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Vangelo della Domenica di Pasqua PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
domenica, 08 aprile 2012 05:48
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 20,1-9.  - Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro.
Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro.
Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte.
Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.
(Segue Omelia di mons. Vincenzo Bertolone)

 DOMENICA DI PASQUA   8.04.2012
Carissimi fratelli e sorelle, carissimi confratelli nel sacerdozio,
questa mia riflessione pasquale, pure improntata alla gioia, è inevitabilmente
all’insegna d’un amaro realismo. Non sfuggirà a nessuno, del resto, la precarietà dei
tempi presenti, tristi e vuoti, cornice d’un mondo governato dal dio-denaro e dalla
corruzione che fa tramontare ogni giustizia. E così si cammina come le donne
“all’alba del primo giorno della settimana”, procedendo a tentoni, con il buio nel
cuore e sperimentando quanto siano difficili la comprensione, la tenerezza, la
solidarietà.
Eppure, la Chiesa annuncia che in Galilea il Cristo vive, parla e ci indica la via
per la rinascita interiore, il senso reale della vita, quello che ai giorni nostri, sia nei
cristiani sia nei più lontani dalla fede, spesso manca o viene meno, dal momento
che sempre più di frequente l’uomo si limita a passare i suoi primi anni a
illudersi e gli ultimi a registrare le delusioni, relegando la storia, slegata da una
prospettiva superiore ed esaustiva, ad una vicenda senza capo né coda, tragedia
senza plausibilità.
È questo un dato che si impone a tutti, anche a quanti si rifiutano di pensare e si
stordiscono in una dilapidazione interiore. Ed è proprio a partire da questa
esperienza che l'umanità si divide: chi non oltrepassa il sepolcro vuoto non
può che approdare a un traguardo di scetticismo e di relativismo, dove tutto si
vanifica e perde di significato; chi, al contrario, travalicando il diffuso sentimento di
inutilità, si getta con la fede tra le braccia di Colui che può schiudere la via
ad una felicità senza insidie e arriva a fare dell’evento pasquale l’inesauribile
sorgente della sua esistenza.
È questa la festa alla quale ci siamo preparati durante questo lungo itinerario
quaresimale e che oggi è esplosa al canto dell’Alleluia al Signore Risorto. Nella sua
prima Pasqua da Pontefice, Paolo VI esclamava: “Risuoni ancora una volta, nel
corso dei secoli e sulla faccia della terra, l’annuncio potente e beato: Cristo è
risorto! É il raggio primo della Pasqua, cioè della vita risorta in Cristo e in noi che
cristiani vogliamo essere; ed è la gioia”.
Sì, diciamo noi oggi: risuoni ancora una volta l’annuncio della novità pasquale.
Cristo risorto ci rende uomini liberi, figli del cielo, capaci di rinnovare il volto del
mondo. La Pasqua, suprema avventura della storia, chiama a celebrare la migrazione
degli uomini verso una vita interamente trasformata da Cristo, qui e ora. Ma è anche
celebrazione della migrazione degli uomini verso il cielo. Con l’annuncio della
Risurrezione, insomma, ci riappropriamo della nostra vocazione: noi siamo figli fatti
per il cielo, perché figli di Dio in Cristo, perché con Lui l’Eterno è diventato nostra
eredità. Egli ha vinto la morte e noi, che vogliamo essere cristiani, abbiamo vinto con
Lui. “Pasqua” significa attingere al tesoro inesauribile di quel Dio che è ricco di
misericordia, che è un «Dio per noi». Ecco perché possiamo considerare l’annuncio
pasquale come un annuncio di vita nuova. Lasciamo che la speranza diventi la
costante della nostra vita di fede. Scriveva Paul Claudel: “La più orribile bestemmia,
che sia mai uscita da labbro umano è la seguente: forse la verità è triste”. Noi
crediamo e attestiamo il contrario: la verità è gioiosa, perché l’ultima verità è la
Risurrezione. Una verità fondamentale, per la quale nel Cristianesimo tutto sta in
piedi o tutto crolla, come ha impietosamente rilevato San Paolo: “Se Cristo non è
risuscitato, è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede” (1Cor
15,16). Invece Cristo è risorto e la nostra fede è canto di gaudio, impegno ad amare e
credere nella vita, a difendere e custodirne il significato, a riempirla di gioia. Perché
questa vita porta il marchio della novità pasquale: la sua trasfigurazione, ottenuta per
mezzo del trionfo di Cristo sul peccato.
Insieme alla pietra ribaltata dal sepolcro vuoto è stata ribaltata, con la
risurrezione di Gesù, un’altra pietra, quella di un’umanità rassegnata al corso di una
storia all’apparenza immutabile. Ora, invece, gli occhi della fede percepiscono nella
resurrezione di Cristo quel “tutto” vittorioso sul nulla. Gesù viene a farci dono di un
grande tesoro, di una gioia senza fine: una vita che già ora ha il colore del cielo e il
calore della luce. Perché in noi Cristo è disceso agli inferi, è andato fino al fondo
oscuro della nostra materia, per indirizzarci verso la libertà e l’amore. E noi oggi
possiamo dire di godere di questa luce divina, che ha innescato quel movimento
ascensionale per cui ci siamo aperti alla misericordia ed alla bellezza di Dio.
Per godere fino in fondo questa ebbrezza dobbiamo assumere l’atteggiamento
del discepolo amato da Gesù che, correndo al sepolcro vuoto in quel mattino di luce,
vide e credette, senza la minima incertezza.
Che cosa spinge a credere solo vedendo? I segni, cioè la pietra rotolata via dal
sepolcro, le bende e il sudario piegati, sono insufficienti. La marcia in più è l’amore:
il discepolo si è lasciato amare da Dio e, sedotto, ha creduto; si è affidato sin
dall’inizio al suo Signore, a quelle parole incomprensibili che in realtà nascondevano
una verità trascendente. La Pasqua, infatti, non è un evento da raccontare per
dimostrare che Gesù è Figlio di Dio; non è la prova di autenticazione di uno o più
annunci di Gesù. Essa, per contro, è conferma di un cuore radicato in Cristo. È qui
che Cristo si fa nostro contemporaneo: vivo, presente, vero e visibile qual è, fu e sarà
fino al suo ritorno in gloria.
Questa è la Pasqua. È il Gesù risorto, “abisso di luce che impone di chiudere
gli occhi per non precipitare”, come scriveva Franz Kafka, la garanzia della vita
nuova. Egli non è riconoscibile coi sensi soltanto: è necessaria una via superiore di
conoscenza, percorsa anche da atei quali lo scrittore André Gide: «Penso che non si
tratti di credere alle parole del Cristo perché il Cristo è figlio di Dio, quanto di
comprendere che egli è figlio di Dio perché la sua parola è divina e infinitamente più
alta di tutto ciò che l’arte e la saggezza degli uomini possono proporci».
Carissimi amici, cerchiamo di ri-orientare la nostra esistenza entro questo
orizzonte inedito. La Pasqua è la storia di un chicco di grano che è diventato un
grande albero, che con i suoi rami ormai copre la terra intera. Quest’albero custodisce
la linfa luminosa dello Spirito e del vangelo ed essa giunge a noi, come nell’alba
della risurrezione giunse a Maria ed ai Discepoli. Le cose vecchie sono passate e ne
accadono di nuove: basta aprirsi ad esse e, come la Pasqua insegna, alla regola del
chicco di grano che, perdendosi nella terra, si ritrova moltiplicato a dismisura.
Questa regola (la vera regola della vita) Egli l’ha data, per sempre, a memoria
di ogni generazione, nella sua morte e risurrezione. La regola dell’io prevaricatore, la
regola dell’interesse, la regola dell’egoismo cieco ci hanno portato verso il buio; la
Pasqua ci dice che il buio della notte è passato, che il giorno nuovo (e che giorno!) è
iniziato.
Ma come si fa a dire che la notte è finita? Ricordo di avere letto un testo della
tradizione rabbinica in cui è scritto che un giorno un rabbino domandò ai suoi
studenti: “Come si fa a dire che la notte è finita e il giorno sta ritornando?” Uno tra
essi gli rispose: “Quando si può vedere chiaramente a una certa distanza che
l’animale è un leone e non un leopardo”. “No”, rispose il maestro. Un altro allora
disse: “Quando si può dire che un albero produce fichi e non pesche”. Ma fu identica
la risposta. Ma poi il rabbi aggiunse: “La notte si può dire finita quando si può
guardare il volto di un altro e vedere che quella donna, quell’uomo è tua sorella, è
tuo fratello. Perché fino a quando non siete in grado di fare questo, non importa che
ora del giorno sia, è ancora notte”.
Non molto diverse risuonano le parole dell’apostolo Giovanni: “Da questo
sappiamo di essere passati dalla morte alla vita: perché amiamo i fratelli”. La Pasqua
va interpretata e vissuta come la ragione più convincente e giusta per dare una
nuova chiave di lettura al nostro pellegrinare sulla terra, avendo ad esempio
quell’Uomo che, come ricorda Charles Péguy, quando fu messo in croce, mentre “il
ladrone di destra e il ladrone di sinistra non sentivano che i chiodi nel cavo della mano, sentiva invece il
dolore dato per la salvezza”.
È il messaggio che ci giunge dal Messia, definito da Soren Kierkegaard “segno
di scandalo, oggetto di fede e uomo umile, eppure Salvatore e Redentore
dell’umanità venuto sulla terra per amore”. Oggi, più che mai, il mondo ha bisogno
di una testimonianza siffatta, che i cristiani in particolar modo sono tenuti ad
attualizzare per rendere ragione della propria fede e attuare la loro insostituibile
missione.
È questo il vero grido che risuona dalla croce: un grido di partecipazione, di
solidarietà, di sacrificio per il male, il dolore, la miseria dell’umanità. Un invito al
cambiamento, per tornare a guardare agli orizzonti nitidi della speranza e
riscoprire Cristo, radice insostituibile che affonda nel terreno della storia e si
ramifica nei cieli dell’eterno, che produce debolezza e grandezza in un intreccio
unico. Per chi crede e per chi dubita.
Carissimi fratelli e sorelle, ecco perché abbiamo bisogno di sentirci ripetere
“Cristo nostra Pasqua e nostra vita è risorto”: solo così possiamo ritrovare il coraggio
di continuare ad annunciare, nonostante i tempi amari che viviamo, che “un altro
mondo è possibile; un uomo nuovo conformato a Cristo e non agli schemi di questo
mondo è possibile; perché Gesù, Signore risorto, ci fa riscoprire la bellezza della vita
e ci riconsegna i palpiti di un Amore inesauribile. Egli è il Signore della storia che
può far fiorire la vita sempre.
Perciò auguro a tutti voi una Pasqua del Signore illuminata da questa
rasserenante certezza. Spalancate le porte del cuore a Cristo. Fatelo entrare nella
vostra vita, ed essa si schiuderà all’eterno.
Buona Pasqua   
+Vincenzo Bertolone

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