Da Lampedusa il messaggio del Papa |
Scritto da F.Garofalo | |
sabato, 07 settembre 2013 18:52 | |
Il tempo delle vacanze è, tra le altre cose, anche un grande aggregatore di luoghi comuni. Ne esistono di ogni specie, e quasi tutti vanno a battere sul tasto della spensieratezza e di una sorta di sciogliete le righe di fronte agli impegni più gravosi: come se l’estate fosse per decreto la stagione leggera(o peggio delle leggerezze). La “cartolina illustrata” che la identifica come tempo di evasione è però ingiallita da tempo. La vita non ammette parentesi; e gioie e sofferenze, per esprimersi, non guardano il calendario. La crisi ha spazzato d’un tratto una robusta quantità di luoghi comuni, facendo emergere una realtà certo più difficile, ma anche più vera. Per molte estati abbiamo corso il rischio di considerare quasi un “male di stagione” – e perciò tutto sommato, meno grave degli altri – lo sbarco di clandestini e di rifugiati sulle nostre spiagge del sud e della Calabria.Sbarco di vite, ma con interminabili scie di morti, lungo tratte infestate dalle nuove schiavitù dei tempi moderni.
Papa Francesco a Lampedusa è stata non l’immagine ma la straordinaria realtà di una condivisione senza tempo e senza stagioni che ha un nome e un marchio d’origine.Si chiama, tutto questo, amore e il Santo Padre venuto dall’altra parte del mondo sta facendo in modo da renderlo sempre riconoscibile, offrendolo come il vero elemento controcorrente in un mondo infestato da egoismi e miserie di ogni risma. A Lampedusa il Papa ha portato la Chiesa a navigare a largo, come nella “Novo Millennio inuente”, al termine del Giubileo dell’Anno Duemila, esortava il beato Giovanni Paolo II. Allo stesso modo faccia la società civile ad essere pronta a riscoprire e a percorrere i mari della solidarietà e dell’incontro con l’umanità nel segno della tradizione più nobile della civiltà innata del popolo italiano. Non vi è dubbio che la crisi ci ha posti tutti a rispondere alle nuove sfide drammatiche di questo tempo, cui evidentemente, non eravamo abituati. Sfide che hanno letteralmente cambiato anche il nostro agire, e che ci inducono a ripensare modelli di sviluppo che cozzano con la realtà odierna. Anche la crisi in Siria acuisce ulteriormente il già fragile equilibrio in tutto il mondo, in particolare, nel medio oriente. Questo è il tempo in cui a ciascuno è richiesto di dare risposte adeguate sia a livello nazionale che locale. La crisi è un unicum di fronte al quale tutti siamo chiamati a dare il meglio delle proprie possibilità. Oggi viviamo in un mondo in cui ci sono nuove condizioni rispetto al passato, oggi dobbiamo esercitarci a vivere in modo nuovo: ci attende un grande allenamento alla complessità, dobbiamo aumentare la nostra capacità di camminare con gli altri. Perché solo se siamo capaci di camminare con gli altri, allora il futuro delle nostre città sarà più umano, segnato dall’amore. Il Cardinale Carlo Maria Martini in un saggio dal titolo: “Le sfide del terzo millennio. Giovani alle prese con il mondo che cambia”, scrisse che per avere una vita piena e felice, in grado di cambiare il volto del mondo, c’è bisogno di accendere un fuoco: quello dell’amore e della speranza, in grado di incendiare le città e di restituire gusto e luce a chi cammina per le sue vie. Francesco Garofalo
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