Pietra di S.Marco(foto Martire) Cari amici questa mia poesia, sembra uno scritto un po’ macabro, ma non lo ritengo tale, a me da l’impressione di una rinascita dopo il naturale decorso della vita. Logicamente niente a che vedere con la prossima settimana di dolore per la morte di Cristo. La filosofia dell’essere e non essere della vita e della morte ci attanaglia anche se non vogliamo pensarci, e questo non è certamente un bene per la società giacché, questa, troppo spesso si presta a sogni di onnipotenza nei confronti dei più deboli e non solo, ma anche nei confronti di se stessa che inganna non considerando i limiti imposti agli umani per le loro condizioni immanenti. La vita d’altronde, nasce dalla morte, se un seme non perisce non v’è germoglio, né fiore, anche per questo mi è facile pensare al quando e al dopo ed al meglio che può avvenire.
Cassano sonnolente eccomi giunto. Il compito delle moire si è concluso, chiuso è il lavoro di Cloto, Lachesi, e Atropo. La mia gabbia finale di legno è fatta, legno di ciliegio, tavole d’ulivo e mandorlo cresciuti sul monte e sulla valle tra i solchi dei calanchi d’argilla rossa, infra le pietre che ne ostacolano la dolorosa nascita, la dura crescita, ponila sul monte di san Marco, da cui il nero occhio mirerà lontano di fronte il mare azzurro di Venere, tra le mura ove sono i resti degli antichi spiriti antenati veglianti sulla verde valle del fiume Crati. Insinua intra le fenditure dei sassi le radici del fico d’india, quello dell’olivastro lascia crescere selvatici lo spinoso cardo, il bocca di leone, il fiordaliso, l’asfodelo, rompi le zolle, piantaci il lauro, l’ulivo, il fico, il mandorlo che primo annuncia primavera, trova i narcisi dei poeti e accerchia la mia cassa. Lascia che il sole dall’est all’ovest mi riscaldi ancora e che la mia carne coli con viscere e cervello succhi in dissoluzione, umor per piante, erbe, fiori di ginestre e rovi. Sui tronchi rinsaldati da questo inutile imputridito liquido sollazzerà all’alba la sconosciuta melodiosa allodola, il selvaggio mio cuore che mi travaglia sempre. anche dopo che lei ha trionfato sulle membra. Colpita dal vento, che da oriente viene fresco, si rinsecchirà la pelle sulle ossa la mia polvere, con la terra agglomerata da rumorosi vortici per l’aria verrà portata trainata per le strade, le vie paesane, i vichi, ove stanno antiche le case dalle finestre senza carte, teste dalle occhiaie vuote che vivono di ricordi, entro le stesse giovani ventenni, ragazzi inconsapevoli giocano con il tempo trapassato aspettando compagni andati in ferie in luoghi non adusi alle nenie di Cassano. l’animo vagante, poeta sofferente vivrà dei suoni, dei fischi che d’inverno eterni sostavano nei timpani raccontando storie, favole rese vere dalla fantasia dai sogni, nelle magiche serate senza lumi quando una vecchia nera maga parlava narrando all’adoloscente lunghe misteriose “parmedie paesane”. Michele Miani |