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Vangelo di domenica 17 Giugno PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
sabato, 16 giugno 2012 06:42
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 4,26-34. - Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra;
dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa.
Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga.
Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo?
Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra». Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa.

XI Domenica del tempo ordinario

Pazienti e fiduciosi

Introduzione

                La liturgia della Parola di questa XI domenica del tempo ordinario si regge sostanzialmente su un trittico di parabole che, attraverso la simbologia di alberi maestosi e teneri ramoscelli, di piccoli semi e crescite silenziose, aprono alla speranza e invitano all’ottimismo.

                Due disposizioni d’animo oggi piuttosto rare, giacché di fronte a quanto accade attorno a noi, (disastri naturali, crisi di valori, crisi sociali ed economiche), è facile essere presi dall’angoscia e dalla sfiducia in un futuro migliore.

                Che cosa manca, allora, per riappropriarsi della speranza e dell’ottimismo?

Forse la voce di un profeta che sappia leggere anche nella realtà attuale le tracce nascoste della presenza di Dio, chiarendo all’uomo lo stile incomprensibile della sua azione salvifica nel mondo. O anche l’atteggiamento di fiducioso abbandono a quest’azione divina, che ci rende pazienti e operosi in attesa che il bene trionfi sull’ingiustizia e sul male.

Profezie di speranza

                Il filosofo Martin Buber scriveva: “Compito del profeta è opporsi al re, e, ancor più, alla storia” (Israele e il mondo). Non si tratta di un compito distruttivo e destabilizzante dell’ordine costituito, tutt’altro: è il coraggio di cambiare una realtà che lentamente si allontana dal bello e dal buono originale. Esso parte da una attenta lettura della storia e del presente, e nella trama degli avvenimenti umani, il profeta legge la presenza e l’azione nascosta di Dio, soprattutto l’evolversi della storia della salvezza.

                Questo peso e questo coraggio hanno le parole del profeta Ezechiele (I Lettura), che arrivano al cuore martoriato di un popolo afflitto e dolorante per la difficile situazione in cui versa e stenta a credere che solo la fede in Dio possa salvare gli uomini, aprendo ad essi gli occhi ad uno spiraglio di speranza.

                Di salvezza e speranza, dunque, Ezechiele parla al suo popolo, chiarendo che l’agire di Dio segue sempre una traiettoria opposta a quella umana: se normalmente gli uomini prediligono i grandi e i potenti, Dio fa il contrario: abbassa i forti (l’albero verde) e innalza gli umili (riveste di verde gli alberi secchi).

È questo il messaggio nascosto nella parabola del cedro, nel testo di Ezechiele: agli inizi c’è un ramoscello esile, che poi, crescendo, diventa un albero più grande di quello che è caduto. Di verde speranza si riveste l’arido giardino del presente d’Israele: nessuna cattiveria potrà fermare il progetto di salvezza e di giustizia di Dio.

          Ma bisogna che nell’uomo maturi la consapevolezza che affinchè Dio compia l’insperato non servono cedri maestosi e superbi, ma schegge, frammenti, palpiti, trascurabili parti sensibili, atte però ad accogliere l’innesto del nuovo virgulto.

                Lasciarsi “lavorare” da Dio: questo è il segreto per rinverdire le speranze. È un errore riporre la fiducia solo nelle proprie forze o in quelle dei potenti, perché quando la fiducia viene tradita la delusione apre le porte alla disperazione.

Di ben altra sostanza, invece, è fatta la speranza che nasce dalla fiducia in Dio. Essa fiorisce nel giardino dell’insignificanza, del poco e nulla che nelle mani di Dio, però, si trasforma in cose grandi e affidabili. Questo è lo stile di Dio: dal niente far nascere grandi cose. Egli si serve di piccole cose, di “nugie”, avrebbero detto i Romani, un po’ di modestia, un po’ di trasparenza, un po’ di pentimento.

                È senz’altro una segnalazione profetica vera, la cui attuazione non è sempre, tuttavia automatica come potrebbe apparire. Troppo a lungo i potenti continuano a prosperare illudendo le speranze degli umili, i quali immiseriscono nella loro indifferenza. Eppure, la voce dei profeti è chiara, forte e coraggiosa: Dio è dentro la storia, ma occorre una grande fede per accettarne la presenza e più ancora la provvidenziale azione.

I piccoli semi della provvidenza

                A. Manzoni conclude I Promessi Sposi con alcune opportune considerazioni di Renzo e Lucia, i quali convengono che: i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore”. In tal modo essi esprimono non solo il parere dell’autore, ma anche il sugo di tutta la storia: abbandonarsi all’azione provvidenziale di Dio, che spesso ci spazza, perché, non viaggia con la logica del “tutto e subito”, ma ha i propri tempi, i quali a loro volta sembrano più indicare l’assenza e l’abbandono di Dio che la sua reale presenza.

E se la parabola del cedro ci ha fornito una lettura dell’agire divino nella storia, il Vangelo ci chiarisce i tempi e lo stile con i quali Dio opera nel mondo. Due semplici parabole riaccendono in noi la voglia di ottimismo che dà una marcia in più alla vita: non dobbiamo avere fretta nel vedere le cose belle e buone nella nostra vita, ma ci conviene pazientare perché lo stile di Dio è improntato alla pazienza ed all’attesa.

La sua azione è simile a quella di un contadino che getta il seme nella terra e, mentre lo nutre con l’acqua, attende il nascere del germoglio e, una volta spuntata la pianticella, ne segue premuroso la crescita silenziosa. Ma è anche simile a quel piccolo seme di senape, il più piccolo di tutti i semi, che nel nascondimento della terra si macera per diventare un giorno un albero maestoso. Piccoli semi invisibili rispetto alle potenti strutture politiche e culturali di questo mondo, spesso per di più incompresi, derisi e commiserati, ma tanto visibili agli occhi di Dio da diventare di gran lunga più significanti di qualsiasi potenza terrena. Il regno di Dio non è diverso da questi piccoli semi: da inizi umilissimi si trasforma in albero gigantesco, in una realtà che fa fermentare l’intera massa del mondo e della storia, per offrire speranza di pace e protezione.

Ma che dice alla nostra vita l’immagine di questi piccoli semi?

La loro piccolezza e la loro apparente fragilità ci ricordano che il presente di Dio è umile e dimesso, la sua strada è quella dell’umiltà: l’umiltà vince, mentre l’orgoglio alla fine è perdente. La loro crescita silenziosa, prima nel caldo grembo materno della terra e poi fuori agli effluvi della vita, ci ricorda lo stile paziente di Dio: attesa operosa e impegnata che schiude le porte dei nostri cuori alla speranza e soprattutto alla fede.

Questa virtù teologale coincide con la parola centrale del messaggio conclusivo di oggi. È la fede, infatti, che ci fa andare oltre ogni apparenza; la sua logica va oltre quella dei fatti e disvela la presenza e l’azione di Dio là dove sembra celarsi.

Essa non è invito all’inattività, ma è attenzione alla possibilità di un incontro, anzi, dell’«incontro».

Conclusione

                La fede nell’opera di Dio, nella presenza e nel progresso del regno è sempre sfida alla logica della sapienza umana, alle tecniche e alle strategie degli uomini.

Essa spalanca l’occhio del cuore e lo apre alla comprensione delle tracce di Dio nel mondo e nella trama della storia umana. Tale comprensione diventerà contemplazione quando imparerà a riconoscere in questa silenziosa e nascosta presenza un’anticipazione reale di ciò che vedremo nel regno, la cui visione ha i tratti umani del volto divino di Gesù, amore puro.

                Perciò, lasciarsi gettare da Dio come seme nella terra del mondo significa accogliere e rispondere all’Amore con l’amore.   

Serena Domenica                   + Vincenzo Bertolone

 

Piccoli semi per costruire il regno di Dio

Mantenere una promessa,

dimenticare uno sgarbo,

riparare un torto,

eliminare un rancore,

trovar tempo, anche un pizzico soltanto,

per un importuno,

scrivere una lettera d’amore a chi davvero si ama,

sorridere un po’ più del solito,

salutare,

incoraggiare un giovane, confortare un anziano,

aiutare chi è triste,

far visita ad un ammalato,

canticchiare così senza ragione,

alzare gli occhi al cielo,

non importa che sia giorno o notte,

che sia azzurro o grigio: è sempre cielo,

cercare il sole

parlare alle stelle

raccogliere un fiore

pensare un attimo a Dio.

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