Padri e figli in cammino.... |
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Scritto da +V.Bertolone | |
sabato, 09 febbraio 2013 12:18 | |
![]() «Il lavoro è per l'uomo, non l'uomo per il lavoro». Trent' anni fa, con queste parole, l'allora pontefice Giovanni Paolo Il presentava la sua enciclica "Laborem exercens", una delle pietre su cui poggiano le fondamenta della dottrina sociale della Chiesa. Lo scopo del lavoro, intendeva affermare il beato Wojtyla, è l'uomo: dunque, il criterio di giudizio della sua eticità è la compatibilità con la dignità umana. Quando invece l'essere umano diventa mero mezzo per realizzare profitto, questo rovesciamento produce ingiustizia. Probabilmente quel che, ai giorni nostri, accade sempre più spesso ai giovani: sono sempre di meno e sempre più precari. Hanno titoli di studio qualificati, ma passano da un'occupazione temporanea all'altra. E guadagnano meno rispetto a genitori e fratelli maggiori, scontando più alti tassi di disoccupazione. Lo ha confermato, di recente, anche l'Istat, secondo la quale l'occupazione giovanile, tra i 15 e i 34 anni, è per il 23% costituita da contratti a tempo determinato, il doppio rispetto al tasso sulla popolazione generale. Peggio la disoccupazione: mentre quella generale è all'8,6%, quella giovanile è superiore al 27%, ben al di sopra della media europea. A completare il quadro, l milione di giovani che non studiano né lavorano né sono inseriti in programmi di formazione. Per tutti loro non s'apre neppure l'ombrello degli ammortizzatori sociali: i più garantiti sul lavoro, i dipendenti a tempo indeterminato, lo sono anche nei periodi di tempesta. E i meno protetti, soprattutto contrattisti a termine e collaboratori a progetto, lo restano anche quando il lavoro sparisce. Dati allarmanti, dal momento che la precarietà impedisce sovente di poter fare affidamento sulle risorse sufficienti a fondare e mantenere degnamente una famiglia. Questo stillicidio di culle che si svuotano somiglia sempre più al cronicizzarsi di una malattia di fondo, che minaccia di diventare incurabile. Eppure, ai percorsi per uscire dalla crisi che attraversa il nostro intero modello di sviluppo, offre un orizzonte la Caritas in veritate, l'enciclica di Benedetto XVI che contiene non solo la diagnosi, ma anche la terapia dei mali che affliggono il tardo capitalismo. Ripartire dal lavoro e dal suo senso è un compito ineludibile. Il lavoro scomposto smarrisce significato, personale e sociale, nella precarizzazione dei percorsi, nella moltiplicazione delle condizioni giuridiche e contrattuali, nell'individualizzazione dell' esperienza. Ma se si scompone il lavoro, è 1'essere umano che rischia la sua integrità. È la società che vede disfarsi la sua rete partecipativa. Per evitare il declino dell'uomo prima che dei modelli economici lo imprigionino regalandogli l'illusione del benessere, non resta allora che riscrivere le regole del mercato dell'occupazione attraverso un patto generazionale che col sacrificio dei padri assicuri ai figli un futuro. Una nuova ricostruzione può avvenire solo con una condivisa responsabilità: la solidarietà è il perseguimento del bene comune, che deve essere attuato sempre più in forma dinamica e creativa nella convinzione che, come cantava John Lennon, «lavoro è vita, e senza quello esiste solo paura e insicurezza». + Vincenzo Bertolone |
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