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Sibari

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Epeo:la leggerezza delle pietre PDF Stampa E-mail
Scritto da P.Caracciolo   
venerdì, 19 agosto 2011 17:52
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Epeo
Nel nostro mondo, in cui pare che l’opinione dei più sia la sola ad ottener consenso, Arte è una signora malvista. E l’artista, suo devoto guerriero, difende la propria regina subendo improperi e affrontando interminabili duelli dai quali, per una certa ragione attribuibile forse a un intelletto sovrumano, esce vincitore. Arte ha un carattere singolare, il suo corpo è il sentimento e l’immaginazione è la sua forza. Ogni artista è suo adepto non per volontà, ma per vocazione, per una particolare attitudine verso ciò che è creazione. L’atelier rappresenta il luogo naturale dell’artista come per le aquile lo è il cielo sospeso sugli abissi.
Un artista è sempre nel suo atelier tanto che lo si potrebbe visitare anche se egli è assente e ottenere le medesime informazioni e le analoghe percezioni che si avrebbero in sua presenza. Più di un’abitazione, l’atelier è parte inscindibile dell’artista

Esiste un artista che anima il proprio atelier con dame di pietra e fasci di rose, porta un nome antico più della terra e più del cielo perché risale ai miti, a quelle «storie che non avvennero mai, ma sono sempre» come scriveva il filosofo e politico romano Salustio. È Epeo (pseudonimo di Domenico Cataldi), cittadino di Trebisacce, sul mar Jonio, luogo del sito archeologico di Broglio divenuto prova di scambi e contaminazioni fra gli abitanti del posto e popoli stranieri; micenei, egei, enotri, popolazioni di artigiani che attraversarono la zona circostante Sibari; è l’area nella quale scorre il fiume Saraceno che porta con sé le pietre, quelle pietre che danno vita alla produzione delle sculture di Epeo. La dama di Broglio si staglia imponente nel luogo che la ospita, appare come una figura antica, mitica, affascinante come lo sono gli esseri misteriosi. Il robusto fusto di legno le da solidità e, in cima, la pietra racchiusa da saldi ovali di ferro salda e rafforza la morsa; un solido cromatismo ne conferma il peso, i toni cupi aggravano l’impronta impressa dai materiali. Ma non è tutto come appare e, nelle cose di Arte, l’empirismo viene ripetutamente vinto. La fermezza, la robustezza dei materiali utilizzati, la rudezza del ferro, la corposità del legno e l’immobile sostanza della pietra delle sculture di Epeo scompaiono dietro al potere mai scalfito della sensibilità; il ricordo di epoche remote, l’intima essenza della terra jonica e una certa rimembranza di ciò che in essa vi è di autentico emergono come vapori ammalianti annientando quanto di ingombrante hanno per natura certi elementi. Ed ecco che il miracolo è compiuto, un masso diviene tulle. E i miracoli di Arte sono soliti ripetersi, così è nata Omnia, una scultura che è anche oggetto d’uso o, forse, un oggetto d’uso che è anche una scultura; è un leggio composto da una levigata colonna che porta all’estremità una lastra di pietra. Ancora una volta, il peso scompare; solo l’apparenza è minimalista perché il carattere ascensionale dell’opera, la sua universalità non solo materica, ma anche e soprattutto simbolica, riaccende il noto meccanismo e diviene narrazione del luogo di cui è fatta.

Epeo ama il luogo in cui vive non come si può essere affezionati a un luogo che l’abitudine ha reso familiare, ma come si ama tutto ciò in cui si avverte un segreto sostrato, seppur inesprimibile, di percezioni che ci appartengono. La sua Arte è un continuo metodo per scoprirsi e la semplicità, lontano dall’essere una insulsa parvenza di vacuità, è il punto di partenza di tale metodo

Paola Caracciolo

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