il PD e l'incubo di Capo Suvero |
Scritto da G.Aloise | |
domenica, 30 settembre 2012 14:40 | |
L’arrivo di Bersani in Calabria avrebbe dovuto indicare, secondo alcuni, l’inizio di un corso nuovo e diverso nel PD calabrese. A me non è sembrato di cogliere segnali particolarmente innovativi, dopo i “soliti” interventi “sonnacchiosi” di alcuni rappresentanti del partito nel mezzogiorno, il segretario nazionale non ha fatto altro che ripetere ciò che da mesi va dicendo attraverso i mass-media di ogni tipo: “L’Italia ce la farà se ce la faranno gli italiani”, questa è la parola d’ordine, una frase che è l’incipit di un lungo decalogo riportato su un foglio, distribuito agli intervenuti e che rappresenta la “Carta d’Intenti” su cui si dovrebbe basare la politica dei demoktrats italiani. Ma la politica calabrese (non solo del PD) è fortemente ancorata ai soliti “baroni” che non vogliono assolutamente perdere le posizioni di potere e si aggrappano con le unghie e coi denti anche alla “poltroncina” nel partito che, comunque, assicura loro di sbarcare bene il lunario. Questi marpioni, spesso con scarse capacità politiche e ancor meno culturali, pur boccheggiando, riescono ancora a galleggiare in qualche modo nelle acque da cloaca della politica regionale scarsa di idee e di progettualità, ma ricca di intrallazzi e di malaffare. Certo ci sono anche gli onesti, ma in questa giungla maleodorante è difficile a volte individuarli. Personalmente rimango del parere, già espresso qualche tempo fa - e molto prima di me da Francesco Compagna – che “nessun partito dell’arco costituzionale è in grado oggi di rappresentare le istanze del Mezzogiorno”. Il PD calabrese tenta in qualche modo di liberarsi dei fardelli del passato ma l’ombra di “Capo Suvero” incombe e questa sensazione fastidiosa di incapacità e d’immobilità viene messa bene in risalto dalla bella nota che trovate nella seconda parte, di Giuseppe Aloise, pubblicata anche sul “Quotidiano della Calabria” di oggi. Buona lettura (A.M.C.)
Capo Suvero è ormai il “maligno”. L’equilibrio di governo o meglio l’accordo di potere costruito in quel luogo viene ormai esecrato se non addirittura maledetto: mai più si ripeta Capo Suvero nel nuovo corso del PD! Ma il maligno non può essere esecrato se non lo si materializza raffigurandolo o addirittura se non lo si personalizza anche perché nei partiti l’esecrazione non è solo la condanna di un comportamento ma è soprattutto il porre al di fuori dei confini sacri del contesto organizzativo le icone nelle quali si è trasfigurato il maligno. Nelle ultime esternazioni di condanna e di riprovazione s’è registrata un’evoluzione nella raffigurazione. Per lungo tempo si è immaginato che il maligno potesse essere ricondotto ad un solo corpo ed ad una sola testa, ora scopriamo che il corpo è unico ma ha tre teste : Adamo, Bova e Loiero. Evidentemente problemi di bottega interna al PD influiscono nella definizione o nella trasfigurazione iconografica del maligno da espellere . Per ora siamo a tre, ma potrebbe non bastare se le esigenze di bottega lo dovessero imporre. Non è neppure da escludere un restringimento delle teste da tre a due se qualche scomunica dovesse rientrare. Nella comunità degli aderenti al PD si fa strada l’idea che la disparità di giudizi e quindi di condanne sia una ricchezza ed un segno evidente di vitalità. Non v’è dubbio che da più tempo il Pd calabrese attraversi una grande difficoltà a riconoscersi come un corpo politico unitario e l’assenza di una forte leadership regionale sia pure collegiale ha alimentato – com’era prevedibile – fenomeni di disgregazione sempre crescenti anche per l’insorgenza di nuovi protagonismi e velleitarismi. Il dibattito interno – almeno per quel che ha avuto riscontro sulla stampa – non ha varcato mai i limiti dell’autoreferenzialità ed è stato giocato tutto all’interno del Partito con la conseguenza di trasmettere all’esterno un’immagine di rissosità e di inconcludenza. Si è così mortificata la rete di esperienze politiche diffuse sul territorio che rappresentano la risorsa più autentica e più radicata delle tradizioni del cattolicesimo democratico e della sinistra ex-comunista confluite nel nuovo soggetto politico. Questa condizione di sofferenza quando non è rigorosamente analizzata per essere responsabilmente superata, ha bisogno inevitabilmente di un elemento psicologico per essere illusoriamente superata. Dopo le convulse fasi immediatamente successive al deprimente risultato elettorale ed il fallimento della prima gestione commissariale, con il nuovo Commissario la invocata celebrazione del Congresso regionale è apparsa subito come la meta ove concretizzare un punto politico di coesione. Per mesi “Andiamo al Congresso” è apparsa come la prospettiva liberatoria e la rimozione di una condizione di disagio conseguente all’irrilevanza politica di un partito che aspirava ad essere al centro del dibattito politico calabrese. Il congresso, come Mosca per le sorelle di Cechov era diventato il momento simbolico della “rigenerazione” del Partito, un luogo simbolico o addirittura mitico ove ognuno coglieva la prospettiva di una affermazione o riaffermazione della propria capacità di essere il punto di riferimento dell’intero corpo del Partito. Ma i luoghi simbolici – come ci ha insegnato Cechov – sono spesso illusori perché rappresentano solo la fuga dalla cocente quotidianità se non sono costruiti sull’interpretazione della realtà nella quale si è chiamati ad operare. Peccato che il Congresso non si sia celebrato! Parafrasando il grande poeta russo Mandel’stam che scrisse una volta : “date alle sorelle un biglietto ferroviario per Mosca ed alla fine del primo atto la commedia sarà finita”, anche per il PD con il Congresso la commedia sarebbe subito finita perché le divaricazioni sarebbero riemerse magari amplificate ed il vuoto non sarebbe stato colmato!! Dissoltasi la parola magica del Congresso, luogo illusorio di pura fantasia è ritornato il presente grigio ed inappagante dal quale si tenta di uscire tentando di trasferire il senso di frustrazione su un capro espiatorio esterno. La condizione di sofferenza, conseguente non tanto alla inconciliabilità di posizioni strategiche contrapposte, frutto di analisi e soluzioni ai problemi della realtà calabrese, quanto soprattutto ad una sorta di protagonismo alimentata dalla tendenza a riaffermare posizioni egemoniche in vista delle scadenze elettorali, viene interpretata semplicisticamente come effetto di Capo Suvero. Anziché avere la consapevolezza della reale condizione del partito, si trova più comodo riallocare la propria responsabilità in un capro espiatorio, appunto nel maligno esterno, rappresentato da Capo Suvero. In Calabria , forse più che in altre parti del paese, il PD sconta le modalità attraverso le quali si è realizzata la costituzione del “partito dei progressisti”. Si è ritenuto che mettendosi assieme, valorizzando cioè l’elemento quantitativo, il problema dell’identità e dell’idea unificante sarebbe stato risolto senza grandi difficoltà. Ma così non è stato. In Calabria l’idea unificante non è stata realizzata né appare all’orizzonte. La disarticolazione delle posizioni egemoniche riconducibili all’ala ex DS è stato un ulteriore fattore di indebolimento e di rissosità che si è tentato di superare con i commissariamenti e con il tentativo di costruire un partito guidato dall’alto. In questo contesto le componenti che si ispirano al cattolicesimo democratico sono in evidente stato di disagio. E, dunque, è illusorio scaricare su altri l’assenza di una chiara identità regionalistica ed autonomistica di un Partito che aveva coltivato l’illusione di porsi alla guida di un reale processo di rinnovamento della nostra Regione. Giuseppe Aloise |
< Precedente | Prossimo > |
---|