iniziato la nostra riflessione sulle parole pronunciate da Gesù agli inizi della sua missione cioè di quello che potremmo definire “il buon cammino educativo dell’uomo da parte di Dio”. Gesù ha aperto questo cammino con la proclamazione solenne delle beatitudini. Esse, come dicevamo l’altra domenica, oltre a rivelarci il vero volto del Padre nei tratti del volto del Figlio, ci rivelano quello dell’uomo e, quindi, la via per giungere alla gioia piena. Il Vangelo odierno, continua nel suo intento educativo: Gesù “ammaestra”, “educa” i suoi discepoli, e chiunque si metta alla ricerca della verità, per comprendere meglio chi è Dio per noi, chi siamo noi per Dio, chi siamo gli uni per gli altri. E mentre domenica scorsa abbiamo iniziato timidamente a scoprire il velo che ha coperto il volto di Dio per tutto il tempo della promessa e dell’attesa, oggi inizieremo invece ad approfondire la conoscenza di noi stessi, del nostro essere per Dio e del nostro essere per gli altri. Gesù si serve di due immagini, semplici e suggestive, per rivelarci la verità sul nostro essere e il nostro operare da cristiani nel mondo, ovvero sul nostro “esser-ci” come discepoli di Cristo e figli di Dio. Le due immagini sono il “sale” e la “luce”: preziosi tesori custoditi in vasi di creta; doni non da trattenere ma da travasare nei luoghi in cui si è perduto il gusto e la speranza di una vita degna di essere vissuta e là dove c’è chi ha spento la fiducia. Due immagini, il “sale” e la “luce”, apparentemente contrastanti fra loro, ma in realtà complementari e, soprattutto, significative nel precisare il di “più” che la fede dei cristiani porta al mondo; il di “più” che non è un dover essere, ma un “essere”.

Sale e luce: sapore e splendore di Dio

Ricorrendo alle immagini del “sale” e della “luce” è chiaro che Gesù abbia voluto far capire come la vita del discepolo si caratterizzi per un sapore e una luce particolari. Ciò che invece può sfuggire è il fatto che ciascuno di noi, in quanto discepolo di Cristo, si ritrova ad essere “sale” e “luce”, prima che per un impegno personale, per pura grazia. In altri termini, tutti coloro che hanno ascoltato le beatitudini, tutti coloro che vengono raggiunti dalla Parola di Gesù sono già “sale” e “luce”, cioè sono già depositari di un fascino che forse non si sa ancora di avere e che non si spiega certo con ragioni umane. Gesù non esordisce dicendo: “Voi dovete essere…”, ma “Voi siete…”. Ovvero esser-ci come “sale” e “luce” nel mondo non sono il frutto di una

pratica di vita, ma doni gratuiti di Dio, che chiedono solo di essere manifestati e condivisi. A noi però spetta il compito di prendere piena coscienza di questi doni perché esprimendoci per loro tramite, come discepoli di Cristo possiamo fare davvero la differenza nel mondo. Possiamo cioè essere sapore e splendore di Dio sulla terra: in altri termini rivelare al mondo la possibilità di una vita sàpida e luminosa.

Scopriamo che il cristiano è “sale” quando ha il sapore delle beatitudini, cioè esprime nella propria vita il primato di Dio. Esprimere ciò significa saper distinguere in ogni momento della propria esistenza il sapore di quel condimento divino che dà ad ogni pensiero, parola, sentimento e gesto il suo vero sapore, quel gusto singolare che non può venire che da un “altrove”. La nostra identità, quindi, è “sale della terra”: ciò oltre a dare un senso al nostro essere, si allarga come orizzonte di significato per tutti gli uomini. Questo essere “sale” anche per gli altri non sfugge alla sapienza antica. Infatti annotava san Girolamo: “Gli apostoli sono chiamati sale perché per mezzo loro viene condito tutto il genere umano”. Così il discepolo è colui che all’“insipienza” del mondo, con la sua visione distorta della vita, contrappone la sapidità e la sapienza di Dio, che è la sapienza stessa del Vangelo. Ma parlando di “sale”, Gesù non solo rivela la natura stessa dell’ esser-ci come discepoli, ma dice anche la modalità con cui questo esser-ci deve esprimersi. Infatti, perché l’esistenza del credente dia veramente sapore al mondo e alla vita degli altri, il credente deve esserci al modo del “sale”. Quindi, deve sapersi confondere con gli altri, sciogliersi per gli altri: divenire un niente che si perde e scompare perché il tutto possa acquistare il buon sapore di Cristo, perché ognuno possa riscoprire il gusto dolce della bella e buona esistenza cristiana. Del resto, vivere da figli e fratelli amati è per tutti il sapore stesso della vita. “Voi siete la luce del mondo…”: chi “sa” di Cristo, è luce. Dunque la luce del discepolo di Cristo non può restare nascosta ma deve illuminare. E illuminare non significa solo rischiarare, cioè portare luce laddove ci sono le tenebre, significa anche portare vita laddove persistono realtà di morte. Allora, illuminare è rendere partecipi gli altri del dono divino della vita e della conoscenza di Dio: in una parola essere luce del mondo significa vivere pienamente la propria vocazione battesimale. Infatti, quella candela accesa nel giorno del nostro Battesimo altro non è che la luce di Cristo, penetrata in noi grazie all’azione dello Spirito Santo. Essa ci rende portatori di una luce che non viene da noi, ma ci è stata data in dono perché la custodissimo e la condividessimo. Custodirla significa fare in modo che non si spenga mai, e perché ciò non accada bisogna attingere avidamente alla sua fonte, cioè alla luce che è Cristo; condividerla, invece, significa fare in modo che essa non arda per illuminare se stessa, ma nel consumarsi, bruciando, rischiari ogni cosa. Così quando Gesù parla di “luce” non rivela solo chi siamo, ma anche come agire per essere ciò che siamo. Ci dice che per essere segno di luce, dobbiamo, come la luce, rendere visibile ciò che è invisibile, dare ragione della nostra speranza e della nostra gioia, avvolgere e attraversare ogni cosa con la sapienza luminosa del Vangelo perché tutto si converta in luce. Dunque, il Vangelo di oggi oltre a celebrare il trionfo del sapore che l’uomo può dare al mondo, celebra anche la luce che l’uomo può irradiare nel mondo.

La responsabilità della missione

A guardare bene, con le due immagini del “sale” e della “luce” Gesù ricorda ai cristiani il compito della testimonianza da dare agli altri, in altre parole ci richiama alla responsabilità della missione. Infatti, noi saremo sale solo se annunceremo il Vangelo della misericordia di Dio rivelatasi nel suo Figlio, se riusciremo a informare la nostra vita e quella degli altri alla luce del Vangelo. Così saremo luce solo se rifletteremo con la nostra testimonianza di vita la luce vivificante e chiarificatrice di Cristo, e se terremo viva giorno per giorno la fiammella del nostro battesimo e aiuteremo i confusi a farlo. E più profondo ancora: potremo essere il sale e la luce di Cristo nel mondo se sapremo essere una sola cosa con Lui, vivendo la sua stessa vita.

In altri termini, la testimonianza cristiana al modo del sale e della luce presuppone l’imitazione di Cristo ed anzi una trasformazione in Cristo. Infatti, noi cristiani siamo testimoni nella misura in cui Cristo vive in noi. Nella misura in cui cioè sapremo effondere attorno a noi la gioia che ci viene dal saperci amati da Dio; e sapremo dare testimonianza della buona vita evangelica, secondo quella concretezza e semplicità a cui ci richiama lo stesso Gesù nelle parole del Vangelo: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”. La concretezza e la semplicità della testimonianza cristiana sta dunque nel compiere le opere buone e nel farlo con amore. Infatti, solo l’amore che mettiamo nelle cose che facciamo rende testimonianza a Dio più di ogni parola che possiamo dire di Lui o su di Lui. Diceva Raoul Follereau nel suo testamento ai giovani: “Rinunciate alle parole sonore ma vuote. Non guarirete il mondo con dei punti esclamativi”. Il mondo si cambia veramente con il fascino di una vita vissuta naturalmente e senza ostentazioni secondo lo spirito misericordioso delle beatitudini.

Conclusione

Nietzsche, il famoso filosofo tedesco, pur dichiarandosi ateo redarguiva i cristiani: “Se la buona novella della vostra Bibbia fosse anche scritta sul vostro volto, voi non avreste bisogno di insistere perché si ceda all’autorità della Bibbia: le vostre opere dovrebbero rendere quasi superflua la Bibbia, perché voi stessi dovreste costituire la Bibbia viva”. Un rimprovero duro ma sul quale si gioca il nostro stesso impegno di

cristiani. Un impegno che si esprime, a partire da noi stessi, nel credere che l’Amore è per noi la sola certezza che non teme confronti, la sola che basta per dare ragione del nostro esser-ci al modo del “sale” e della “luce”.

Serena domenica

X Vincenzo Bertolone

 

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