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Robert Nisbet e il conservatorismo sociale PDF Stampa E-mail
Scritto da administrator   
giovedì, 30 agosto 2012 10:31
ImageSiamo particolarmente lieti di proporre ai nostri amici webnauti un recente articolo comparso sul quotidiano "libero" riguardante l'ultima fatica letteraria del prof. Spartaco Pupo, calabrese e docente presso la nostra università cosentina. Visto che della nostra regione, nei mass media nazionali, si parla solo di fatti esecrabili, è giusto dare onore al merito di chi ci fa sentire fieri di appartenere a questa terra.(N.d.Amm)       "Lo studio "Robert Nisbet e il conservatorismo sociale" (Mimesis, pp. 186, euro 16) di Spartaco Pupo è una vera perla. Cosentino, classe 1974, docente di Storia delle dottrine politiche nell’Università della Calabria, Pupo studia il pensiero nisbetiano da tempo e la sua onestà nel presentarne i tratti salienti è preziosa quanto rara.
Robert Alexander Nisbet (1913-1996), conservatore, cattolico, è senza dubbio uno dei giganti del pensiero contemporaneo, statunitense sì, ma di respiro sul serio universale. Sociologo, Nisbet ha saputo ridare dignità piena a una disciplina i cui carnefici primi sono troppo spesso proprio i suoi specialisti. Perché il sociologo vero è un “pastore” dell’“uomo sociale”: ne assiste le dinamiche storiche senza pretendere di determinarle né tantomeno di forzarle.
Di studi e saggi importanti Nisbet ne ha lasciati numerosi; non uno andrebbe lasciato ammuffire sugli scaffali di qualche biblioteca poco frequentata. Una piccola gemma è il suo Conservatism: dream and reality (1986); imperdibili sono Tradition and Revolt (1968), The Social Bond (1970), The Degradation of Academic Dogma (1971), Twilight of Authority (1975), Sociology as an Art Form (1976) e The Present Age: Progress and Anarchy in Modern America (1988). Con Pregiudices: A Philosophical Dictionary (1982) Nisbet ha ripreso e spiegato uno dei concetti base della filosofia di uno dei maestri suoi e di tutto il conservatorismo, non solo angloamericano, Edmund Burke (1729-1797): l’idea che il pregiudizio sta al fondamento della tradizione quanto il privilegio è il contrario esatto delle caricature elaborate da giacobini e comunisti. Ma è con The Quest for Community (1953), tradotto in italiano nel 1957 dalle milanesi Edizioni di Comunità con il titolo La Comunità e lo Stato, che Nisbet getta la pietra angolare del suo costrutto culturale. Con quel testo, infatti, egli afferma e dimostra che essere conservatore significa essere tradizionalista, e che il vero tradizionalista è l’autentico comunitarista. Nisbet era in anticipo; la polemica scoppierà molto dopo. Ma quando i soi-disant “comunitaristi” dell’“era Clinton” cercarono di puntellare il pensiero liberal in disfacimento tagliando-e-incollando il pantheon della Destra, troppi caddero nella trappola; chi invece si era tenuto saldo alla via nisbetiana, resistette. Questo è un passaggio peculiare in cui il libro di Pupo eccelle per onestà intellettuale nel fare chiarezza.
Nisbet spiega tutto in quel capolavoro che è The Sociological Tradition (1996), tradotto a Firenze dalla Nuova Italia nel 1977 e non ignoto nemmeno ai piuttosto avari circoli universitari italiani. Lì Nisbet ricupera il magistero culturale dei grandi pensatori contro-rivoluzionari francesi e suggella il senso di una carriera intera descrivendo la nascita e lo sviluppo della sociologia in Occidente come storia del pensiero “reazionario” contro la disgregazione progressista. L’operazione è peraltro delle più importanti: con Nisbet, infatti, il conservatorismo statunitense spinge le radici più in profondità, suggendo linfa vitale dal retaggio preilluminsitico europeo.
Pupo, che di Nisbet è l’interprete italiano, è raffinatissimo nel presentare tutte le cifre del pensiero dello studioso statunitense, illustrando egregiamente come per i nisbetiani (cioè i “veri conservatori”) il “sociale” sia l’attenzione agli istituti di diritto naturale e alle istituzioni positive che nel rispetto di quello si fondano. E come tutto ciò sia ancora un’arma politica formidabile, persino elettorale. “Il conservatorismo sociale prefigurato da Nisbet – chiude Pupo – continuerà ad assegnare grande valore agli ordinamenti politici e alle istituzioni sociali ereditate tradizionalmente ma accetterà anche modifiche e riforme secondo processi gradualistici e spontanei, contro qualsiasi radicale pretesa di distruzione delle istituzioni attuali per costruire ex novo l’organizzazione sociale. All’astratta ragione, che i razionalisti politici considerano capace di riorganizzare la società e le istituzioni politiche secondo piani prestabiliti, i conservatori sociali opporranno, oltre i limiti propri di ciascun individuo, il senso della continuità storica dello Stato come comunità di comunità”. È stato così che Nisbet, sorta di Burke redivivo, ha saputo dialogare efficacemente con tradizionalisti e libertarian, neocon e social, senza mai concedere uno iota ai liberal.
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dal quotidiano "Libero" del 4 Agosto u.s.
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