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Vangelo V Domenica di Pasqua PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
domenica, 06 maggio 2012 06:31
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io sono la VITE voi i tralci
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 15,1-8
.  - «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo.
Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete gia mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me.  Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.
Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano.  Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

 V Domenica di Pasqua
6 maggio 2012

Siamo dinanzi ad una delle pagine più alte della rivelazione di Gesù quale sorgente di vita per chi crede in Lui. Il testo odierno si trova al centro di quel lungo colloquio di Gesù con i suoi discepoli, intessuto di confidenze, istruzioni e raccomandazioni che viene chiamato “discorso d’addio”. È una specie di testamento spirituale. Siamo nel cenacolo, Gesù dà diversi insegnamenti agli apostoli e parla loro di vite e tralci. Domina l’allegoria della vigna e richiama un brano di Isaia. Tra Gesù e il credente (battezzato, innestato in Lui) c’è un vincolo profondo. L’ affermazione “Io sono la vera vite” richiama altre affermazioni di Gesù in cui si è proclamato Vita, sorgente di vita divina, pane della vita, luce del mondo: Io sono il pane della vita”; “Io sono la risurrezione e la vita”; “Io sono la via, la verità, la vita”; “Io sono il buon Pastore”. Gesù è la vera vite ed è in piena comunione con Il Padre (il vignaiuolo, proprietario del terreno, autore della nostra vita).

Io sono la vera vite… in questa qualifica troviamo un senso pregnante della presenza di Gesù. Con la denominazione vera vite attesta di provenire realmente e concretamente da Dio; che in Lui e per Lui Dio continua ad operare nel mondo. Egli è l’immagine fedele di Dio, è il compimento di tutte le scritture. Il messaggio da cogliere è che Gesù è la Verità di Dio Padre, il Rivelatore per eccellenza, la Via che ti tira fuori da ogni dubbio, la strada da seguire per arrivare a quella comunione a cui tutti gli uomini aspirano.

Dopo questa autopresentazione si può dire che vale la pena fidarsi e affidarsi a Lui. L’azione salvifica del Padre è duplice: a)  taglia i tralci secchi o improduttivi; b) pota i tralci buoni perché diano più frutto; c) Gesù usa 11 volte il verbo “rimanere”, cioè, essere in Cristo sempre, vivere in Lui, di Lui e per Lui, ed avere in Cristo la propria dimora stabile attingendo da Lui la linfa, cioè la grazia; d) tra la vite ed il tralcio scorre la stessa linfa, la stessa grazia e vita divina che ci è stata data nel battesimo.

Lo Spirito Santo che è in noi produce spiritualmente un’unione più stretta di quella che c’è tra la madre ed il figlio che porta in grembo. Tra madre e figlio scorre lo stesso sangue; il respiro e l’alimento della madre passano nel figlio. Ma il figlio non muore se al compimento del periodo, si distacca dalla madre; anzi per vivere deve farlo per vivere per conto suo. Invece il figlio muore se resta unito alla madre oltre il tempo fisiologico della gravidanza. In campo spirituale avviene il contrario: il tralcio non porta frutto e muore se si distacca dalla vite, mentre vive se le rimane attaccato. e) Dicevo che i tralci secchi si tagliano e quelli buoni si potano perché portino frutti. La potatura è un atto necessario, sia in natura sia in campo spirituale.

Quando Dio interviene nella nostra vita con la croce, non vuol dire che è adirato con noi, ma il contrario. Nella lettera agli Ebrei leggiamo: “ Il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio”. Se la vite non viene potata, la forza della vite si disperde, metterà forse più grappoli del dovuto,, con la conseguenza di non riuscire a portarli tutti a maturazione ed abbassando la gradazione del vino. Se resta a lungo senza essere potata, la vite addirittura inselvatichisce e produce solo pampini ed uva selvatica. f) La stessa cosa succede nella nostra vita spirituale ed umana. Vivere è scegliere il bene, Cristo, e scegliere è rinunciare al male. Se scegliamo tante cose, non scegliamo Cristo. Bisogna potare, potare… levare, fare a meno…; g) Il nostro cammino di piena adesione a Cristo lo possiamo paragonare alla scultura.

Michelangelo Buonarroti ha definito la scultura “ l’arte del levare”.  Tutte le alte arti consistono nel mettere qualcosa: colore sulla tela nella pittura;pietra su pietra nell’architettura, nota su nota nella musica. Nella scultura, invece, si fanno volare via schegge di marmo per far emergere il soggetto dell’opera, come- ripeto- faceva il grande Michelangelo.Un giorno egli vide un pezzo di marmo e disse: ne voglio trarre un angelo. E così fu. Anche il Signore vede in ognuno di noi una creatura bella che aspetta di venire alla luce ed allora prende lo scalpello che è la croce e comincia a lavorarci, a potarci, a spiritualizzarci. Ecco: le ordinarie sofferenze, e le fatiche, e le tribolazioni che la vita ci presenta sono finalizzate alla nostra purificazione. Sta a noi non sciuparle. Dal momento che siamo esseri in formazione, c’é la necessità della potatura celeste. Certo non è facile sopportare i colpi dello scalpello divino, ma pensiamo che dopo la potatura c’è la primavera. Gesù corregge coloro che ama, ed è bene sapere che ci è vicino nella sofferenza perché ha compassione di noi.

Commenta S. Agostino: «Le sue parole rimangono in noi quando facciamo ciò che ci ha comandato e amiamo ciò che ha promesso; quando invece le sue opere rimangono nella memoria ma non si ritrovano nella vita, il tralcio non è più considerato parte della vite, perché non attinge la vita dalla radice». Ma non è questo un programma irrealizzabile? Certo, se contiamo sulle nostre sole forze, e non su Gesù: «Senza di me non potete fare nulla». Né poco né molto, insiste S. Agostino, ma nulla. Ma Paolo assicura: «Tutto posso in Colui che mi dà la forza» (Fil 4,13 ). Dunque, rimanere in Lui. «Rimanete in me e io in voi». Non perché, osserva S. Agostino, noi possiamo dare qualcosa a Lui, ma perché da Lui riceviamo la linfa che fa vivere.

Dunque, pregare! «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato»; «Abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui». Quando saremo giunti alla fine della vita, Gesù ci chiederà se siamo stati credibili. Madre Teresa di Calcutta così commentava alle novizie la pagina evangelica della vite e dei tralci (Gv 15,1-6): «Quando andai l’ultima volta a Roma, volevo dare qualche piccolo insegnamento alle mie novizie e pensai che questo capitolo fosse il più bel modo di capire che cosa siamo noi per Gesù e che cosa è Gesù per noi. Ma non mi ero resa conto di ciò di cui invece si resero conto quelle giovani suore quando considerarono quanto è robusto il punto d’innesto dei tralci nella vite: come se la vite temesse che qualcosa o qualcuno le strappi il tralcio. Un’altra cosa su cui quelle sorelle richiamarono la mia attenzione fu che, se si guarda la vite, non si vedono frutti. Tutti i frutti sono sui tralci. L’umiltà di Gesù è così grande che egli ha bisogno dei tralci per produrre frutti». I credenti , “dimorando” in Cristo Gesù, incarnano la Parola e gettano quel seme che porta molti frutti : essi, infatti, sono i “tralci” della “vite”, che è Gesù. La vita cristiana si vive “rimanendo” in Cristo: manere in Jesu, dice l’evangelista Giovanni, cioè avere in Cristo la propria dimora stabile, attingere da lui la linfa, cioè la grazia, per portare frutti. Rimanere in Cristo vuol dire anche lasciare che dentro le arterie corruttibili della nostra vita passi l’incorruttibile sangue di Cristo; significa che la parola di Dio diventa regola ispiratrice della propria condotta. Consideriamo l’incontro domenicale con Il Signore come una potatura settimanale. In questa luce, allora, rimanere in Cristo significherà vivere gli impegni del battesimo, permettere al Signore di amarci, di non frapporre tra Lui e noi l’insormontabile barriera dell’ autosufficienza, dell’indifferenza, del peccato. Uno può avere una vita rigogliosissima all’esterno: essere pieno di salute, di idee, immerso in affari, avere dei figli, ricco e quant’altro, ma essere agli occhi di Dio nello stesso tempo legno secco da buttare nel fuoco Per non correre questo rischio il Signore ci ha lasciato la Sua mamma, Maria «stella della speranza». Il vertice della piramide è Cristo «la luce vera, che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).

Infinitamente meno luminosa di Cristo, ma al tempo stesso più splendida di tutti gli esseri umani, si staglia nel cielo della santità Maria, stella di speranza. E subito il pensiero corre a Bernardo di Chiaravalle (†1153),  che, nella II omelia Super missus est, lancia il grido di fiducia in Maria1: «Respice stellam, voca Mariam», non solo per vincere le tentazioni e debellare il peccato, ma anche per imitare gli esempi della Vergine e pervenire al porto della salvezza: «O tu che, nelle vicissitudini della vita, più che di camminare per terra hai l’impressione di essere sballottato tra tempeste e uragani, se non vuoi finire travolto dall’infuriare dei flutti, non distogliere lo sguardo dal chiarore di questa stella! Se insorgono i venti delle tentazioni, se ti imbatti negli scogli delle tribolazioni: guarda la stella, invoca Maria. Se vieni travolto dalle onde della superbia, dell’ambizione, della mormorazione, dell’invidia e della gelosia: guarda la stella, invoca Maria. Se l’ira, l’avarizia, la concupiscenza della carne scuotono la navicella della tua anima: guarda Maria. Se, turbato dalla gravità dei tuoi peccati, confuso per le brutture della tua coscienza, atterrito dal rigore del giudizio, stai per venire risucchiato dal baratro della tristezza e dall’abisso della disperazione, pensa a Maria. Nei pericoli, nelle difficoltà e nei momenti di incertezza: pensa a Maria, invoca Maria. Abbila sempre sulla bocca, abbila sempre nel cuore, e se vuoi ottenere l’aiuto della sua preghiera non tralasciare di imitarne gli esempi. Seguendo Lei non andrai fuori strada, pregandola non dispererai, pensando a Lei non sbaglierai. Se Ella ti sostiene non cadrai, se Ella ti protegge non avrai nulla da temere, se Ella ti guida non ti affaticherai, se ti sarà favorevole giungerai alla mèta e così potrai sperimentare tu stesso quanto giustamente sia stato detto: “E il nome della vergine era Maria”». Di rincalzo viene alla mente la Canzone alla Vergine , capolavoro del Tetrarca (†1374), il quale supera il  conflitto  umano di un uomo ormai prossimo alla morte, che incute sgomento, invocando la Vergine. È il canto del cigno che conclude il Canzoniere di cui riporto alcuni versi «Vergine chiara et stabile in eterno, di questo tempestoso mare stella,
d’ogni fedel nocchier fidata guida, pon’ mente in che terribile procella i’ mi ritrovo sol senza governo…» La Vergine è davvero la stella che brilla nella notte, foriera della luce piena all’orizzonte dell’umanità in cammino.

Serena domenica
      
+ Vincenzo Bertolone

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