Vangelo di Domenica 10 Febbraio |
Scritto da +V.Bertolone | |
sabato, 09 febbraio 2013 12:39 | |
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 5,1-11. - Un giorno, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genèsaret e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e calate le reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano.Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore». Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini». Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. V Domenica del Tempo Ordinario 10 febbraio 2013 “Dio ha scelto me, ha chiamato me” Introduzione Ogni fatto del Vangelo ci invita a riflettere sulla persona di Gesù, ad approfondirne la conoscenza attraverso l’incontro con le sue parole e i suoi gesti. Ma, inevitabilmente, ogni incontro con Gesù si trasforma in confronto con noi e la nostra fede, intesa come rapporto interiore e profondo con il Mistero che abita in noi. E ciò è ancora più vero in questa quinta domenica del Tempo Ordinario, durante la quale la liturgia, mediante le letture proposte, ci invita a pensare la vita in modo diverso: come una vocazione, ovvero l’esperienza dell’ascolto di una voce che chiama: quella di Dio. Di fronte a Dio, di fronte all’evidenza della Sua chiamata, però, le barriere delle sicurezze crollano, le maschere cadono e l’uomo si mostra in tutta la sua nudità, il suo vuoto, la sua condizione miserevole. Così, dinnanzi allo svelarsi della divinità in tutta la sua potenza, l’uomo si sente piccolo, profondamente inadeguato e immeritevole dell’eternità del Padre. Allora la reazione immediata consiste nell’allontanamento e nel mantenersi a “distanza di sicurezza” da Dio. Ma l’Inatteso reclama l’uomo, lo incalza e lo raggiunge. E così accade che il Dio dell’amore, resosi visibile nel Figlio, Cristo Gesù, non solo non si allontani, ma si avvicini, anzi salga sulla barca della nostra vita e, proprio quando “incassiamo” i peggiori insuccessi, ci inviti a ripartire, a levare l’ancora, e ci apra nuovi orizzonti. In quel preciso momento tutto cambia, perché è accaduta l’evidenza di Dio e nulla potrà essere più come prima. Questo è quanto accade a Isaia, nella I Lettura, a Paolo nella II e infine a Pietro nel Vangelo di Luca. Tutti e tre hanno fatto esperienza di Dio: prima si sono riconosciuti indegni della sua Presenza, poi hanno assunto l’alta missione di darne testimonianza. Ma per arrivare a riconoscersi peccatori davanti a Dio, ovvero assumere piena consapevolezza di sé e quindi accettare la missione della vita, che è vocazione del Padre, sono necessari due passaggi essenziali: l’amara constatazione che ogni sforzo umano senza Dio è fatica vana; e, quindi, la piena e immediata fiducia in Colui che per prima si è fidato, e si fida, nonostante i nostri fallimenti. In questi termini, dunque, si svolge la trama di ogni vocazione, che è chiamata di Dio alla realizzazione di una vita piena e veramente riuscita.L’esperienza dell’Incontro Ogni vocazione nasce da un’esperienza di Dio. Quando Dio chiama, infatti, si fa conoscere, si fa incontrare e lo fa in modo che a Lui è proprio: luminosamente nascosto, e al tempo stesso chiaro e inconfondibile, affinché l’uomo ne oda la voce e sia indotto a lasciare tutto per seguirLa. L’esperienza di Dio, inoltre, avviene in modi diversi e misteriosi, e tutti portano all’incontro con Lui che genera sempre cambiamento. Per questo l’esperienza di Dio diventa il centro della vita, ciò che darà ad ogni cosa un senso vero e pieno all’esistenza stessa e una nuova direzione. Per Isaia l’incontro con Dio è avvenuto nel silenzio della preghiera al Tempio. Non si tratta del silenzio angosciante e vuoto della solitudine, ma di quello gravido e profondo della preghiera, dove la voce di Dio arriva diretta alle corde del cuore e l’esperienza di Lui si fa più “bruciante”. Ma forse questa strada per noi è troppo ardua da percorrere, abituati come siamo alle nostre giornate piene di rumore.Paolo, invece, è chiamato da Dio attraverso la comunità; addirittura la stessa comunità che un tempo perseguitava, eppure proprio lì Dio lo ha incontrato e chiamato. Non è forse anche per noi così? Come Saul, infatti, siamo pronti a dire ogni male della Chiesa, giudicandola erroneamente come una specie di struttura elefantiaca e chiusa, anacronistica ed elitaria. Eppure Paolo, sulla via di Damasco, deve ricredersi perché ha dovuto – suo malgrado ed inaspettatamente – subire l’impeto folgorante di quella Verità che lo indirizzerà alla comunità dei cristiani di Damasco, unica via di salvezza, e della quale dovrà “ciecamente” (è proprio il caso di dirlo) fidarsi. Da ultimo Pietro, il pescatore, che trova Dio nella regolarità del quotidiano ed alla fine di una giornata poco propizia. Dio, infatti, lo raggiunge proprio quando meno se l’aspetta e lo convince con un segno di una prassi che Pietro conosce bene: una pesca, (stavolta, però, miracolosa). E su quest’ultimo scorcio fisserei l’attenzione, giacché è bella l’immagine di un dio che si introduce con delicatezza nel momento di un fallimento e ti dice: snoda la gòmena dalla bitta, lascia la riva e prendi il largo nonostante la pesantezza e la vana fatica precedente. Un dio che invita, anzi, “prega”, affinché le vele siano di nuovo spiegate: non esorta o invita, “prega”!. E quale parola può dare più energia e speranza di una preghiera che fa di nuovo respirare?.Ecco, è meraviglioso pensare che sulla barca della nostra vita, soprattutto quando sperimentiamo il dolore di un distacco, salga Gesù e ci preghi di resistere, di spiegare di nuovo le vele, di fare “squadra” con Lui su un nuovo campo di regata sul quale spirano venti propizi.. Ed è proprio dalla fiducia in questa nuova unione che nasce il miracolo della pesca miracolosa. Il Dio di nuovo vicino si vela nondimeno di tristezza per colpa nostra, perché siamo consci di non meritare tanta grazia. Noi, alla fine, siamo pur sempre dei peccatori, figli ribelli: come possiamo comunicare ad altri la gioia dell’esperienza fatta se noi per primi spesso ci allontaniamo da Dio? Poco importa: Chi ci viene incontro non ci giudica: ci ama. Pur restando nella nostra condizione di fragilità, Dio non smette di amarci, non ci nega la sua Presenza, e noi non possiamo non ripagare tanta gratuita generosità.Ecco, Gesù è sulla nostra barca, nel mare della nostra vita, ci è venuto incontro per rialzarci, darci fiducia, confortarci. Il vero miracolo non è più una barca carica di pesci, ovvero una vita ricca, ma è Gesù che non si lascia deludere dai nostri tanti tradimenti e ci affida la sua buona novella. Chi fa questa esperienza di Dio, chi accoglie Cristo e vive secondo il Suo Spirito, dando così testimonianza dell’appartenenza a Lui, ha scoperto il senso stesso dell’esistenza e, rispondendo alla voce di Dio, realizza nel mondo la propria vocazione. “Dio esiste, io l’ho incontrato” Realizzare la propria vocazione significa testimoniare con la vita che Dio esiste perché l’abbiamo incontrato. La caratteristica di ogni esperienza di Dio è che ciascuno, oggi più che mai, pronunci e viva da uomo dell’Incontro. Infatti, in questa società, dove la Presenza di Dio è stata adombrata e soffocata da un cumulo di cose e parole inutili e di falsi valori c’è bisogno di testimoni dell’Incontro, quali furono Isaia, Pietro, Paolo e tanti altri laici e consacrati, che hanno fatto una esperienza così forte di Dio, da essere stati completamente trasformati. Testimoni che hanno saputo illustrare la propria esperienza di Dio con le parole e la vita ed hanno immesso Dio nella ferialità, diventando missionari della sola esperienza che dà senso alla vita. Del resto, una simile pagina di vita non può essere taciuta, giacché ci ha fatto penetrare “nell’esperienza di quella Persona che spiega e risolve tutta la nostra vita”; e l’uomo di oggi ha urgente bisogno di risposte e verità. Così quell’ “Eccomi, manda me” (Is 3,8), pronunciato dal Profeta, deve essere simbolo della risposta con cui ogni cristiano, chiamato a svolgere la propria missione, corrisponde generosamente alla grazia di Dio. Di tale prontezza attiva verso la chiamata di Dio, la Vergine Maria è sicuramente il simbolo più realizzato, il modello più compiuto. Il suo fiat, infatti, è stato totale, perciò Ella ha potuto accogliere, nel suo grembo, e generare il Verbo della vita, Gesù Cristo divenendo al tempo stesso vita donata come Madre dell’umanità. Conclusioni A conclusione della breve riflessione di questa domenica prendo in prestito le parole di uno dei più grandi educatori del Novecento, genio dell’umano e della fede, che dell’esperienza di Dio ha fatto il centro della propria vita e del rapporto con gli uomini, Luigi Giussani: “Dio mi ha chiamato dal nulla. Fra miliardi di esseri possibili, Egli ha scelto, e ha chiamato me. La mia vita è costituita da quella chiamata…la mia vita è risposta obbligatoria a quella voce che chiama…la vita è vocazione. E il senso delle cose e delle circostanze è quello di esse come parole in cui si articola il suono di quella voce ineffabile”. Penso che questa riflessione sintetizzi al meglio il contenuto delle letture di oggi: essa ci dà la misura di una esistenza che può dirsi veramente viva. Serena domenica. + Vincenzo Bertolone |
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