Vangelo di domenica 4 Dicembre |
Scritto da +V.Bertolone | |
domenica, 04 dicembre 2011 07:24 | |
II Domenica di Avvento (Anno B) (4 dicembre 2011) Mc 1,1-8. - Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio - Come è scritto nel profeta Isaia: Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri, si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico e predicava: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo». (segue commento di mons. Vincenzo Bertolone) II Domenica d’Avvento 4 Dicembre 2011 La lieta notizia consolante Introduzione. La seconda domenica d’Avvento ha il compito di affascinarci e di scuoterci. Domenica scorsa il Vangelo si chiudeva con un imperativo “Vegliate”, un modo in un certo senso soft per invitarci ad entrare in questo primo periodo dell’Anno Liturgico, quasi in punta di piedi siamo entrati nella storia di un mistero infinito: l’incontro con il Signore. Egli verrà e noi non possiamo aspettarlo nella sonnolenza ma ad occhi aperti per essere capaci di riconoscerlo nell’oggi della nostra vita nel nostro prossimo.L’annuncio di oggi lascia senza parole, possiamo immaginare di trovarci davanti a un palcoscenico per assistere ad un opera teatrale inedita. Appena si apre il sipario vediamo qualcosa che cattura l’attenzione e scuote lo sguardo e la vita. Nella centralità della scena troviamo un personaggio curioso, di quelli che oggi farebbero discutere non poco: vestito di peli di cammello, con una cintura di peli attorno ai fianchi, nutrito di erbe e Parola. E’ Giovanni Battista, che fa il suo ingresso spettacolare sulla palcoscenico della salvezza. Attira i nostri sguardi per come si presenta, scuote la nostra vita per quello che dice. Infatti, le sue parole sono frecce roventi che vanno dritte al cuore e le sue azioni fanno bruciare l’aria circostante. Attira a sé molte persone, desiderose di immergersi nelle acque del Giordano per cambiare vita e trovarsi pronti per incontrare Colui che Giovanni rappresenta e che è superiore a lui stesso. Il suo messaggio, entrato nell’eternità di Dio, attraversa i secoli e raggiunge anche noi e ci invita a continuare a raddrizzare quel sentiero di pace, di giustizia, di verità, di dignità e di amore che ci investe di responsabilità. Consolazione Se non sapessimo che il profeta Isaia stesse parlando alla gente del suo popolo al tempo della cattività babilonese, le sue parole di consolazione sembrerebbero indirizzate a noi, vittime di un esilio materiale e spirituale. Israele piange la patria lontana e trae speranza dalle parole consolanti dell’uomo di Dio, noi ogni giorno apriamo i giornali e vediamo i telegiornali indignati, rammaricati e tristi per quello che ci accade intorno e ci coinvolge. Forse è tempo anche per noi, esattamente come accadde per il popolo d’Israele, di riappropriarci di alcune parole. Si tratta di parole di consolazione che abbiano un sapore diverso dalle parole amare che soffocano speranze e sogni dei nostri giorni. Ad accendere la televisione, a leggere i giornali, dove non si parla di altro che di catastrofi naturali, di omicidi, di violenze, di precarietà e nuova povertà è come tuffarsi ogni giorno in un mare di sconforto in cui Dio rimane assente.E diventa quasi sempre più difficile trovare una buona notizia che apra il cuore alla fiducia e alla speranza. È quello che a volte chiediamo dagli amici: "Dimmi qualcosa di bello, dimmi una parola buona!" È quello che vorremmo sempre trovare nelle nostre Chiese dove Dio sempre ci aspetta per dirci parole piene di speranza come: "Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male" (Mc 5,34), o anche "Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati" (Mt 9,2) e, infine: "Prendete e mangiate; questo è il mio corpo" (Mt 26,26).E bene, oggi Isaia è il nostro primo messaggio di speranza da parte di Dio, presenza amica che sa parlare al cuore: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio, è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità … Una voce grida. Nel deserto preparate la via del Signore…”. E già ritorno: Dio non è assente, il Suo è un eterno ritorno. Egli non si arrende di fronte alla cecità e alla sordità dell’uomo, ostinatamente ritorna a camminarci accanto, anticipando il suo ritorno attraverso una “voce” che grida nel deserto. Una “voce”che parla dritta al cuore, che ci dice con passione la nostra passione, la nostra speranza, il nostro orizzonte di belle notizie, che ci portano alla vita, ci introducono all’amore stesso di Dio. Così, nel deserto senza segnali e senza strade, dove facilmente ci si smarrisce, si ode una “voce” nuova, che apre una via nuova, sicura, una via diretta verso la lieta notizia del Natale. La lieta notizia Non bisogna cercare troppo lontano il contenuto di questa notizia, la prima parola dell’evangelista Marco offre subito questa possibilità di una lieta notizia e da essa tutto riparte: “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo”. La buona notizia del Natale è Cristo: è Lui il punto da cui ripartire, egli deve essere al centro di tutto, perché Lui solo è il motivo del nostro essere cristiani, Lui solo è il motivo della nostra fede, il senso della nostra vita e della nostra morte. Gesù Cristo è dunque la bella notizia di Dio perché, nonostante tutta la tristezza e la preoccupazione dei nostri giorni, Egli è qui per darci la vita e darcela in abbondanza. Egli è qui, dita che scaldano l’argilla di cui siamo fatti, amore come nessuno, mani impigliate nel folto della vita. prende su di sé i nostri dubbi e timori, entra nei nostri deserti, niente di noi Gli è estraneo. Ma come dobbiamo accostarci a Cristo? L’altra voce profetica di questa II Domenica d’Avvento, Giovanni Battista, ce lo ricorda usando le stesse parole del profeta Isaia: “Preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. “Raddrizzare i sentieri”, ovvero per incontrare Cristo è necessario cambiare tante strade; è necessario uscire da determinate situazioni, ma soprattutto è necessario cambiare il modo di pensare e valutare. Conversione non significa soltanto abbandonare i tanti deserti della nostra vita, ma qualcosa di più: significa cambiare dal di dentro; significa smontare le idolatrie dell’esistenza: salute, successo, denaro…; significa restituire a Cristo il primato, il valore che ha. Perciò, bisogna anche saper lasciare alle spalle con decisione il passato, le nostalgie, il fascino morboso della schiavitù e delle inerzie e correre verso il nuovo che viene, verso il vero giorno da vivere, percorrendo magari una strada aspra ma che ai nostri piedi sembra come una vi sacra. Giovanni il Battista è nella condizione ideale per l’incontro con Cristo: ha dato un taglio a vanità e illusioni; Giovanni è un uomo libero e quindi povero, onestamente povero. Per questo egli può predicare, può gridare, può rimproverare: può a ragione essere l’indice puntato verso l’ingresso decisivo del Cristo, presenza suprema di Dio in mezzo agli uomini, nelle strade del mondo. È opportuno oggi lasciarci interpellare da entrambe le voci di questi due profeti dell’Avvento, perché Isaia rappresenta la dimensione del dono e Giovanni il Battista quella della conversione. Entro queste due dimensioni dovrebbe allinearsi la vita del cristiano: egli sa di vivere di dono e d’impegno; di dramma e di poesia, di fine e di nuovo inizio. Fortunatamente per noi Dio predilige sempre il dono. Allora la lieta notizia è sapere che il movimento decisivo della storia universale e di ciascuno non è lo sforzo che dal passato viene verso l’altro, ma il dono che dall’alto discende su di noi. È Dio che insegue e ci raggiunge, la strada da preparare è la sua. In questo tempo d’Avvento Dio ha acceso la sua lampada e attende che ciascuno di noi si metta in cammino. “Amare è attendere” (S. Weil). Dio è amore in attesa. E la speranza nasce là dove il movimento di Dio e quello dell’uomo s’incrociano. Conclusione Ancor una volta, attraverso la Parola, riusciamo a cogliere le diverse sfumature del tempo che stiamo vivendo, tempo durante il quale prepariamo l’animo alla venuta del Signore. Attraverso Isaia, prima, e Giovanni, poi, scopriamo, allora, che Avvento significa riscoprirci poveri per incontrare il Signore che viene. Fino a quando metteremo tutta la nostra fiducia nelle cose che abbiamo o in quelle che potremmo conquistare, ci sarà difficile capire e accogliere la lieta notizia che ci è stata annunciata.Avvento significa che la mia vita è grazia non perché ho una posizione, una carica importante, un ruolo invidiato, una specializzazione ben retribuita? Tutto questo non è vangelo. Non è buona notizia.Avvento significa toglierci di dosso le cose che possediamo e l'orgoglio che ci possiede, per fare spazio di nuovo alla buona notizia che è Gesù Cristo.Avvento significa "risvegliare un sogno" che sappiamo che si è già realizzato e si realizzerà di nuovo. È "scavalcare" la mia realtà quotidiana per alzare gli occhi verso il Cielo e ridare alla terra una dimensione nuova. Avvento significa riscoperta della propria cristianità: portatori di una lieta notizia che consola e rende consolatori. Serena domenica 4 dicembre 2011 + Vincenzo Bertolone
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