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Vangelo di Domenica 21 Aprile PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
venerdì, 19 aprile 2013 20:45
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 10,27-30.
Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano.
Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio.
Io e il Padre siamo una cosa sola».

IV Domenica di Pasqua

21 aprile 2013

 

Una voce amata

 

Introduzione

Il tempo che stiamo vivendo è tempo di gioia. È tempo in cui imparare a vivere

in compagnia del Risorto, la cui Presenza, viva in mezzo a noi, continua a nutrire di

speranza e ricolmare di gioia i nostri cuori. E se nelle domeniche scorse, la gioia e la

speranza sono scaturite dalla memoria di tanti incontri, in questa domenica, la IV del

tempo di Pasqua, la ragione per gioire, il motivo valido per continuare nel lungo

cammino della conversione alla vera gioia è suggerito dallo stesso Gesù.

Poche frasi, proferite con trasporto e passione, sintetizzano la ragione e il

motivo per essere già da ora felici, già da ora avere la certezza della vita eterna, già

da ora nutrire la speranza che quanto viviamo, purché in sintonia con il sogno di Dio,

ha un senso, un “perché”, una meta. Già da ora, infine, godere di un Padre e un Figlio

che ci amano, ci tengono sulle palme delle loro mani e teneramente proteggono e

difendono da ogni volontà di separazione.

Poche frasi, dunque, formate da parole ed espressioni delicate, allusive,

evocative. Parole dal suono vibrante, penetrante che hanno la capacità di tradursi da

semplici verità oranti in realtà concrete, in progetti di vita, in indicazioni di percorso,

in appello e responsabilità ad essere.

Poche frasi, pochi indizi attraverso i quali da un lato emerge la figura del Buon

Pastore, che conosce e chiama per nome le sue pecore, e per le quali dà anche la vita;

dall’altro lato il gregge, noi che, tra cadute e fallimenti, riconosciamo la voce del

Buon Pastore e, ascoltatala, ne seguiamo la direzione.


Voce e Parola

Le prime frasi che risuonano con tutto lo spessore delle loro parole sono: “Le

mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Alcune parole

in particolare sembrano scritte in rilievo: mie, ascoltano, voce e seguono.

A partire dal termine voce c’è da chiedersi come mai Gesù usi il termine voce,

anziché parola. Eppure più di frequente nel Nuovo Testamento ci imbattiamo nella

parola di Cristo, più che nella sua voce.

In realtà, la voce è un qualcosa che investe il cuore, che tocca le emozioni più intime,

perché significa ravvisare una voce amica, conosciuta, accogliente, affettuosa. E poi

la voce è distinta: propria di quell’ individuo. Per questo l’innamorato del Cantico dei

Cantici brama di sentire la voce della sua diletta, e viceversa l’innamorata al solo

suono di una voce riconosce l’amato. Per questo la Maddalena riconosce il suo

Maestro risorto dal suono di quella voce che ha pronunciato il suo nome. La voce è

dunque identificativa della persona: ne rivela le emozioni e i caratteri, ne manifesta la

profondità e la sincerità dei sentimenti. E certamente la voce di Gesù è rassicurante:

allarga il cuore e restituisce fiducia alla vita.

Una voce simile si fa poi ascoltare. L’ascolto è il primo lavoro, il primo

servizio da rendere a Dio e al prossimo, il primo modo per dare all’Altro (o all’altro)

l’evidenza che esiste, che è importante per noi. Amare è proprio ascoltare, è dare

quotidianamente un po’ di cuore e un po’ di tempo all’ascolto di quella voce, di

quella parola.

Dunque, nel rapporto con Gesù, riconoscere la Voce e, insieme, ascoltare la Parola

sono aspetti egualmente importanti e necessari da curare, giacché se il

riconoscimento della voce ci fa smuovere il cuore, l’ascolto della parola ci rende

uomini di sequela, ovvero uomini che fanno della verità di Cristo uno stile di vita.

Tuttavia Gesù, grande comunicatore, sa che ogni comunicazione ha prima di

tutto una risonanza emotiva: prima ci arriva il tono della voce, espressione del cuore;

poi il contenuto della parola, espressione della mente. In altri termini: Gesù conosce

le sue “pecore” e sa che non si accetta la verità se dietro manca l’amore, l’affetto, il

rispetto. E, poi, solo una verità trasmessa con amore aiuta a crescere, solo una verità

piena d’amore aiuta a vivere e sperare.

Perciò quanto più si riconosce la voce di Cristo tanto più lo si ama e si segue, quanto

più lo si ama tanto più fra tante voci si riconosce la Sua; più lo si conosce, più si

avverte il bisogno di appartenergli, di essere suoi. Non è forse questo il senso ultimo

dell’eternità? Il suo Tutto e il nostro nulla che si incontrano senza mai esaurirsi?

 

Un rapporto impari

Se ancora restano dubbi sulla realtà di questo incontro, sulla sua forza

trasfigurante e inesauribile, ancora una volta le parole di Gesù ci vengono incontro

per infondere coraggio e suscitare speranza: “ Io do loro la vita eterna …e nessuno le

rapirà dalla mia mano”.

 Io do loro la vita eterna”: Gesù ci dà la sua vita, e donandocela rende presente

dentro di noi Dio stesso. Egli vive in noi come seme, che inizia a smuovere il cuore

non appena la voce di Gesù ci raggiunge e si fa vicino, più intimo a noi stessi.

Io do”: significa qui e ora, ovvero l’eternità è già da oggi, perché essa è modo di

essere, è modo di pensare alla vita, è stile di vivere nella certezza che l’amore del

Padre è amore fedele.

“…Nessuno le rapirà dalla mia mano”. Tutta la forza e la consolazione di

queste parole è racchiusa in due parole “nessuno” e “mani”. Nessuno, né angeli né

uomini né vita né morte né presente né futuro, nulla potrà mai separarci da quelle

mani (Rm 8,38). Nessuno, che si raddoppia in quel rapirà mai, ovvero essere nelle

mani del Padre e del Figlio significa veramente non temere più nulla e nessuno, e,

soprattutto, non avere paura di sperimentare il dramma della solitudine e

dell’abbandono, non temere lo “spaesamento” della vita: il non sapere il “perché” e il

“dove” dell’esistere. Nelle mani di Dio, invece, tutto si chiarisce: vivere è rispondere

di sì all’immenso progetto di amore di Dio.

Infatti, le mani nelle quali ci affidiamo totalmente sono le stesse mani che

hanno creato il cielo e la terra, hanno dato ordine alla luce di accendersi e alla vita di

sbocciare, hanno protetto e reso vittoriosi, hanno generato una vita nuova ed effuso

amore. Sono le stesse mani inchiodate alla croce per un abbraccio senza fine.

Da queste mani nessuno ci potrà separare: non sono forse queste parole che

infondono coraggio, danno speranza e rallegrano il cuore?

 

Conclusioni

Brevi riflessioni ma una lunga conclusione, presa in prestito da una favola per

bambini – del resto l’essenziale è invisibile agli occhi -, nota ai più, e che reca il titolo

di “Il Piccolo Principe”.

A molti o a pochi potrebbe sembrare banale: una favola per bambini?

In realtà il peso delle parole del dialogo scelto, a conclusione della riflessione di oggi,

non sono affatto banali e né raggiungeranno solo la sensibilità dei bambini, anzi

tutt’altro spero che smuovano l’animo degli adulti.

Si tratta di un delicato dialogo sull’amicizia che può aiutarci a capire il senso di

quanto abbiamo ascoltato oggi: “Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come

illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. gli altri

passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana come una

musica. E poi, guarda! Vedi laggiù, in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il

pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è

triste! Ma tu hai cappelli color d’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai

addomesticata. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del

vento nel grano…”. La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe: Per

favore…addomesticami”, disse. “Volentieri”, rispose il piccolo principe, “ma non ho

molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose”. “Non si

conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe…”

Lasciamoci dunque volentieri addomesticare da Gesù, ovvero lasciamoci

portare sul palmo della sua mano per diventare suoi amici e trasformare il nostro

modo di pensare e vivere, perché ne abbiano bene anche quanti ci vivono accanto.

 

Serena domenica.

+ Vincenzo Bertolone

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