L'albero di Mario Bardelli LA VECCHIA FIGURA DEL MEDICO E LE DOTI DI UMANITA’ PERDUTE - Il famoso e discusso sessantotto ha rappresentato per la scuola italiana un discrimine, una linea di confine , nel senso di un prima e di un dopo? Pare proprio di sì, con tutte le cautele e i distingui quando si affrontano realtà complesse e di lunga durata, per cui non esistono rotture nette e definitive, ma sempre discontinuità con alcuni legami di continuità. Semplificando e generalizzando al massimo, si può dire che la scuola prima del sessantotto, ancora di impostazione gentiliana con qualche aggiustamento, si caratterizzava per l’autoritarismo, il classismo, il verbalismo, il mnemonismo, il nozionismo, l’essere del tutto priva di contatti con la realtà, anche se forniva un dignitoso bagaglio di conoscenze, creava un senso della disciplina attraverso la fatica e la noia, contribuiva a formare, per alcuni aspetti, un carattere e un certo gusto del bello o, almeno, una sensibilità. Il sessantotto mette in discussione tutto, teorizzando una scuola democratica, partecipativa, legata alla società e, soprattutto, al mondo del lavoro e attaccava duramente le baronie e i padroni presenti nel mondo della cultura in genere e la neutralità della scienza. Quale fu la risposta del potere ad un movimento così ricco e contraddittorio?
Una risposta disastrosa e furbesca, nel senso che mantenne in vita il peggio della vecchia scuola e introdusse faciloneria, approssimazione, improvvisazione e gratificazioni senza meriti, per svilire il nuovo. In una parola rispose con la dequalificazione, deresponsabilizzando tutto e tutti. Si consumava il tempo tra assemblearismo permanente e occupazioni fasulle. Nasce, in parte, da qui la progressiva povertà culturale del nostro paese che, forse, da un po’ di anni viene potenziata dall’acritico e rapido passaggio dalla generazione Gutenberg a quella digitale. L’analisi potrebbe, o dovrebbe, essere ampliata e approfondita, ma interessa porre, per il momento, un solo interrogativo: l’impoverimento culturale ha comportato un impoverimento umano?Sembra di sì. Osservando il progressivo scadimento culturale nelle varie professioni, pur non mancando numerose eccellenze, si resta colpiti dalla mancanza dell’etica della responsabilità, del rispetto della dignità umana, della tutela del bene comune. Tutte mancanze che segnalano un corrispondente impoverimento umano. Per restringere il campo all’ambito medico, ad un accettabile sapere disciplinare e tecnico non corrisponde una cultura adeguata, in particolare in senso antropologico e psicologico, e, quindi, gli incontri con i pazienti avvengono in un deserto di emozioni e di sentimenti. Niente di umano. Una testimonianza legata ad una professione nobile, impegnativa e vitale, come quella medica, ci viene fornita da uno studioso di storia della medicina, Giorgio Cosmacini, che nel suo ultimo prezioso libro, La scomparsa del dottore. Storia e cronaca di un’estinzione, ci aiuta a dare una risposta all’interrogativo posto sopra. Secondo Cosmacini , nella vecchia figura del medico, oltre ad una solida preparazione, brillavano doti di umanità, capacità di ascolto, il farsi carico del contesto familiare e ambientale, la disponibilità, il garbo, il rispetto della dignità dell’altro. Si curava il malato, non la malattia. Un esempio recente di sintesi felice tra ricchezza culturale e ricchezza umana si può rintracciare nella gentile e sognante personalità di Giacinto Luzzi, medico antico e moderno, da poco scomparso. Tra l’altro, uno dei pionieri della medicina narrativa. Oggi, per lo più, queste doti vanno scomparendo per la precaria preparazione culturale solo in parte camuffata dalla diffusa e sofisticata diagnostica medica e dal ruolo della natura. Si cerca di curare sbrigativamente la malattia ricorrendo ai consueti e consolidati schemi. Una ricetta e via; e avanti un altro. Niente ascolto, niente clinica, niente centralità della persona, con la sua storia, con il suo vissuto, con i suoi diritti. La stupida e colpevole impostazione aziendalistica nella sanità (oltre che nella scuola) ha consolidato comportamenti sbrigativi e supponenti, come se non fossero i cittadini a mantenere in vita il sistema sanitario. Prima il mercato, poi la salute dei cittadini. Se all’approssimativa formazione medica e culturale e alla povertà umana aggiungiamo le convincenti, partigiane e sostanziose informazioni scientifiche da parte delle industrie farmaceutiche nonché la presenza clientelare e corruttrice della politica nella costosa e delinquenziale gestione sanitaria, allora si spiegano anche i tanti, evitabili errori nella pratica medica da parte di camici bianchi non solo inutili, ma dannosi e, pur tuttavia, scostanti nella loro mediocrità. D’altra parte il problema della responsabilità soggettiva e, quindi delle responsabilità, anche penali, dovrebbe valere non solo nei confronti dei magistrati, ma anche nei confronti dei medici, per tutelare sia gli innocenti ingiustamente accusati e condannati sia i pazienti vittime dell’ignoranza, della trascuratezza e delle carenze del sistema sanitario. Da qui la necessità di ripensare radicalmente l’istruzione, la formazione e la ricerca per elaborare e produrre cultura. E di investire. Una società senza cultura non solo uccide il futuro, ma si incanaglisce e si immiserisce sempre di più. Servono medici più colti per recuperare, ovviamente in un contesto diverso, i valori antichi , essenziali per integrare le cure segnatamente con le parole, soprattutto, verso quelle persone malate. Una medicina senz’anima ha bisogno di cure urgenti.
Luigi NIGER
|