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Vangelo di Domenica 22 Settembre PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
domenica, 22 settembre 2013 16:59
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 16,1-13.  - Diceva anche ai discepoli: «C'era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. L'amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d'olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta. Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera?  E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?  Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona».

XXV Domenica del tempo Ordinario

22 settembre 2013

Uno stile differente

Introduzione

Per quanto difficile è la comprensione delle Letture di questa XXV domenica del Tempo Ordinario, il loro contenuto è di sconcertante attualità. È un forte e deciso richiamo al nostro stile di vita cristiano in un mondo che si allontana sempre di più da Dio. Ci ritroviamo come credenti a pensare, sentire e agire in una società che usa l’intelligenza, esprime i sentimenti e opera come se Dio non esistesse. In una simile situazione noi credenti non siamo molto pronti. Spesso ci chiudiamo nelle “sacrestie” stretti nella nostra inutile rassegnazione. Siamo affetti dal tarlo dell’indifferenza: facciamo in modo di non vedere situazioni che offendono la dignità della persona e violano i diritti essenziali dell’uomo. Inoltre ci troviamo più a nostro agio a giudicare che comprendere e agire, preferiamo conformarci, ma non cambiare. Non osiamo o non sappiamo, in definitiva, incidere diversamente in una realtà che pure ci appartiene. Anzi, ci appartiene doppiamente perché il mondo nel quale siamo collocati “è il luogo della grazia di Dio, e il mondo che Dio ama, ed è in esso che siamo chiamati a vivere da discepoli di Gesù, manifestando la differenza cristiana, non come differenza culturale, ma come differenza di vita” (E. Bianchi).

 

Parola di profeta

Le letture dell’Antico Testamento ogni domenica ci mettono a dura prova; quando poi si tratta della parola profetica la cosa si complica ulteriormente. Ci limitiamo ad ascoltare e non a capire, sicuri che il messaggio ricevuto sia anacronistico: risposta valida per quei tempi, ma per nulla conciliabile con le esigenze d’oggi. In realtà non è per niente così, giacché il contenuto della parola profetica, ma lo stesso vale per tutta la Parola, è senza tempo. Essa si rivolge all’umanità i cui vizi, drammi e cadute sono sempre gli stessi, cambiando nei millenni solamente nei modi verbali usati per indicarli. Perciò quando si sente la voce dei profeti, voce di Dio, comunicarci parole di denuncia, condanna, rimprovero, esortazione, salvezza non si può dire: non ci investe, non ci tocca. Al contrario è parola da approfondire e “digerire”. Le parole del profeta Amos, infatti, sono di straordinaria attualità. Amos parla di mercanti di grano che durante i giorni di festa organizzano i loro giorni di mercato. Usano bilance false, aumentano il peso delle derrate, comprano le misere proprietà dei poveri. Mettete al posto di questi anonimi speculatori i nomi delle multinazionali che guadagnano a spese dell’ambiente; dei grandi sistemi finanziari che speculano selvaggiamente piegando economie d’interi paesi. Mettete ancora al posto di questi anonimi speculatori i nomi degli scandali di corruzione che sporcano la nobile arte della politica, e i nomi dei grandi evasori fiscali che con strategie fraudolente frodano lo Stato. Operate questo passaggio e sentirete l’attualità di questa pagina. Ma com’è attuale la denuncia, lo è anche il giudizio finale di Dio: “Certo non dimenticherò mai tutte le loro opere” (Am 8,7). È un giudizio finale dal contenuto forte che dovrebbe far scuotere anche noi e non solo chi si nutre di “propositi malvagi”. Deve scuotere le nostre coscienze, quando contaminiamo le mani con la logica del capitalismo e del più forte e furbo, credendo erroneamente che non c’è comunicabilità tra il credere in Dio e il vivere nel mondo. È la moda del pensiero dominante: il vivere da credente non ha alcun rapporto con ciò che si svolge di là dalla porta della Chiesa. Dio non ha diritto di cittadinanza sulle strade, nelle piazze, negli uffici, nelle aule scolastiche e dei tribunali, nei palazzi del potere economico e politico. La Parola ascoltata non ha alcun impatto sulla condotta, né incide sulle abitudini. Insomma la vita sociale e civile, l’etica stessa non riguardano Dio. A Lui si concede solo lo spazio sbrigativo e distratto della messa domenicale. In verità, Dio non “dimenticherà le nostre opere”. È senz’altro importante la preghiera e, fondamentale, la partecipazione alla Santa Messa, ma non basta. È importante denunciare le ingiustizie e i soprusi, condannare gli atti contro la dignità umana, esortare e perseguire il bene comune, annunciare la salvezza e, soprattutto, vivere da uomini di Dio.

 

Alla luce del sole

Eppure, la denuncia e la condanna del profeta Amos, sembrerebbero non trovare conferma nella pagina del Vangelo di Luca di questa domenica. Infatti, abbiamo ascoltato una parabola che stupisce per il fatto di sentire Gesù lodare l’“amministratore infedele”, fare l’apologia di un uomo scaltro e truffatore. In realtà, accostandoci alla pagina lucana con più profondità, ci rendiamo conto che lontano dal lodare l’amministratore infedele Gesù intende biasimare il modo blando in cui siamo cristiani nel mondo. Il monito finale della parabola, infatti, non è rivolto contro l’amministratore della parabola, contro il furbo di turno, ma contro le omissioni, le lungaggini e le lentezze dei cristiani, dei cosiddetti “figli della luce”. Siamo noi i destinatari del richiamo del Maestro, il Quale deplora il nostro disimpegno, la nostra pusillanimità, il nostro mancato eroismo nel porre tempo e vita al servizio della causa del Vangelo. Gesù intende mostrarci che se solo mettiamo la stessa energia, la stessa intelligenza, lo stesso tempo e lo stesso entusiasmo ed acume impiegato nell’investire i nostri risparmi anche per le cose di Dio, dalle Chiese partirebbero autostrade d’onestà, di giustizia, di verità, di speranza, di salvezza e di solidarietà. Invece, spesso siamo credenti stanchi, dal pensiero debole, privi dell’audacia di conversione, di dialogo e di riflessione e di impegno. Ecco come suonano le parole del Maestro in questa domenica, suonano “come un richiamo alla continua mobilitazione della coscienza, un invito a vivere la nostra vita in tensione, in quella continua conversione che è il contrario dell’inerzia spirituale, dell’adeguarsi assuefatto al tran tran dell’esistenza” (M. Pomilio). Convertiamo la lode all’amministratore infedele in esortazione ai “figli della luce” affinché finalmente cessino di dimostrarsi distratti, incapaci di reagire e rassegnati quando c’è di mezzo la salvezza, l’impostazione della vita, l’adesione convincente al Vangelo, le decisioni da adottare per imprimere una svolta ad un’esistenza insulsa. È chiaro il messaggio finale delle letture d’oggi: non si può avere uno stile cristiano rinunciatario, amorfo allorché è in gioco l’“affare” più importante, la salvezza dell’uomo, per raggiungere la quale non c’è bisogno della logica di mercato o della disponibilità di denaro, neppure di macchinose e scaltre strategie, c’è bisogno solo di uomini di fede con cuore puro e mani pulite.

 

Conclusioni

Finisco con la voce di don Tonino Bello, vescovo e profeta del nostro tempo, coraggioso nell’intelligenza, libero nel pensiero, appassionato nel servizio e amante di Dio. Nel suo agire e parlare seppe fare la differenza: “Se il Signore aprisse un percorso a carico nostro e ci mettesse tutti sotto inchiesta, quanti si salverebbero? Eppure, il giudizio di Dio incombe sempre su di noi. Ma noi, forse, non ce ne preoccupiamo più che tanto […] Da che cosa dipende? Dal fatto che la conversione non è ancora entrata nel nostro stile. La novità di vita a cui ci provoca la Parola di Dio è rimasta niente più che una frase a effetto… Torniamo a casa: il Padre ci aspetta. Lasciamo la doppia vita, le disonestà private, gli intrallazzi occulti. Abbandoniamo gli intrighi, le manipolazioni della verità, le ipocrisie di un perbenismo da facciata. Torniamo a essere uomini limpidi. Innamoriamoci delle trasparenze. Rinnoviamoci interiormente con decisioni radicali, profonde, che diano cadenze nuove alla nostra povera vita…”.

Serena domenica.

+ Vincenzo Bertolone

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